Uno Spinoza tantrico

Che Spinoza fosse considerato l’ospite orientale della filosofia occidentale lo sapevamo già con Hegel. Che Spinoza, insieme a Bruno, fosse idealmente nato e cresciuto sulle rive del Gange lo aveva intuito Schopenhauer. Che Spinoza fosse, nel contesto dell’ampio mondo della spiritualità vedica, affine alla famiglia del tantrismo, lo stiamo imparando mano a mano che la conoscenza delle filosofie orientali progredisce in Occidente. Questo grazie anche ad un serio approccio al significato dello yoga, pratica meditativa tesa ad unire mente e corpo. 

Così, una volta uniti tutti questi puntini, si ottiene quello che Andrea Sangiacomo, un giovane filosofo italiano in servizio presso un’università olandese, ha definito, in un suo libro di recente pubblicazione, Lo Yoga di Spinoza con il sottotitolo significativo di pratica della potenza ed esperienza dell’infinito.

Lo yoga è una disciplina antichissima che unisce pratiche fisiche, mentali e spirituali con l’obiettivo di raggiungere equilibrio, consapevolezza e benessere interiore. Il termine yoga deriva dalla radice sanscrita yuj, che significa “unire” o “congiungere”, riferendosi all’unione di corpo, mente e spirito. Numerosi sono i tipi di yoga della tradizione orientale di cui solo una parte sono conosciuti in occidente. Bene dunque ha fatto l’autore ad intitolare il suo libro lo Yoga di Spinoza, cercando di individuare la pratica che meglio si accorda alla teoria dello spinozismo. Continue Reading

Istituire la vita

In un libro recente Roberto Esposito esplora a fondo l’idea di istituzione (Esposito 2023). Il tema, già sviluppato in lavori precedenti (si veda Esposito 2020), è quello dell’istituzione intesa come prassi umana che diviene giuridica in quanto punto di concentrazione delle innumerevoli relazioni che innervano e costituiscono la vita naturale dell’uomo. L’idea di istituzione è centrale nella riflessione giuridica del XX secolo (non solo Hauriou [1925] 2019; Romano [1918] 2018; ma anche, fuori dalla vulgata, il Carl Schmitt correttamente inteso: Croce e Salvatore 2020), ma Esposito estende il campo della ricerca e si cimenta nel tentativo di «proiettare una prospettiva istituente sul pensiero moderno, reinterpretandolo a partire da essa. Questa inversione prospettica mi ha consentito di leggere alcuni autori – Machiavelli, Spinoza, Hegel – in una chiave inconsueta rispetto alla loro collocazione canonica, riconoscendo in essi i prodromi della teoria delle istituzioni come si è andata formulando nell’ultimo secolo» (Esposito 2023, vii).

Tutte le epoche misurano il proprio orizzonte di senso giuridico sulla capacità di istituire la vita secondo una legge fornita di valore universale. A tal fine, è dunque decisivo il riferimento alla parola, che è giuridica solo in quanto espressa linguisticamente. il Nomos dunque è formulabile soltanto come Logos. Facendosi Nomos, la lingua si distacca dalla vita biologica in cui è originariamente inscritta, autonomizzando l’uomo dalla sfera naturale. È tale processo di emersione del Nomos, attraverso l’esperienza dell’istituzione, che estrae il propriamente umano dal magma della natura (Esposito 2023, 8).

Nelle pagine del libro di Esposito vengono via via messi a fuoco alcuni concetti cardine del pensiero istituzionale, che hanno plasmato il canone giuridico occidentale fino ai giorni nostri.

Vediamoli.

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A spasso nella casa dell’eterno

Nella parte sud della città di Brescia un lungo viale avvolto da enormi tigli incrocia via Callegari. All’angolo, nella piccola palazzina che nasconde un giardino interno, c’è la casa nella quale ha vissuto Emanuele Severino. La porta che dà sulla via è protetta da un cancelletto nero. Suoniamo al campanello e qualche secondo dopo il portoncino si apre: Anna Severino, la figlia del filosofo, ci viene incontro e ci fa entrare in quella che è diventata il Centro Casa Severino, per volontà dei figli e dell’Associazione Studi Emanuele Severino (ASES) Continue Reading

Ragione e rivelazione, due nemiche irriducibili

Ci sono molti modi per affrontare il problema del rapporto tra fede e ragione: la filosofia che accetta la rivelazione oppure la rivelazione che accetta la filosofia; la filosofia che viene posta come pari alla teologia oppure collocata in modo ancillare (e viceversa); infine fede e ragione pensate in collaborazione verso un fine superiore oppure in radicale conflitto.  

Quest’ultimo è stato il modo in cui quel rapporto è stato interpretato da Leo Strauss in una storica quanto drammatica lezione tenuta al seminario teologico di Hartford, Connecticut, l’8 gennaio del 1948.  In quella lectio magistralis, dal titolo Reason and Revelation, Strauss esaminava fede e ragione nell’arena del conflitto, come si espresse esplicitamente; non cercava cioè di riunire gli elementi comuni che potevano garantire un accordo tra le due ma ne evidenziava i loro principi ultimi che le separavano in maniera irriducibile. Se la filosofia pretende di essere la vita nella conoscenza, la rivelazione la vita nell’obbedienza a Dio: ecco allora l’alternativa tra Atene e Gerusalemme, assunte rispettivamente come modello dell’antichità e modello della modernità. Vero che entrambe, filosofia e rivelazione, nascono come critica del mito e sono entrambe anti idolatre. La filosofia intende però questa sua natura come ricerca della verità, la conoscenza cioè come via alla felicità umana. Cosa che costituisce, osserva Strauss, il principio diametralmente opposto a quello biblico, quintessenza di ogni religione rivelata, in cui l’alternativa al mito è l’obbedienza al dio vivente.  Continue Reading

Il Dio di Spinoza, così lontano così vicino

Non si potrà mai insistere abbastanza sul fatto che il Dio di Spinoza, non solo rispetto alla tradizione religiosa, ma anche rispetto alla tradizione filosofica occidentale, sia un Dio di altra natura. Il modo principale per cercare di intenderlo è l’osservazione che Spinoza parte da Dio, come dice spesso nella corrispondenza con gli amici.
In che senso? Partire da Dio significa che l’intelletto umano è costituito dall’idea chiara e distinta di Dio: se l’intelletto umano non fosse costituito da questa idea chiara e distinta, non potrebbe partire da Dio. Ciò implica due rifiuti: da un parte quello di Cartesio che era partito dall’Io e dal Cogito; dall’altra il rifiuto della tradizione scolastica, la cui idea fondamentale è che l’intelletto umano non possiede un’idea chiara e distinta di Dio: secondo San Tommaso infatti l’idea di Dio, considerata in sé (quod ad se), è quanto di più chiaro e distinto ci possa essere; per l’intelletto umano (quod ad nos) non lo è.

Il ragionamento di Spinoza è molto più forte di quanto possa sembrare. Ed egli lo dimostra ricorrendo all’esempio paradossale secondo cui se anche rimanendo nell’amore di Dio non dovessimo conseguire la vita eterna, sarebbe comunque preferibile per l’intelletto umano rimanere in Dio. Per l’uomo infatti trovare qualcosa di meglio di Dio è totalmente insensato: come se un pesce, non potendo raggiungere nell’acqua la vita eterna, volesse vivere sulla terra abbandonando così il suo elemento naturale.

Questa radicalità di Spinoza nell’intendere Dio e l’intelletto umano non si accompagna però con l’utilizzo di un lessico altrettanto nuovo. Anzi, da questo punto di vista Spinoza è apparentato alla tradizione filosofica in molti aspetti della sua dottrina tanto da ingenerare equivoci e malintesi. Ciò avviene soprattutto a riguardo del concetto di causa efficiente, che accomuna sia il Dio di Spinoza che quello della tradizione scolastica medievale. I punti su cui dobbiamo incentrare la nostra attenzione sono almeno tre. Continue Reading

Che cosa sono analisi e sintesi?

In questa serie di articoli nei quali proviamo ad indagare filosoficamente il significato di alcuni termini di uso comune, non tanto per mostrarne l’errato utilizzo quanto piuttosto per arricchirne il senso e darne una lettura di più ampio respiro, abbiamo per forza avuto un approccio analitico in alcuni momenti. L’analisi, infatti, è uno dei versanti del processo gnoseologico che più comunemente si intende come il nostro processo gnoseologico. L’altro lato di questo promontorio è la sintesi. Analisi e sintesi, quindi, vanno a comporre una diade conoscitiva che per lo più intendiamo come lineare e collegata.

Nel tentativo di proporre una definizione: l’analisi è la scomposizione di un elemento che si vuole conoscere; la sintesi è la ricomposizione alla luce di ciò che si è inteso dello stesso elemento. L’osservazione analitica (lo si dice pure delle persone, dell’approccio che hanno nei confronti del modo di conoscere le cose) è orientata verso i punti che compongono le figure, mentre lo sguardo sintetico ci racconta di una “astrazione” che è riassemblaggio di parti suddivise.  Continue Reading

Nelle cose l’avanzare degli eterni

È nel grandioso Commento alla Fisica di Aristotele di Simplicio che troviamo la traccia considerata più autentica del pensiero di Anassimandro. Nella traduzione di Giorgio Colli la sentenza suona così:

Le cose fuori da cui è il nascimento alle cose che sono, peraltro, sono quelle verso cui si sviluppa anche la rovina, secondo ciò che dev’essere: le cose che sono, difatti, subiscono l’una dall’altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo (Colli 1978, 155) Continue Reading

La dottrina del miracolo di Adriaan Koerbagh

La credenza nei miracoli, definibili come eventi che modificano l’ordine necessario della natura, costituisce un crocevia fondamentale per quanto riguarda l’adozione di un modello di pensiero trascendente o immanente nella cultura e nella società. Ammettere la possibilità dei miracoli significa escludere un criterio normativo per la lettura dell’ordine del mondo e riconoscere una dimensione non intelligibile capace di modificare in ogni momento la realtà naturale secondo i propri oscuri criteri.
La questione del miracolo è più complicata di quanto si possa pensare [1]. La riflessione su questo argomento ha dovuto fare i conti con concezioni radicate nel senso comune e confermate dal sistema teologico-politico. Con l’avvento del pensiero moderno, la credenza nei miracoli non viene meno se anche un autore come Hobbes riconosce ancora la loro possibilità [2]. Bisognerà attendere un filosofo definito “ateo” e “maledetto” come Spinoza affinché la questione venga liquidata definitivamente in base alla dichiarazione che i miracoli sono impossibili e che essi costituiscono il segno tangibile dell’ignoranza umana [3]. Rispetto a quanto si credeva fino a pochi anni fa, Spinoza non è tuttavia l’unico pensatore che abbia esplicitamente respinto la credenza nei miracoli.

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Una luce che brilla in luogo oscuro: Adriaan Koerbagh

Molti sono i nodi ancora da sciogliere intorno a Adriaan Koerbagh, soprattutto per il suo rapporto con la filosofia dell’amico Spinoza. Nonostante i numerosi punti di contatto infatti, la riflessione koerbaghiana assume una piega più estrema rispetto a quella spinoziana e, sebbene possa indurci a considerarlo come un deciso anticipatore di quell’illuminismo la cui paternità è forse troppo superficialmente attribuita in massima parte a Cartesio e Bacone, lascia ampio spazio alle critiche, soprattutto per le derive politiche implicate. Continue Reading

l’uomo di Kiev

Nel 1966 lo scrittore americano Bernard Malamud, figlio di due ebrei russi immigrati in America,  dà alle stampe uno dei suoi migliori romanzi, The Fixer (in italiano il titolo è L’uomo di Kiev). Il romanzo valse al suo autore il National Book Award e il premio Pulitzer, due dei maggiori riconoscimenti ai quali uno scrittore americano possa aspirare.

L’uomo di Kiev, al di là del suo indiscutibile valore letterario, evidenzia un aspetto filosofico degno di nota. Continue Reading

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