Un filosofo antico

L’eredità di un pensatore risiede nella visione anticipata delle cose o, più nello specifico, nella adattabilità che il pensiero deve avere rispetto al cambiare dei contesti. Si è eredi di un filosofo nella misura in cui si rintraccia una valenza – simbolica e non solo – del suo pensiero e lo si vive nella realtà contingente. 

I segni di vita che Federico Leoni (Università di Verona) ripercorre, descrivendo ciò che Henri Bergson ha lasciato al pensiero, viaggiano nel doppio senso di marcia sopra descritto. Henri Bergson, segni di vita (Feltrinelli) è infatti il volume che Leoni dedica al filosofo francese che prima di tutti e, forse più di tutti, si è riappropriato di uno sguardo greco nei confronti delle cose. Bergson è il filosofo del mutamento e del movimento, dell’intraducibile mouvant, pensatore di una nuova filosofia della natura che si sgancia definitivamente dalla rigidità del moderno.  Continue Reading

La luce del proiettore

L’immagine-tempo
«
Lo schermo stesso è la membrana cerebrale in cui si affrontano immediatamente, direttamente, il passato e il futuro, l’interno e l’esterno senza distanza assegnabile, indipendentemente da qualsiasi punto».

Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una trasformazione del cinema in tempo e pensiero. L’immagine cinematografica ha reso atto ciò che nelle altre forme d’arte era solo potenza. Fondamentale è la questione del tempo. È infatti opinione comune che l’immagine cinematografica sia al presente, ma forse questa è l’evidenza più falsa di tutte. Non esiste infatti un tempo presente che non sia ossessionato dal passato e dal futuro, da un passato che è presente passato e un futuro che è un presente da venire. È vero che la successione dei fotogrammi descrive il presente, ma ogni presente coesiste con un passato e con un futuro senza i quali il presente non sarebbe ciò che è. Solo il cinema può cogliere questo passato e questo futuro che coesistono con il presente, metterli insieme e creare qualcosa di unico. Filmare ciò che è prima e ciò che dopo. «Questo è il cinema», afferma Godard in una intervista al quotidiano Le monde del 1982, «il presente non esiste mai, salvo che nei brutti film».  Continue Reading

Ritornare dall’esilio

Non c’è peggior cosa che vedersi talmente piccoli da sentirsi schiacciati e inutili. L’eco-ansia, ad esempio, è una forma riconosciuta di immobilismo che porta nelle persone disturbi di carattere emotivo e relazionale, a causa della gigantesca portata distruttiva dei cambiamenti climatici. Più in generale, è una condizione umana tipica che nel nostro mondo globalizzato, sempre in vetrina e in una situazione di iper-informazione, può alimentarsi e crescere. All’interno di questa “bolla” i maggiori problemi, quelli che coinvolgono a vari gradi tutti gli strati sociali, sembrano insolubili. Il futuro non appare incerto, piuttosto assume la forma di una minaccia. 

La reazione a questa condizione è ciò che differenzia il nostro entrare in rapporto sia con le minacce (reali, inventate, sopravvalutate o sottovalutate che siano), sia con il nostro essere parti in causa di tali minacce. Sono due le vie praticabili: a) lavorare per una rivoluzione, quindi pensare di poter anestetizzare la caduta con il rovesciamento dei sistemi politici e culturali che hanno provocato la minaccia; b) riappropriarsi dei corpi e della loro situazionalità, restituendogli un dominio di azione. Questa seconda è la tesi di Miguel Benasayag e Bastien Cany che nel loro recente Corpi viventi. Pensare e agire contro la catastrofe (Benasayag-Cany 2022) provano a liberare la razionalità dell’individuo moderno dal proprio esilio, per tornare alla centralità del corpo non in quanto espressione singolare bensì come interfaccia con il vivente. 

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Nelle cose l’avanzare degli eterni

È nel grandioso Commento alla Fisica di Aristotele di Simplicio che troviamo la traccia considerata più autentica del pensiero di Anassimandro. Nella traduzione di Giorgio Colli la sentenza suona così:

Le cose fuori da cui è il nascimento alle cose che sono, peraltro, sono quelle verso cui si sviluppa anche la rovina, secondo ciò che dev’essere: le cose che sono, difatti, subiscono l’una dall’altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo (Colli 1978, 155) Continue Reading

Che cos’è il virtuale?

Nello spot pubblicitario con cui Meta, la società di Mark Zuckenberg che ingloba tutte le sue piattaforme, compresa quella legata al progetto sul metaverso, si dice che quest’ultimo sarà utile anche alla realtà. «Il suo impatto – dice il claim finale – sarà reale». Lo sarà, sostiene la narrazione pubblicitaria, poiché un chirurgo potrà operare moltissime volte nel metaverso, prima di entrare fisicamente in sala operatoria; perché un gruppo di studenti potranno tornare al 32 a.c. e parlare con Marco Antonio. 

Come si vede già da questo tentativo di descrizione, i giochi linguistici che abbiamo dovuto attivare sono molteplici e l’ambiguità di alcune parole viene smorzata o, almeno, spostata da una parte invece che dall’altra, grazie a un termine che svolge il ruolo di àncora a tutto il discorso: reale. La definizione di reale/realtà è, infatti, così scontata e forte da non essere mai posta in dubbio. Ma in che rapporto si trova con il concetto di virtuale? E, più indietro, cos’è il virtuale? 

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L’uomo, l’animale che sperimenta

Per Kierkegaard il divenir-animale è la liberazione dalle infrastrutture linguistiche che ci fanno continuamente affermare “io”, che mi permettono di essere al contempo presente e assente, poiché se per un verso affermando io mi “oggettivizzo”, dall’altro perdo e abbandono la gran parte delle mie possibilità (come abbiamo detto più lungamente qua). 

Il concetto di divenir-animale si ritrova in Mille piani di Gilles Deleuze e Felix Guattari come sintesi del piano di immanenza. Ma cosa intendono i due autori con il divenir-animale?  Continue Reading

Sulla passività nel pensiero di Bergson e Merleau-Ponty

L’ontologia si fa estetica. Un nuovo punto di partenza
In Evoluzione creatrice, la passività è raffigurata dalla «materia» (Bergson 1959, 603). Essa è quella «resistenza» che lo slancio vitale deve superare per prolungare la sua «spinta», ma è anche – e soprattutto – la «spazialità» che ne permette la manifestazione, come chiarito anche ne Le due fonti della morale e della religione (Bergson 1959, 1191-1194). Non solo: la materia è anche l’altro volto dell’attività creatrice dello slancio, è la ricaduta o la riconversione attuale di questa forza propulsiva. Essa è il nome del suo «affaticamento», del suo venire meno in quanto «tendenza prima» (Bergson 1959, 595-596; Valenti 2019, 283). 

Come ho mostrato in alcuni studi pubblicati, quest’anfibolia non è risolvibile secondo il quadro concettuale offerto da questo testo (Valenti 2020, 268-287; Valenti 2019b). Non è chiaro, in ultimo, cosa esattamente sia questa “corrispondenza” alla virtualità dello slancio bergsoniano, il luogo che accoglie il suo farsi spazio. È il caso, per rispondere a questa domanda, di fare un passo indietro. Occorre prendere in considerazione altri documenti, allo scopo di suggerire una visione più ampia sulla questione della passività. Ecco perché, a mio avviso, è opportuno ripartire da Materia e memoria, uno studio che consente di porre la questione della relazione tra spirito e materia da un punto di vista specificamente estetico.

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Per una politica extra-statuale. L’individuazione nella lettura deleuziana di Spinoza

Ragionare sul concetto di individuo vuol dire misurarsi con una complessità irriducibile. L’individuazione, essendo soggetta agli smottamenti della storia, ricusa infatti una definizione unitaria, talché – ad esempio – non si potrebbe costringere l’individualità nella serra del principio identitario senza smarrire il polimorfismo politico della nozione. La filosofia di Gilles Deleuze, a tal proposito, proprio perché tenta di pensare l’individualità fuori dello spettro coscienzialistico, si attesta come una lunga variazione sperimentale sul tema preso in esame. In questa sede, tenendo fermo questo presupposto, avremo cura di studiare l’eco politica della teoria dell’individuazione formulata dal filosofo francese attraverso la sua esegesi di Spinoza.

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Prove per il superamento dell’umano

Nel tentativo di rispondere alla domanda più difficile per chiunque si interessi di filosofia – Che cos’è la filosofia? – Deleuze e Guattari descrivono cos’è, quali caratteristiche e a cosa è necessario il piano d’immanenza. Esso si situa “prima” dei concetti (che sono ciò di cui si compone il pensiero filosofico) ed è, per questo, pre-filosofico ((cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino 2002, p. 31.)). Il piano d’immanenza è l’orizzonte assoluto, la conditio sine qua non del pensiero filosofico alla cui concettualizzazione, però, sfugge. Perché la filosofia possa intuire la potenza del piano d’immanenza e la sua appartenenza a quello “spazio” deve non solo sganciarsi dal linguaggio (il segno non è mai la cosa segnata), ma retrocedere. Fare un passo indietro. Questo passo indietro è fondamentale affinché l’uomo non pensi più come individuo singolo, ma si ponga nella condizione di poter pensare in comunione. Questo passo indietro sconvolge la vita di chi lo compie, ed ecco anche perché la filosofia è – in fondo – un atto di coraggio. Continue Reading

L’evento non è un accidente

La nozione di evento ha goduto di uno scarso interesse in ambito filosofico fino all’inizio del XX secolo quando – schiacciato fra una meccanica quantistica che propugnava una possibilità di verità meramente probabilistica; una letteratura che sempre più narrava la singolarità dell’individuo e il suo spaesamento; una storia spaccata in due fra la necessità politica di svolgere un grande racconto e l’altra necessità anti-sistema di dare testimonianza, appunto, degli eventi – ha acquisito una nuova vitalità. Continue Reading