Sulla contraddizione dei fatti assoluti (VIII)

Per concludere l’indagine sul “Realismo Metafisico” non possiamo non occuparci della concezione di Paul Boghossian, cui si riferisce lo stesso Diego Marconi – del quale abbiamo parlato nell’ultimo articolo – allorché ricorre al cosiddetto “argomento dei dinosauri”.

Tale argomento viene usato appunto da Boghossian in un’opera che costituisce quasi un manifesto del nuovo realismo e che si intitola, nella traduzione italiana, Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo.

Boghossian assume le conoscenze scientifiche come “verità assolute”. A noi sembra che, usare l’espressione “assoluto” al plurale, sia un controsenso. Obiettiamo: poiché sono i realisti per primi che affermano che per ogni cosa esiste una ed una sola verità, come non riconoscere, allora, che ogni verità è relativa a un determinato stato di cose, a sua volta relativo a un certo modo di rilevarlo?

A noi sembra che il realismo metafisico, proprio della concezione scientifica del mondo, abbia una duplice pretesa: per un verso, pretenda di negare la verità assoluta, perché le verità vengono considerate “molteplici”; per altro verso, ma in palese contrasto con l’assunto precedente, pretenda di attribuire valore assoluto a ciascuna verità sulle singole “cose” o sui singoli “stati determinati delle cose”, perché l’accertamento viene considerato esaustivo nonché indubitabile.

Per approfondire questa critica al realismo metafisico, prendiamo in esame l’“argomento dei dinosauri” di Boghossian, che a buon diritto può venire considerato uno degli argomenti fondamentali dei realisti.

Partiamo da questo punto. Il “principio di realtà fisica” di Lewis-Schlick, volto a considerare l’esistenza del mondo come in grado di prescindere dall’esistenza dell’uomo, è uno dei cardini della scienza empirica e sperimentale, perché decreta l’assoluta indipendenza del mondo dal soggetto. Esso trova un significativo analogo nell’argomento proposto da Boghossian, che abbiamo deciso di esaminare.

Boghossian presenta tale argomento come in grado di produrre la «confutazione del relativismo globale» e così lo esprime: «Il relativista globale sostiene che non ci possono essere fatti della forma “Ci sono dinosauri”, ma solo fatti della forma “Secondo una teoria che accettiamo, ci sono stati i dinosauri”. Bene. Ma dovremmo pensare che ci sono fatti assoluti di quest’ultimo tipo, fatti, cioè, che riguardano quali teorie accettate? Ci sono tre problemi per un relativista che risponde di sì a questa domanda. Primo, e in maniera più importante, perderebbe ogni speranza di esprimere il punto di vista che voleva esprimere, cioè che non ci sono fatti assoluti di nessun tipo, ma solo fatti relativi. Finirebbe invece coll’esprimere il punto di vista che i soli fatti assoluti che esistono sono fatti circa le teorie accettate dalle diverse comunità. In altri termini, sosterrebbe che i soli fatti assoluti che esistono sono fatti circa i nostri atteggiamenti proposizionali. E questo non sarebbe più un relativismo globale. Secondo, questa sarebbe una posizione molto strana, perché è difficile credere che vi sia una difficoltà riguardante i fatti assoluti concernenti le montagne e le giraffe, ma nessun problema a riguardo di quello che le persone credono. Questo sembra davvero invertire l’ordine dei problemi. È il mentale che è sempre sembrato più problematico ai filosofi, non il fisico […]. Infine, il relativista non arriva alla sua posizione perché crede stranamente che i fatti mentali in qualche modo sono messi meglio di quelli fisici […]. La sua idea iniziale, piuttosto, è che c’è qualcosa d’incoerente nella possibilità stessa di un fatto assoluto, che si tratti di un fatto fisico, mentale, o normativo. Quindi non è veramente una via percorribile per un relativista rispondere “sì” alla domanda che abbiamo posto […] Ma che cosa significherebbe rispondere “no”? Se non è semplicemente vero che accettiamo una teoria secondo la quale ci sono stati dinosauri, questo dev’essere perché quello stesso fatto si dà solo relativamente a una teoria che accettiamo. Quindi, l’idea deve essere che i soli fatti esistenti sono della forma “Secondo una teoria che accettiamo, c’è una teoria che accettiamo secondo la quale ci sono stati i dinosauri. E ora, ovviamente, la dialettica si ripete. […] Il risultato è che il relativista circa i fatti si impegna all’idea che i soli fatti esistenti sono fatti infiniti della forma: “Secondo una teoria che accettiamo, c’è una teoria che accettiamo secondo la quale c’è una teoria che accettiamo e… ci sono stati dinosauri”. Il vero dilemma con cui il relativista globale deve confrontarsi, quindi, è il seguente: o la formulazione che ci dà non riesce a esprimere l’idea che ci sono solo fatti relativi; oppure consiste nella tesi che dovremmo reinterpretare le nostre asserzioni in modo tale che esprimano proposizioni infinite che non siamo in grado né di esprimere né di capire» (pp. 73-75).

Abbiamo citato quasi per intero il lungo passo di Boghossian perché lo giudichiamo estremamente importante per comprendere il senso del realismo metafisico. Su di esso, pertanto, vogliamo ora riflettere.

Il primo aspetto che ci sembra meritevole di attenzione è che si parla di «fatti assoluti». Ci chiediamo: per quale ragione si aggiunge l’aggettivo «assoluto» al sostantivo «fatto»? La ragione è la seguente: con tale espressione si intende sottolineare che il fatto è assolutamente indipendente dal soggetto, dunque è pienamente oggettivo. Il fatto è assoluto (ab-solutum) perché sciolto da vincoli, da relazioni. Proprio per la sua assolutezza, il fatto costituisce il fondamento dell’edificio del conoscere e vale come la realtà intesa nel suo essere in sé.

Del resto, parlare di “assolutezza” del fatto è lo stesso che parlare della sua “oggettività”. Lo si evince chiaramente da un altro passo di Boghossian, tratto dalla stessa opera: «di solito pensiamo che su una questione di fatto come quella della preistoria americana le cose stiano in un certo modo, indipendentemente da noi e dalle nostre credenze, che vi sia, insomma, un dato di fatto oggettivo sulle origini dei primi americani» (p. 19).

Ebbene, come non riconoscere che Boghossian dà voce a un convincimento ben radicato nella cultura scientifica e cioè che il mondo è venuto alla luce molto prima dell’uomo? I fatti esistevano anche prima dell’esistenza dell’uomo e, in questo senso, si tratta di fatti assoluti, cioè totalmente indipendenti dal soggetto.

La nostra opinione è che l’assolutezza del fatto debba venire adeguatamente discussa. In primo luogo, si impone la necessità di ribadire che l’espressione “assoluto” non può venire declinata al plurale. Ha senso, dunque, parlare di “un assoluto come tale”, non di “assoluti”, e ciò per la ragione, appunto, che l’assoluto si pone fuori relazione.

Se, invece, si parla di più assoluti, allora si accetta che l’uno limiti l’altro, che l’uno si ponga in relazione con l’altro, contraddicendo così l’idea stessa di assoluto. Con questa conseguenza: aut quando si parla di realtà in sé si intende veramente l’assoluto, ma allora tale realtà non può venire determinata (determinare l’assoluto equivale a riferirlo ad altro da sé) né si può parlare di più assoluti; aut si intende parlare di fatti, i quali sono determinati proprio in quanto fatti, ma allora non li si può considerare assoluti, almeno in senso stretto.

I fatti, questo è il punto, sono tali perché si inscrivono in un duplice ordine di relazioni. Il primo ordine è costituito dalle relazioni orizzontali, che vincolano i fatti gli uni agli altri e consentono a ciascuno di acquisire una propria identità in ragione del suo distinguersi da ogni altro fatto. Un fatto unico non potrebbe venire connotato come “fatto”, proprio perché non lo si potrebbe de-terminare: il limite, cioè la relazione, costituisce la condizionante posizionale di ciascun fatto, e ciò non può venire dimenticato.

Il secondo ordine è costituito da quelle relazioni che vincolano ciascun fatto al sistema o campo o dominio in cui esso “accade”. La relazione al campo, del resto, implica un’ulteriore relazione, e cioè quella che vincola il campo alla condizione che lo pone in essere. Tale condizione è il sistema che pone il campo perché lo configura (rileva), configurando (rilevando) le presenze che esistono in esso. E, poiché la configurazione del campo nonché il rilevamento delle presenze che lo compongono sono, in ultima istanza, compiute da un soggetto, si può parlare di fatti solo in riferimento ad un qualche soggetto, così che il secondo ordine di relazioni è costituito da quelle che possono venire definite verticali.

Il fatto, insomma, è inscritto in una rete di relazioni, così che parlare di “assolutezza” del fatto risulta quanto meno problematico. Boghossian, a nostro giudizio, parlando di «fatti assoluti» esprime un’innegabile esigenza di fondazione, che spinge ad assumere il fatto come condizione a parte ante dell’esperienza e, quindi, della conoscenza.

Non per niente, in tutto l’“argomento dei dinosauri” ciò che permane come certezza inconcussa è l’esistenza dei dinosauri stessi. Tale esistenza vale come fatto assoluto, come realtà in sé: possono bensì variare le forme o le teorie o gli enunciati con cui tale fatto viene espresso, ma che questo sia il fatto da esprimere rimane l’unico punto fermo. Un punto indiscutibile, pena il venir meno del senso della stessa discussione.

Il realismo metafisico muove, quindi, dall’assunto che si dia una realtà in sé, assolutamente oggettiva perché assolutamente indipendente da ogni punto di vista soggettivo (o, più in generale, da ogni sistema di rilevamento e di riferimento).

Il problema è come possa questa realtà valere come in sé e, non di meno, essere attinta (rilevata). Il realista metafisico capovolge la questione e afferma che è possibile un qualche attingimento (rilevamento) solo perché esiste una realtà in sé che può venire colta (rilevata): prima esiste la realtà in sé, poi questa realtà può anche venire colta (rilevata).

Se non che, se si vuole davvero partire dal fatto, allora si dovrà ammettere che il fatto coincide con il rilevamento (o attingimento): solo a muovere dalla realtà rilevata (colta, attinta) è possibile ipotizzare l’esistenza di quella realtà precedente e indipendente dal rilevamento (attingimento). Il rilevamento è un fatto; l’esistenza precedente al rilevamento è una mera ipotesi.

Tale ipotesi, inoltre, impone la seguente domanda: la realtà in sé permane la stessa una volta che si presenta ad altro da sé? Se si risponde affermativamente, come fa il realismo metafisico, si dovrà giustificare l’uso dell’espressione “in sé”.

La realtà in sé è la realtà indipendente da ogni relazione, da ogni punto di vista. Se tale realtà permane la medesima anche quando entra in relazione con un sistema di rilevamento/riferimento e si manifesta come un “fatto”, allora ci si viene a trovare di fronte a una nuova alternativa: o la realtà in sé si risolve totalmente nella realtà che si manifesta, ma allora eo ipso viene meno come in sé, oppure essa deve subire una intrinseca trasformazione, che la porta dal suo essere in sé (kata physin) al suo essere per noi (pros hemas).

In quest’ultimo caso, tuttavia, il problema non è stato affatto risolto. Infatti, si è introdotta una nuova relazione, quella che dovrebbe sussistere tra la realtà in sé e la realtà per noi. In tal modo, la realtà in sé, cioè la realtà assoluta, viene di nuovo costretta entro una relazione, la quale nega precisamente l’essere in sé della realtà, che è proprio ciò che invece il realismo metafisico pretende di affermare.

Riferimenti bibliografici

  • Boghossian, Paul Artin. 2006 Fear of Knowledge: Against Relativism and Constructivism. Oxford: Oxford University Press (trad. it.: 2007. Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo. Roma: Carocci).

Foto di Huang Yingone su Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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