Searle e l’odissea della coscienza

In merito all’enigma della coscienza, o, come si vuole, al problema del rapporto fra mente e cervello, due, in fondo, sono le principali tradizioni filosofiche cui ancora oggi si ispirano le diverse posizioni. La prima è quella del materialismo che Searle definisce come “la concezione per cui nell’Universo non c’è nulla tranne i fenomeni materiali come sono tradizionalmente definiti. Non ci sono stati di coscienza o consapevolezza intrinseci, soggettivi, irriducibili, né c’è qualcosa d’altro che sia intrinsecamente mentale. Ogni evento manifesto può essere eliminato o ridotto a qualcosa di fisico” (Searle 2005, 118).

La seconda è quella del dualismo definito come “la concezione per cui ci sono due regni ontologici metafisici distinti nell’Universo, uno mentale e uno fisico”, sulle orme della distinzione cartesiana fra res cogitans e res extensa e della loro reciproca irriducibilità. Da qualche decennio, in concomitanza con l’enorme sviluppo dell’informatica, la tesi materialistica è quella che sembra andare per la maggiore, culminando nella forma affascinante e terribile di una teoria computazionale che fa del cervello un computer digitale e della mente un programma o un insieme di programmi di tale computer. In questo modo gli stati di coscienza sarebbero ridotti a stati computazionali di un sistema fisico. Il modello computazionale è stato ribattezzato da Searle con l’espressione comunemente in uso di Intelligenza Artificiale (IA) Forte “per distinguerla dall’Intelligenza artificiale debole, che si propone di studiare la mente mediante simulazioni informatiche, non di crearne una. Per la concezione della IA forte, un computer digitale appropriatamente programmato non simula semplicemente di avere una mente; possiede letteralmente una mente” (Searle 2005, 60). Continue Reading

E vissero infelici e scontenti!

In questo articolo proverò ad analizzare in che modo la rappresentazione del male commesso da parte di un personaggio finzionale possa esercitare un influsso etico sullo spettatore di un film. L’approccio metodologico che intendo utilizzare è dunque quello dell’etica narrativa, ossia del modo in cui le narrazioni di storie possono avere un impatto sulla costruzione dell’identità morale della soggettività (cfr. Mori 2010, 53-55).

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Le due montagne e l’estetica del paesaggio


Henri Maldiney (1912-2013) è stato uno tra i maggiori rappresentanti della corrente fenomenologica in Francia. In linea con gli aspetti più innovativi di questo movimento, volto alla rettifica della teoria della percezione da possibili pregiudizi idealistici, qui mi concentrerò su alcuni dei caratteri più originali della sua teoria estetica. In particolare, lo farò sulle descrizioni di Maldiney offerte allo studio del paesaggio nel quale il soggetto della sua fenomenologia può trovarsi calato. Ritengo che ciò si renda rilevante perché il filosofo francese ha dedicato alcuni saggi all’apprezzamento del senso di spaesamento e vertigine che l’osservatore può sperimentare al cospetto di luoghi maestosi. Ciò rappresenta, inoltre, un elemento di novità rispetto ai lavori dei pensatori del suo tempo. Continue Reading

A cosa servono i filosofi?

Per celebrare i 40 anni dalla nascita dell’inserto culturale Domenica, il quotidiano Il Sole 24 ore ha curato la proiezione di quaranta domande sui monitor della stazione ferroviaria di Milano centrale. In un’epoca in cui si cerca e si vuole la risposta facile, l’esercizio della domanda è sempre qualcosa che va salutato con favore.

Una di queste chiedeva: I filosofi servono a qualcosa?  Si tratta di una domanda antichissima nella quale si sono interrogati, da Platone ad Heidegger, gli stessi filosofi. Noi abbiamo provato a rispondere, magari venendo in aiuto ai viaggiatori interessati alla cosa. Continue Reading

Antropocene e antropocentrismo

Si è iniziato a parlare di Antropocene solo nel 1999. In quell’anno, a Città del Messico, ad un congresso sull’Olocene, il chimico dell’atmosfera Paul Crutzen, premio Nobel nel 1995, pronunciò per la prima volta il termine Antropocene. L’Olocene è ufficialmente l’epoca nella quale viviamo, un’era iniziata all’incirca 11.700 anni fa; l’Antropocene è invece la rapidissima evoluzione del nostro tempo geologico, rappresentata da un grado di variazione rispetto al recente passato così ampio da evidenziare una spaccatura radicale e profonda. Continue Reading

La Storia non siamo noi ma l’Essere

La distinzione tra storia (Geschichte) e storiografia (Historie) è una delle chiavi essenziali per comprendere il pensiero di Heidegger. La distinzione risale ad Essere e Tempo ma viene radicalizzata negli anni trenta quando il filosofo tedesco indica nella storiografia uno degli aspetti più invasivi del pensiero calcolante, cioè del predominio dell’ente sull’essere.

Nell’opera principale infatti la storiografia rimane ancora radicata nella struttura ontologica dell’Esserci. Questo significa che i materiali della storia (resti, monumenti, fonti di vario tipo) sono documenti che ancora valgono per l’accesso alla vita autentica. L’aspetto interpretativo ermeneutico è ancora predominante e funzione della storiografia è quella di tematizzare l’esserci storico, svelando cioè nel singolare l’universale. Si tratta di un’impostazione presa a prestito da Nietzsche che, nel saggio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, aveva individuato nella storia antiquaria, monumentale e critica le eccezioni positive ad una generale incompatibilità della storia per la vita.

Negli anni trenta la distinzione tra storia e storiografia diventa invece vera e propria separazione di ambiti. La storiografia, nei Contributi alla filosofia, appartiene ora alla cosiddetta risonanza, ovvero la consapevolezza compiuta del nichilismo per il quale il pensiero dell’ente ha abbandonato quello dell’Essere. In questo contesto, vera e propria conseguenza della metafisica, Heidegger intende per storiografia «la spiegazione che fissa il passato dall’orizzonte delle attività calcolanti del presente». Essa, cioè il modo in cui l’uomo narra e vive solitamente la storia, è avvolta dalla più totale negatività. Negatività della quale (sia detto per inciso)  l’uomo non sa nulla tanto egli è immerso nell’esperienza vissuta della macchinazione. Continue Reading

L’idea di coscienza in Henri Bergson

Nel corso dell’ultimo ritiro filosofico è stato esplorato il tema della coscienza in rapporto alle varie posizioni riduzionistiche. Nel corso del novecento filosofico una delle più eterogenee e scandalose formulazioni dell’idea di coscienza, in rapporto alla teoria epistemologica, è senz’altro quella bergsoniana. Per certi versi – e in maniera tutt’altro che esplicita – essa risuona anche in Heidegger ed è stata, ovviamente, il bersaglio polemico di tutta una generazione filosofica francese tra gli anni ‘30 e ‘40, che ha liquidato il bergsonismo a partire dalla convinzione fenomenologica che ogni coscienza è coscienza di qualcosa

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A spasso nella casa dell’eterno

Nella parte sud della città di Brescia un lungo viale avvolto da enormi tigli incrocia via Callegari. All’angolo, nella piccola palazzina che nasconde un giardino interno, c’è la casa nella quale ha vissuto Emanuele Severino. La porta che dà sulla via è protetta da un cancelletto nero. Suoniamo al campanello e qualche secondo dopo il portoncino si apre: Anna Severino, la figlia del filosofo, ci viene incontro e ci fa entrare in quella che è diventata il Centro Casa Severino, per volontà dei figli e dell’Associazione Studi Emanuele Severino (ASES) Continue Reading

Rawls è poco machiavellico

Come è possibile gestire un insieme eterogeneo di individui all’interno di un contesto sociale? Qual è lo strumento, la legittimazione, il mezzo, attraverso cui una autorità politica può (e deve) mantenere l’unità di una società? In ultima istanza: come si può conciliare la molteplicità degli individui con la necessaria unità della giustizia e dell’ordine sociale e politico?

Queste domande sono l’Anfang, il cominciamento, di ogni teoria filosofico-politica che voglia costruire un sistema teorico applicabile alla realtà sociale. Prima di porre queste domande, ogni teoria filosofico-politica deve descrivere la natura dell’uomo.L’opera e gli studi di John Rawls (1921-2002) hanno sostanzialmente tentato di rispondere a tali questioni. Continue Reading

L’evaporazione del tatto

Dove sta andando oggi il cinema? Da “cinema della crisi”, il cinema è entrato in crisi esso stesso. Con l’intento di descrivere il periodo di crisi che stiamo vivendo da decenni, il sistema stesso è entrato in crisi senza riuscire più a uscirne, ma innescando un processo di ricerca di soluzioni che stentano ad arrivare e giungendo così ad un semplicistico tentativo di cercare di perpetuare se stesso per non morire.

Soprattutto negli ultimi anni è diventato evidente un modus operandi per cui si cerca da un lato di andare sul sicuro, riproponendo modelli vincenti e che abbiano un sicuro riscontro economico, come ad esempio la proliferazione dei film sui supereroi, dall’altro lato la crisi sembra essere diventata anche creativa e ci si spinge sulla sponda sicura delle storie già scritte e raccontate in altri modi, come ad esempio la pratica del remake di pellicole di successo del passato o prodotte in altri paesi. Un esempio su tutti che sembra essere indicativo. Il film del 2016 Perfetti sconosciuti del regista italiano Paolo Genovese non solo è stato venduto in tutto il mondo e visto nella sua versione originale da milioni di spettatori sparsi in tutto il pianeta, ma è stato rifatto e adattato in tantissimi altri contesti. Si è preso insomma un prodotto di successo e lo si è innestato in una diversa realtà sociale e politica. Fino ad oggi, a sette anni dalla sua uscita nelle sale italiane, Perfetti sconosciuti ha avuto ben 25 adattamenti che vanno dal primo prodotto in Grecia nel 2016 fino agli ultimi prodotti realizzati in Azerbaigian, Islanda e Danimarca nel 2023.

Se Walter Benjamin ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica parlava della perdita dell’aura artistica delle opere d’arte, oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di forse peggiore, almeno per quanto riguarda l’arte cinematografica: la perdita di ogni aspetto creativo. Siamo all’intrattenimento puro e semplice. C’è una stanca ripetizione di stilemi nella costruzione delle storie. La tecnica che viene insegnata nelle scuole di sceneggiatura diventa fine a se stessa, senza più l’anima che prima la caratterizzava: l’obiettivo è soggiogare lo spettatore. Che però si fa soggiogare sempre meno. 

Si potrebbe spiegare anche così il successo negli ultimi 10-15 anni delle serie televisive, rispetto al cinema vero e proprio.
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