Tracce di pre-riflessivo: il soggetto come corpo

Parlare di “stile” in Merleau-Ponty significa rifarsi ad Husserl; per quanto su questo concetto non sia esplicito il riferimento al filosofo tedesco, i due luoghi dell’opera husserliana a cui faremo riferimento non potevano non essere noti al filosofo francese.
Nel §9 della Crisi leggiamo:

Anche se noi possiamo pensare questo mondo fantasticamente mutato e anche se possiamo pensare di rappresentarci il futuro decorso del mondo, in ciò che ci è ignoto, ‘così come potrebbe essere’, nelle sue possibilità: necessariamente noi ce lo rappresentiamo nello stile in cui noi abbiamo il mondo e in cui l’abbiamo avuto finora. Possiamo giungere ad un’espressa coscienza di questo stile nella riflessione e attraverso una libera variazione di questa possibilità. […]. Appunto così ci accorgiamo che, in generale, le cose e gli eventi non si manifestano e non si sviluppano arbitrariamente, che sono bensì legati ‘a priori’ da questo stile, dalla forma invariabile del mondo intuitivo. (Husserl 1972, p. 60)

Nel §61 di Ideen II leggiamo:

In un certo senso, si può parlare dell’individualità come di uno stile complessivo e di un habitus del soggetto che attraversa, nella forma di una concordante unità, tutti i suoi modi di comportamento, tutte le attività e le passività, […]; uno stile unitario nel modo in cui certe cose ‘gli vengono in mente’, nel modo in cui gli si presentano certe analogie, in cui opera la sua fantasia […]. (Husserl 1965, p. 665)
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Nietzsche, o dell’amor fati

L’impatto generato dalla riflessione sul concetto di Postumano moderno elaborato da Leonardo Caffo e su cui ci siamo soffermati la scorsa settimana, è di straordinario interesse. Il superamento dell’antropocentrismo in direzione di un recupero della dimensione ontica (per dirlo con le parole di Heidegger), per risalire cioè alla primigenia condizione dell’essere enti o momenti all’interno di un Essere infinito che ci contiene e ci sovrasta, è uno spunto che apre interrogativi molto interessanti. Riscoprirsi parti del Tutto potrebbe svolgere una funzione fondamentale per affrontare sfide contemporanee come il cambiamento climatico o i flussi migratori. A ben vedere però, questo andare avanti, questo volersi muovere oltre l’uomo in direzione di una riscoperta della comunità, è un andare avanti e insieme un tornare indietro. È un rinunciare all’anelito, a quell’istinto di prevaricazione che nella volontà d’accrescimento individuale ha colto uno dei momenti di maggiore bellezza dell’esperienza umana. L’uomo è innegabilmente parte del Tutto, l’uomo è innegabilmente un ente al pari di tutti gli altri, eppure, allo stesso tempo l’uomo è qualcosa di diverso. Esso è monade, esso è per certi versi la personificazione di quel principium individuationis che tanti dibattiti ha generato all’interno della riflessione filosofica. Per questo pensare ad uno scenario di regressione dal piano individuale, pur nel suo fascino, ci spinge a una certa diffidenza, perché già sembra di sentir riecheggiare il monito di Zarathustra: «Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare!» (Nietzsche 1968, 11). Sin da allora, infatti, l’esigenza di un superamento dell’umanità è rimasta viva, così come la tensione verso una dimensione superiore che per Nietzsche – a differenza di Caffo e Deleuze – proprio non può prescindere dalla dimensione “superiore” dell’individuo. Non solo, proprio nella vita comunitaria e soprattutto nella sua stratificazione egli coglie il momento di massimo annichilimento di questo sentire. Continue Reading

Metafisica e meraviglia: il ruolo dell’esperienza in Schopenhauer

Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer è per lo più identificato come l’autore de Il mondo come volontà e rappresentazione. A quest’opera, e intorno ad essa, Schopenhauer ha lavorato in effetti tutta la vita. Pubblicata nel 1818, Il mondo è un’opera totale, onnicomprensiva, che si occupa di tutte le discipline filosofiche al suo interno. Dopo venticinque anni dalla prima edizione, Schopenhauer dà alle stampe un altro corposo volume che ha ancora a che fare con Il mondo e che intitola Supplementi a «Il mondo come volontà e rappresentazione». Cinquanta capitoli che ripercorrono la struttura dell’opera principale e ne commentano il contenuto, la approfondiscono, chiarendone alcuni passaggi decisivi.

Come ha scritto il compianto Giorgio Brianese nell’introduzione alla sua traduzione di entrambi i testi, i Supplementi «sono, per lo stesso Schopenhauer, due cose insieme: da un lato ampliamento e sviluppo dei temi proposti venticinque anni prima nel Mondo come volontà e rappresentazione, dall’altro quasi un’opera a sé stante, dotata di una sua autonomia e complementare alla precedente» (Schopenhauer, 2013b, IX). Leggere i Supplementi, infatti, permette di capire la stratificazione che è avvenuta “sopra” a Il mondo, la cui genesi non è stata mai interrotta, come mostrano le tre edizioni date alle stampe nel corso di quarant’anni (su questo tema: Morini, 2017). Continue Reading

Il soggetto e la conoscenza

Che il mondo reale si trovi a debita distanza da noi è un fatto apparentemente rassicurante. Dal nostro – in potenza claustrofobico – esilio del pensiero lo si può influenzare, se ne può modificare la struttura. Ciò, inoltre, ci garantisce un rifugio da tutto quello che di spiacevole accade: la mente è dunque rappresentata come una casa dentro la quale, in fondo, non piove – rovesciando il famoso adagio che Calvino aveva ripreso da Dante. 

«Il soggetto pensante, è l’oggetto della Psicologia; il complesso di tutti i fenomeni (il mondo) l’oggetto della Cosmologia» scrive Kant nella Critica della ragion pura (Kant 2005, 258) mentre è impegnato a trovare il collante fra queste due parti, l’anello mancante che permetta di farle dialogare. Il solco che le separa sembra spostarsi sempre un centimetro più in là e Kant ha la necessità di costruire un’enorme fortezza che, come dirà Schopenhauer, si può davvero solo scardinare se non passando da sotto, grazie al potere dell’intelletto.  Continue Reading

La filosofia senza individui

La filosofia, come diceva Deleuze, ha sempre a che fare con il pensiero comune. Non solo perché è necessario porre in questione le certezze che indirizzano l’ampio agire umano, ma anche perché a volte quello stesso pensiero comune (doxa) è guidato da convinzioni filosofiche, scientifiche, tecniche. In un processo di auto-correzione, potremmo dire, la filosofia è per statuto impegnata a problematizzare la realtà e lo strato più superficiale rappresentato da ciò che noi definiamo come realtà. Infatti, è sempre la filosofia che ha l’onere di occuparsi di quello spazio che Berger e Luckmann definivano “proprio” della sociologia della conoscenza (Berger-Luckmann 1966). Astraendo dall’interpretazione teoretica, i due sociologi si concentravano su un livello diverso e complementare. Perché, scrivono: «Le formulazioni teoretiche della realtà, siano esse scientifiche o filosofiche o anche mitologiche, non esauriscono ciò che è “reale” per i membri di una società. Tenendo presente questo fatto, la sociologia della conoscenza deve anzitutto occuparsi di quello che la gente “conosce” come “realtà” nella vita quotidiana a livello pre-teoretico o non-teoretico. In altre parole, il principale centro d’interesse della sociologia della conoscenza deve essere la “conoscenza” del senso comune piuttosto che le “idee”» (Berger-Luckmann 1966, p.30).

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Note su alcuni termini del linguaggio di Severino (II)

Come abbiamo visto, la difficoltà per l’uomo di intendersi re, invece che mendicante – ovvero di capire che è eterno, e non mortale –, risiede tutta nello snodo storico del “parricidio” platonico. Una cultura costruita sulla caducità delle cose non può che generare sistemi di pensiero infettati dal virus del nichilismo. Severino giunge a dire che la condizione di mortalità dell’uomo è qualcosa che egli stesso «vuole». Sarà solo liberandoci di questo fardello che potremmo entrare all’interno del cielo rischiarato dalla verità. Qui, dunque, intraprenderemo la seconda parte del percorso all’interno dei testi che, nella mastodontica opera di Emanuele Severino, si occupano direttamente della condizione dell’uomo conteso tra verità ed errore.

Le deduzioni ci hanno portato fin qui, dunque, a definire l’uomo come conteso fra verità ed errore.
Questa è la sua “condizione”. Ma qual è la sua essenza?

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Note su alcuni termini del linguaggio di Severino (I)

Se è vero che la filosofia si è sempre interessata alla vita – ed è, per chi scrive, proprio così –, essa deve anche “calcolare” il suo impatto sulla condizione umana. Spinoza diceva che il vero filosofo si occupa della vita e non della morte, perché potremmo dire, la morte è oltrepassata dalla filosofia. Una situazione analoga è rintracciabile nella formulazione filosofica di Emanuele Severino. La morte – per come viene intesa dalla filosofia occidentale e dalla sua appendice tossica, ovvero il nichilismo metafisico – è smascherata nella sua inessenzialità. Vorrei qui rivolgere il mio interesse alla “condizione dell’uomo” all’interno del sistema severiniano. Dalle sue riflessioni ontologiche, infatti, segue una prospettiva necessaria che investe l’uomo e la sua essenza. Egli è legato a concetti come isolamento della terra, apparire empirico e apparire trascendentale, alienazione e non-verità.
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«L’Io e l’Egoismo sono una cosa sola»: Schopenhauer e la questione dell’identità individuale (I)

Pubblichiamo la prima parte della lezione magistrale tenuta ieri dal nostro Maurizio Morini nella sala conferenze del Museo Nazionale Goethe di Weimar in Germania. La lezione, svoltasi in lingua tedesca con il titolo Ein Ich und Egoismus sind Eins: Schopenhauer über die Frage der individuelle Identität, è durata oltre cinquanta minuti ed ha inteso mettere a fuoco il tema della soggettività individuale nell’ambito di un programma dedicato ai rapporti tra Goethe e Schopenhauer. Il convegno, dal titolo Ob nicht Natur zuletzt sich doch ergründe…?, che si conclude oggi dopo tre giorni di lavori, è stato organizzato dalle Gesellschaft dedicate ai due grandi pensatori ed ha visto la partecipazione di un’ottantina di persone tra docenti, ricercatori e studiosi di vario genere. La seconda parte dell’intervento sarà pubblicata la prossima settimana.

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Spinoza, l’individuo che vive nell’eternità (II)

Come premessa necessaria allo sviluppo del discorso avviato la scorsa settimana, bisogna ricordare che la nozione di individuo in Spinoza non è riferita alla mente, in quanto la mente è un modo del pensiero che non ha nulla in comune con l’estensione e non può quindi essere costituita da corpi: se l’individuo coincide con un corpo (per sua natura composto), questo a sua volta costituisce una cosa singola che si identifica di fatto con corpi e cose singolari. Tuttavia la distinzione che abbiamo visto tra esistenza singola di un corpo in atto ed essenza del corpo ha la sua necessaria corrispondenza sulla dottrina della mente in cui l’eternità trova fondamento nell’amor dei intellectualis.

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