Spinoza e Anassimandro contro tutti

Nell’ultimo articolo dell’anno ci rivolgiamo, come tradizione, al nostro classico per eccellenza: Baruch Spinoza. In un recente articolo a firma di un nostro amico e collaboratore, viene ricordato il necessitarismo di Spinoza, nei confronti del quale cade la categoria di possibilità, intesa come realtà che deve ancora compiersi. Ma, aggiungiamo, cade anche la stessa categoria di determinismo la quale, se ammette il principio per cui ogni effetto è determinato da una causa, non esclude il prodursi di altri ordini o serie causali: in altre parole, il necessitarismo spinoziano implica non solo che il prodursi di un certo evento sia condizionato da un altro (principio di ragion sufficiente) ma che quello stesso evento non poteva non prodursi (per questo motivo si dice radicale). Questa distinzione (necessitarismo vs determinismo) ci suggerisce poi ulteriori specificazioni in merito ad altri indirizzi, termini o correnti della storia della filosofia.

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La Saggezza straniera di Arnaldo Momigliano fra storia e filosofia

La prima e originale versione di Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture, uscì in lingua inglese nel 1975. Venne poi tradotta e pubblicata in italiano nel 1980 da Einaudi che, ora, ne propone una nuova versione. Il volume raccoglie delle sessioni di lavoro e dei seminari che lo storico Arnaldo Momigliano ha composto tra Cambridge e il Bryn Mawr College, e rappresenta un grande esempio di erudizione e metodo. La domanda a cui l’intera ricerca prova a rispondere si trova a metà fra la storia e la filosofia: qual è stato l’atteggiamento dei Greci di fronte alle altre culture di cui ha fatto conoscenza? L’Ellenismo, infatti, considerata come la fase finale del predominio greco – parabola storico-culturale che si intende chiusa con la battaglia di Azio nella quale i Romani si assicurarono le terre egiziane (31 a.C.) ―, è il periodo nel quale i Greci conobbero da vicino Romani, Celti, Ebrei,  Egiziani, Iranici, e più o meno tutte le realtà culturali che facevano riferimento allo spazio mediterraneo.

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Necessitarismo e attualismo modale in Spinoza

«è allora necessario che chi ama l’intelligenza e la scienza vada alla ricerca delle cause prime della natura ragionevole, e in seguito, le cause che si generano da altre cause e che di necessità ne muovono altre»
Platone, Timeo

L’opera matura di Spinoza, alla quale è dedicato il secondo articolo della sezione sulle Forme della ragione nel pensiero moderno, rappresenta un tornante decisivo della storia della filosofia. L’Ethica more geometrico demonstrata dona un nuovo “ordine” all’universo concettuale tradizionale, stravolgendo – spesso radicalmente – le coordinate teoriche e le costellazioni semantiche della storia del pensiero. Passo dopo passo, Spinoza ridiscute con rigore matematico gli “elementi” del sapere filosofico e, sotto la spinta di una ragione equanime, le nozioni classiche come quelle della modalità assumono una nuova fisionomia.

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Il ritorno a Parmenide e il parricidio (di nuovo) mancato

Il ritorno a Parmenide, motto con il quale Emanuele Severino ha connotato il programma della sua filosofia, costituisce in realtà la più radicale negazione del pensiero dell’eleate. La questione è stata una delle più dibattute nell’ultimo ritiro filosofico che, dedicato al rapporto tra pensiero e linguaggio nel pensiero del grande filosofo bresciano, ha sostanzialmente finito per sottoporre ad indagine dettagliata la sua opera fondamentale, ovvero la Struttura Originaria. Legata al tema dell’identità, così come avevamo già messo in rilievo in un altro precedente articolo, la conseguenza decisiva di quel ritorno consiste in una sorta di conferimento all’ente di tutte quelle caratteristiche che precedentemente erano state attribuite all’essere. Si verifica insomma un vero e proprio rovesciamento: ponendo al centro la relazione oppositiva, ovvero il luogo del disporsi dell’essere e del non essere, non solo si finisce per decretare l’essere del non essere (l’ente) ma si fa della relazione negativa (l’opposizione) il grande tema della metafisica. 

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Dafne, o del divenir altro

Il testo Ontologie de l’accident, originariamente pubblicato nel 2009 per Éditions Léo Scheer da Catherine Malabou, è ora disponibile anche in italiano, grazie all’edizione curata da Valeria Maggiore per Meltemi.

Il testo di Malabou è singolarmente rilevante, da un punto di vista filosofico, poiché apre direttamente allo studio della scienza dell’“accidente”. Per l’autrice, l’accidente consta dell’elemento traumatico, del risultato connaturato in cui inevitabilmente incappa il soggetto che esperisce un mutamento del proprio essere, un cambiamento essenziale. L’accidente non è in questa sede associabile alla “casualità” del senso comune, a ciò che sfugge all’indagine scientifica in quanto “non necessario”, né tantomeno al “potere di non” che caratterizzava la metafisica aristotelica.

Anzi, ciò che qui è in gioco è proprio il tentativo di una migliore comprensione dell’impossibilità, vale a dire di un concepibile «esaurimento dei possibili», cui un esperiente può trovarsi concretamente a giungere: proprio questo svuotamento darebbe origine, per mezzo della propria soppressione ontologica, a nuove ed imprevedibili forme di possibilità, a rivoluzionarie ed insospettabili modalità d’essere.

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Cartesio e la teoria modale dell’inconcepibilità

«Considera questo: il santo viene amato dagli dei in quanto è santo, oppure in quanto vien amato è santo?»
Platone, Eutifrone

 

Inauguriamo la nuova rubrica di storia della filosofia, Forme della ragione nel pensiero moderno, riservata alla discussione di alcuni concetti cardine che hanno caratterizzato il dibattito filosofico in età moderna. Esploreremo le torsioni semantiche e i rimodellamenti concettuali esercitati sul lessico filosofico tra il xvii e gli inizi del xix secolo, attraverso l’analisi dell’opera di alcuni autori scelti. Apriamo la rubrica con una serie di cinque articoli dedicati ai concetti modali, primo dei quali vede protagonista il celebre filosofo e matematico francese René Descartes. I concetti modali di “necessario” e “contingente” o di “attuale” e “possibile” sono largamente impiegati nella letteratura filosofica, senza tuttavia restituirci un significato univoco. Al contrario, diversi autori – pur argomentando secondo ragione – giungono a elaborare teorie modali tra loro alternative e spesso inconciliabili. Si profila così nel corso del pensiero moderno un quadro in continua trasformazione caratterizzato da una polisemia dei concetti modali.

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Spinoza sull’inutilità dell’uccisione del tiranno

«L’unica remora rispetto alla eliminazione violenta del monarca era il rischio di vederne sorgere uno peggiore»
Luciano Canfora, Convertire Casaubon

Riprendiamo la rubrica sul Filosofo e la città con una serie di quattro articoli sul tirannicidio. Si tratta di una questione classica che riguarda la domanda circa la liceità dell’uccisione del governante che esercita in maniera dispotica e violenta il potere. Questa soluzione, secondo la visione del primo autore che prendiamo in considerazione, Baruch Spinoza, è sostanzialmente inutile. Dell’inutilità del tirannicidio Spinoza discute in modo rigoroso nel Tractatus politicus, dando fondata ragione sia dell’ingenuità della classicheggiante esaltazione del tirannicida, sia della dissennatezza delle teorie di monarcomachi e gesuiti del Seicento. Che il massimo teorico della democrazia come del regime più conforme alla ragione, alla sicurezza e alla libertà dei cittadini debba essere per questo considerato un fautore dell’assolutismo e un nemico del diritto di resistenza del popolo al tiranno? La critica spinoziana alle dottrine monarcomache di matrice cristiano-liberale viene invece qui ricondotta nel solco del pensiero repubblicano e del realismo politico che da Machiavelli risale fino a Senofonte.

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Fondamento e Sistema

Nella prima sessione del XVII Ritiro Filosofico, svoltosi il 21 e 22 settembre, la riflessione ha preso le mosse da una semplice domanda: perché vige, in filosofia, la differenziazione fra pensiero e linguaggio? In realtà, una consistente parte della filosofia novecentesca ha sostenuto che solo quest’ultimo esiste veramente, poiché il pensiero si riduce essenzialmente al linguaggio. Tuttavia è da questa stessa separazione, potremmo dire originaria, che il prof. Aldo Stella ha offerto la sua lettura di Anassimandro e Parmenide, proponendo un modello ontologico-teoretico di indubbio interesse. Del resto, ha argomentato principalmente nella prima sessione, se il linguaggio è espressione del pensiero egli rinvia a quel qualcosa di cui esso è segno e pertanto è contradditorio pensare la coincidenza del secondo nel primo.

Risiede già qui uno snodo decisivo nel proseguo dell’argomentazione (per ascoltare il podcast, clicca qui). Infatti, nella misura in cui ci collochiamo all’interno dell’universo empirico-formale, ovvero quello del linguaggio, siamo costretti a oggettivare la «condizione incondizionata che richiediamo come fondamento del sistema dei condizionati», ovvero dei determinati.

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Heidegger e Bergson: il “dire” nel tempo

Nel Novecento filosofico è possibile rintracciare un’infinita schiera di posizioni metafisiche. Ce ne sono due però che da un lato appaiono convergenti e dall’altro mostrano differenze sostanziali e distanze incolmabili. La metafisica heideggeriana e quella bergsoniana, infatti, vengono spesso accostate perché entrambe si rivolgo al tempo come a una categoria da reinnestare nel discorso filosofico. Sebbene tale osservazione sia corretta, è altrettanto corretto sostenere che il concetto di tempo a cui si rivolge Heidegger e quello che prende in esame Bergson sono assai diversi. Tuttavia, in questa riflessione non vorrei rivolgere l’attenzione a tale aspetto, bensì (in vista del Ritiro Filosofico che si svolgerà il 21 e 22 settembre) alla postura che i due assumono nei confronti del linguaggio.

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Heidegger e Lacan: ascolto del linguaggio, ascolto dell’essere

If we want to reflect philosophically on Language it is necessary to differentiate the concept of language as communication and the concept of language as a philosophical problem in itself: human beings do not speak, but are spoken by Language, and we can only listen to Language by listening to its silence. This second point of view on language entails many consequences, like psychoanalytic theorizations which considers human beings as a speaking beings. This condition of instinctual lacking in human beings (theirs condition of dependence on the Other) makes language a way to have social recognition, which realizes itself upon founding the institutions. The Law formalizes the social relations as symbolic recognizing. In the “communication society” the role of Language (also as Law) in the human beings’ life is reduced more and more as a function of administrative and commercial transactions, entailing a degradation of social links.

La morte non è
Nel non poter comunicare
Ma nel non poter più essere compresi
(P.P. Pasolini, 1964, p. 113).

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