Il successo trionfante del monismo materialistico

Come è noto, si è soliti individuare diverse forme di materialismo. Si parla di materialismo metafisico o cosmologico, per indicare la concezione che sostiene il primato della materia, la sua inderivabilità nonché la sua indipendenza dal soggetto; per esso la materia è la causa di ogni cosa e lo è mediante la forza espressa dagli atomi che la costituiscono. Il materialismo metodologico sostiene, invece, che la nozione di materia è l’unica che sia utilizzabile per la spiegazione scientifica dei fenomeni; con la nozione di materia, inoltre, si intende quella che si compone dei concetti di corpo e di movimento. Si parla di materialismo pratico o morale quando si intende sostenere una visione edonistica dell’esistenza e di materialismo storico e dialettico quando si fa riferimento alla teoria della storia, della realtà sociale e della natura sostenuta da Marx ed Engels. V’è, infine, una forma di materialismo, detto psicofisico, volta a sostenere la stretta dipendenza causale dell’attività della mente dalla materia e cioè dal cervello. La concezione dell’uomo macchina, secondo l’espressione usata da La Mettrie, si colloca in questa prospettiva e approda ad un meccanicismo, che si è andato progressivamente affermando in forza della concezione scientifica del mondo.
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L’importanza di non essere un pipistrello

L’esperimento mentale del filosofo americano Thomas Nagel, pubblicato su The Philosophical Review nell’ottobre del 1974, mira a confutare le ipotesi fisicaliste e riduzioniste che intendono spiegare il rapporto tra mente e corpo in termini puramente biologici. Nagel, ponendo una serie di problemi che s’incentrano essenzialmente sul ruolo della coscienza e su quello della soggettività individuale, parte da questo presupposto: anche se conoscessimo tutta la meccanica del cervello, anche se fossimo in grado di mappare ogni cellula che costituisce la nostra materia grigia, noi non comprenderemmo mai che cosa significhi fare un’esperienza spirituale, percepire un oggetto o provare delle emozioni. La ragione è semplice: nel momento in cui appare qualcosa alla coscienza, significa che appare qualcosa che equivale al come essere una certa altra cosa. Per dimostrare ciò, egli ricorre alla finzione di pensare a cosa si prova ad essere un pipistrello.

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la relazione come atto (VI)

Nell’ultimo saggio siamo pervenuti a questo punto teoreticamente decisivo: intendere la relazione come costrutto mono-diadico significa riproporre il circolo vizioso, il diallele. Cerchiamo di comprendere il perché e di indicare la ragione per la quale la relazione risulta intelligibile solo se intesa come atto. Continue Reading

Il modello sistemico-relazionale (IV)

Dopo avere esaminato – nei precedenti saggi – il modello riduzionistico, prendiamo in esame il modello sistemico-relazionale. Con tale modello, si impone innanzi tutto la necessità di valorizzare il costrutto relazionale. In tale modello, infatti, viene messa in primo piano la relazione e si enfatizza il suo ruolo. Continue Reading

Il monismo e la relazione negata (III)

Riprendiamo l’analisi con la seguente precisazione: per la presente ricerca, non risulta essenziale considerare l’aspetto per il quale il riduzionismo si è spesso accompagnato al determinismo.

Ci interessa sottolineare, però, che in taluni casi il riduzionismo si è saldato con una forma di naturalismo fisicalistico sempre più radicale, così che quella concezione che è stata definita “monismo materialista” può venire oggi considerata la forma più estrema di riduzionismo.

In tale prospettiva, viene bandita ogni forma di dualismo, perché ritenuta contraria alla concezione scientifica del mondo. Il dualismo, questo è il cuore della questione, viene considerato con sospetto in ogni sua forma, proprio perché contrasta con la riduzione dell’oggetto di indagine alla realtà fisica, considerata appunto l’unica realtà veramente esistente.

Il tema della contrapposizione tra monismo e dualismo è intrinsecamente vincolato al tema del riduzionismo e ora cercheremo di precisarne la ragione. Continue Reading

Le proprietà emergenti dei sistemi complessi (II)

Come abbiamo scritto nel precedente saggio, per una buona ed esauriente spiegazione scientifica del fenomeno entrambi i processi risultano essenziali: sia il processo guidato dal metodo analitico sia il processo volto a riunificare gli elementi ottenuti mediante l’analisi e che implica anche il processo che si caratterizza per le interazioni che sussistono tra tali elementi.

Ne consegue che la conoscenza scientifica, in forza del suo metodo analitico, è intrinsecamente riduzionista, perché l’intendimento non è soltanto quello di individuare i fattori che entrano in gioco nella produzione di un fenomeno, ma altresì quello di pervenire al fondamento ultimo del fenomeno stesso, cioè alle sue costituenti atomiche. Continue Reading

Riduzionismo vs complessità (I)

Questa ricerca intende riflettere sul modello riduzionista e sul modello sistemico-relazionale, che costituiscono i due principali modelli su cui si basano le odierne scienze empiriche e sperimentali. Per svolgere l’analisi, prenderemo spunto da due lavori, non recenti ma particolarmente significativi per l’indagine che ci proponiamo di svolgere. Tali lavori sono comparsi nel numero 1 del Volume 37 della Rivista “Epistemologia” e sono stati scritti da Francesco Bottaccioli e da Giovanni Villani.

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L’impossibilità di ridurre l’oggetto in sé all’oggetto percepito (IV)

Per riprendere il discorso sulle posizioni ambigue, in ordine al tema dell’oggettività, assunte da numerosi scienziati che si occupano del tema della mente, partiamo da questo punto. Ci sembra quanto mai significativo che un altro insigne neurobiologo, Edelman, in una sua opera molto importante, dopo avere fornito un avvertimento al lettore: “Il lettore ricordi, quando sarà il caso, che comunque la triade essenziale [corpo, econicchia e cervello] è sempre nella mia mente” (Edelman, 2007, 22), scriva: “Un altro errore è contenuto nell’affermazione che le categorie sensoriali come il colore e varie altre percezioni esistono nel mondo indipendentemente dalla mente e dal linguaggio” (Ivi, 37). Per poi aggiungere, citando Quine e il suo progetto di “naturalizzare l’epistemologia”: “Il soggetto riceve “un certo input sperimentalmente controllato – certi modelli di irradiazione […] e a tempo opportuno quel soggetto libera come output una descrizione del mondo esterno tridimensionale e della sua storia. La relazione tra quel magro input e quell’output torrenziale è una relazione che siamo spinti a studiare […] per vedere come l’evidenza abbia rapporto con la teoria” (Ivi, 43-44; l’opera di W.V.O. Quine, cui Edelman si riferisce, è Epistemology Naturalized). Continue Reading

Il successo trionfante del monismo materialistico

Come è noto, si è soliti individuare diverse forme di materialismo. Si parla di materialismo metafisico o cosmologico, per indicare la concezione che sostiene il primato della materia, la sua inderivabilità nonché la sua indipendenza dal soggetto; per esso la materia è la causa di ogni cosa e lo è mediante la forza espressa dagli atomi che la costituiscono. Il materialismo metodologico sostiene, invece, che la nozione di materia è l’unica che sia utilizzabile per la spiegazione scientifica dei fenomeni; con la nozione di materia, inoltre, si intende quella che si compone dei concetti di corpo e di movimento. Si parla di materialismo pratico o morale quando si intende sostenere una visione edonistica dell’esistenza e di materialismo storico e dialettico quando si fa riferimento alla teoria della storia, della realtà sociale e della natura sostenuta da Marx ed Engels. V’è, infine, una forma di materialismo, detto psicofisico, volta a sostenere la stretta dipendenza causale dell’attività della mente dalla materia e cioè dal cervello. La concezione dell’uomo macchina, secondo l’espressione usata da La Mettrie, si colloca in questa prospettiva e approda ad un meccanicismo, che si è andato progressivamente affermando in forza della concezione scientifica del mondo.
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