L’idea di coscienza in Henri Bergson

Nel corso dell’ultimo ritiro filosofico è stato esplorato il tema della coscienza in rapporto alle varie posizioni riduzionistiche. Nel corso del novecento filosofico una delle più eterogenee e scandalose formulazioni dell’idea di coscienza, in rapporto alla teoria epistemologica, è senz’altro quella bergsoniana. Per certi versi – e in maniera tutt’altro che esplicita – essa risuona anche in Heidegger ed è stata, ovviamente, il bersaglio polemico di tutta una generazione filosofica francese tra gli anni ‘30 e ‘40, che ha liquidato il bergsonismo a partire dalla convinzione fenomenologica che ogni coscienza è coscienza di qualcosa

L’unità del Saggio e di Materia e memoria
Le prime due opere bergsoniane, per quanto su alcuni aspetti differiscano, non possono che essere lette in continuità. Il Saggio sui dati immediati della coscienza (il titolo originario è  Essai sur les données immédiates de la conscience) è la tesi di laurea di Bergson e l’evoluzione che c’è fra il 1889 e il 1896, data di pubblicazione di Materia e memoria, rappresenta una svolta decisiva che segnerà l’intera produzione del filosofo francese. 

Il punto di unione
Partendo da un presupposto dualista, ovvero dalla convinzione che spirito e materia mantengano una loro distinzione, Bergson è alla ricerca del punto di contatto fra questi due estremi. Tutto il dualismo precedente – a partire da quello cartesiano, ma evidentemente Bergson ha chiaro anche quello più raffinatamente kantiano – viene definito dualismo volgare. Quest’ultimo non è stato capace di rinvenire il punto di unione fra le due sezioni del reale, anzi con la distinzione in res la possibilità di una conciliazione si è allontanata definitivamente. 

Non è tanto nel rintracciare un punto di unione che Bergson compie un netto balzo in avanti, quanto piuttosto nella definizione che egli dà di spirito e materia. Il primo non è più un punto inesteso, bensì è esteso e continuo. La seconda è ontologicamente separata dallo spazio divisibile che la sottende, ovvero anch’essa è quindi estesa e non divisibile. Dunque, il “luogo” di intersezione di spirito e materia è un punto che partecipa dell’estensione della materia ed è al contempo la condizione di possibilità dello spirito indivisibile e semplice. 

Tale “punto” è la percezione pura. La percezione pura è qualcosa, dice Bergson, che esiste più di diritto che di fatto, ovvero è un termine trascendentale. Essa è impersonale, risiede “esternamente” rispetto al soggetto eppure da quel fuori noi non facciamo che provenire. Nella sua più lucente originarietà la percezione pura è parte delle cose, non di noi: la percezione pura fa parte della materia, è un grado della materia. Ciò significa che la condizione fondamentale della nostra percezione è qualcosa che sta nelle cose, nella materia, nelle immagini che costituiscono quest’ultima. 

Il ricordo e l’affezione
In questo quadro neutro e trascendentale il soggetto si innesta attraverso due cose: da una parte i ricordi, dall’altra il proprio corpo. I ricordi, la memoria, sono infatti il tratto personale dell’esperienza, ovvero ciò che rende soggettiva una esteriorità originaria dalla quale di fatto proveniamo. Il corpo è invece il centro nevralgico e funzionale di questo processo perché la sua immagine, l’immagine-corpo, spicca sulle altre: essa mi è data “da dentro” per diretta affezione. E in più il corpo rappresenta il punto in cui assorbire movimento e restituire movimento, in cui si analizza il movimento ricevuto, lo si seleziona e infine lo si ridistribuisce. 

La percezione cosciente è quindi pragmatica non speculativa, essa ha lo scopo non di conoscere ma di agire, di misurare quanto il nostro corpo può sulle cose e che potere hanno le cose sul nostro corpo. La coscienza non è dunque un eccedere del corpo e del cervello, piuttosto è l’apertura dell’uomo nei confronti del mondo, l’evidenza della sua possibilità di muoversi all’interno delle infinite immagini che compongono la materia. 

La materia, infine, in termini puramente trascendentali è quindi coscienza pura: la percezione cosciente (un “misto” di percezione e ricordo-affezione) delle cose è quanto di più umano ci sia: l’inoltrarsi nel prima dell’umano, in quello “spazio” puro che non ci è dato se non attraverso l’intuizione filosofica è il vero dis-velamento della filosofia bergsoniana.

 

Foto di Jackson David su Unsplash

Saverio Mariani è nato a Spoleto (PG) nel 1990, dove vive e lavora. È laureato in filosofia, lavora nel mondo della comunicazione e della formazione. Redattore di questa rivista, ha pubblicato il saggio filosofico Bergson oltre Bergson (ETS, Pisa, 2018). Il suo blog sito è: attaccatoeminuscolo.it

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