Istituire la vita

In un libro recente Roberto Esposito esplora a fondo l’idea di istituzione (Esposito 2023). Il tema, già sviluppato in lavori precedenti (si veda Esposito 2020), è quello dell’istituzione intesa come prassi umana che diviene giuridica in quanto punto di concentrazione delle innumerevoli relazioni che innervano e costituiscono la vita naturale dell’uomo. L’idea di istituzione è centrale nella riflessione giuridica del XX secolo (non solo Hauriou [1925] 2019; Romano [1918] 2018; ma anche, fuori dalla vulgata, il Carl Schmitt correttamente inteso: Croce e Salvatore 2020), ma Esposito estende il campo della ricerca e si cimenta nel tentativo di «proiettare una prospettiva istituente sul pensiero moderno, reinterpretandolo a partire da essa. Questa inversione prospettica mi ha consentito di leggere alcuni autori – Machiavelli, Spinoza, Hegel – in una chiave inconsueta rispetto alla loro collocazione canonica, riconoscendo in essi i prodromi della teoria delle istituzioni come si è andata formulando nell’ultimo secolo» (Esposito 2023, vii).

Tutte le epoche misurano il proprio orizzonte di senso giuridico sulla capacità di istituire la vita secondo una legge fornita di valore universale. A tal fine, è dunque decisivo il riferimento alla parola, che è giuridica solo in quanto espressa linguisticamente. il Nomos dunque è formulabile soltanto come Logos. Facendosi Nomos, la lingua si distacca dalla vita biologica in cui è originariamente inscritta, autonomizzando l’uomo dalla sfera naturale. È tale processo di emersione del Nomos, attraverso l’esperienza dell’istituzione, che estrae il propriamente umano dal magma della natura (Esposito 2023, 8).

Nelle pagine del libro di Esposito vengono via via messi a fuoco alcuni concetti cardine del pensiero istituzionale, che hanno plasmato il canone giuridico occidentale fino ai giorni nostri.

Vediamoli.

Natura
L’idea di natura innerva l’intera costruzione del diritto e acquista la sua prospettiva più conosciuta nella dottrina del diritto naturale. Nel diritto romano, che costruisce l’impalcatura giuridica dell’Occidente (Schiavone 2005), il giusnaturalismo (suum cuique tribuere) è limitato dall’assenza di una nozione di soggettività capace di sostenere il confronto con il potere sovrano. Dare a ciascuno il suo è allora il modo di rendere giuridico il concetto di una natura in grado di fissare una eguaglianza biologica fra tutti i membri della specie umana e il diritto è universale perché direttamente legato alla natura biologica della comunità umana.

Ma che cos’ha di naturale la schiavitù, che pure è stata al centro del diritto degli antichi? Il paradigma di natura può infatti essere usato anche per escludere intere categorie di soggetti dalla comunità umana, come ha fatto Aristotele, legittimando in termini ontologici l’istituto della schiavitù. In effetti, soltanto alla fine dell’esperienza repubblicana Cicerone negherà il carattere naturale della schiavitù, riconducendola ai conflitti umani e ai rapporti di forza da essi generati. Con uno sforzo estremizzante, i giuristi severiani, quando l’orizzonte politico è ormai definitivamente chiuso nella cappa del principato, dichiareranno contro natura la divisione tra liberi e schiavi e tuttavia, in ragione della distinzione nettissima fra forma e sostanza che contraddistingue il diritto romano, l’uguaglianza verrà relegata al piano naturale e quindi resa storicamente non operativa. Il diritto romano dunque istituisce la natura in una modalità che ne neutralizza in anticipo la potenza emancipativa: «Soltanto dopo essere stati, per così dire, ‘snaturati’, [gli enti naturali] possono rientrare nella sfera giuridica forniti di una natura artificiale. Così una natura seconda, plasmata dal diritto, subentra alla prima, dando luogo a una prassi giuridica programmaticamente innaturale» (Esposito 2023, 23).

Questo spiega, fra l’altro, il giudizio fondamentalmente negativo di Hegel sul periodo romano, visto come declino rispetto alla fioritura greca della filosofia. Per Hegel, all’interno della storia universale, la civiltà romana ha «spezzato il cuore del mondo» (Hegel [1837] 2001, 415) favorendo la svolta spirituale del Cristianesimo che, con San Paolo, trasformata definitivamente l’idea di natura, supererà la distinzione libero schiavo sciogliendone la potenza distintiva nella fede in Cristo (Galati, 3, 28).

Immaginazione
L’istituzione, definita come una sequenza di eventi di un’esperienza durevole ed in rapporto alla quale tutta una serie di altre esperienze avranno senso, trova nell’immaginazione uno dei suoi pilastri, perché «l’istituzione è questo campo in continuo movimento, in cui eventi passati ne generano di futuri, mentre eventi futuri portano traccia di quelli passati. (…). Il luogo in cui questa tensione (…) si dispiega non è altro che la vita individuale e collettiva, pensate in maniera non alternativa, ma complementare» (Esposito 2023, 124).

L’idea di immaginazione ha tuttavia avuto, nel corso del tempo, cattiva reputazione, in ragione di una malintesa efficacia distorsiva della realtà: la teoria dell’immaginazione mostra una sorta di lacerazione interna che sembra inghiottirla nel momento stesso in cui si mostra, per essere subito disconosciuta o rinnegata da coloro che l’hanno elaborata.

Eppure l’immaginazione è determinante perché costituisce la facoltà che connette i tre livelli dell’ institutio vitae già teorizzati da Spinoza: individuale, sociale e politico. Per Spinoza l’immaginazione ha infatti una funzione insostituibile perché consente comunicazione e linguaggio, cioè il simbolismo sociale. L’immaginario è istituente in senso letterale perché modifica la realtà, creandone una che prima non c’era e fornendo la trama simbolica dell’esperienza vitale. Sull’immaginazione si fonda la forza istituente della profezia: è il potere performativo del profeta che, evocando una realtà ancora non avvenuta, istituisce qualcosa che prima non c’era (Spinoza, [1670] 2007, II). Sull’immaginazione si fonda poi l’imperium del sovrano, corpo vivente della comunità politica. Mentre infatti il diritto è “prassi istituente” derivante dal diritto naturale di ognuno, è sul piano dell’imaginatio che avviene la scissione fra potentia moltitudinis e imperium, e il diritto dei singoli si depotenzia a mera esperienza di comando/obbedienza.

Conflitto
Il diritto non è in contrasto con la vita, come potrebbe far pensare il delirio regolatorio del tempo contemporaneo, ma, al contrario, la rende possibile. Il diritto infatti consente all’essenza stessa della vita di fluire e di mantenere la sua vitalità, evitando così l’autodistruzione a causa di conflitti incontrollati tra diverse componenti della società politica.

Il conflitto è dunque il terzo pilastro dell’idea di istituzione. Esso è centrale nel pensiero di Machiavelli. Ciò ha due implicazioni: (i) le istituzioni non sono statiche ma tendono al cambiamento e alla trasformazione; (ii) i conflitti sono istituenti per loro essenza. Il conflitto, «anche quando scompone rapporti consolidati, lo fa in vista di una diversa ricomposizione del quadro politico. Esso, in Machiavelli, è sempre costituente» (Esposito 2023, 55) . Machiavelli vede un riuscito esperimento di istituzionalizzazione del conflitto nel tribunato della plebe come “organo della negatività”, non soltanto perché, anziché esprimere un desiderio positivo di dominio, traduce quello, da parte dei popolari, di non farsi dominare dai nobili, ma anche e soprattutto perché mostra come il conflitto sociale sia incardinato nel cuore stesso dell’ordine istituzionale. Il tema attraversa i secoli ed è stato ancora oggi al centro delle riflessioni sul “momento machiavelliano” della democrazia contemporanea (McCormick 2011).

Per Spinoza il conflitto è semplicemente un dato di fatto. Non necessariamente negativo ma neanche sempre positivo. Esso in ultima analisi è solo inevitabile perché discende dalla potenza del diritto naturale di ogni uomo: «la natura (…) non è contenibile nel recinto di una ragione che abbia per obiettivo l’utilità comune» (Esposito 2023, 79). Si potrebbe allora osservare che il diritto naturale di Spinoza costituisce l’innesco del conflitto permanente, sedato dal più forte diritto naturale del principe. Non c’è contratto che tenga, come in Hobbes, e la potentia moltitudinis soccombe davanti all’ imperium (cioè al diritto naturale del principe) soltanto a causa dell’immaginazione difettosa. È infatti l’inconsapevolezza della potenza del proprio diritto naturale che rende reale per la moltitudine la propria inferiorità di fronte al sovrano e ne depotenzia il diritto, da prassi costituente, a mero comando da ubbidire.

Istituire politicamente una società vuol dire allora assumere il conflitto come elemento non accidentale ma costitutivo, e trasformare «una divisione sociale naturale nello spazio visibile di un confronto politico in cui forze contrapposte si contendono il potere, riconoscendosi reciprocamente» (Esposito 2023, 135).

Il conflitto come elemento costitutivo della prassi istituzionale, e dunque dell’esperienza giuridica, non è un tema che osserviamo da lontano, quasi fossile di un’era definitivamente trascorsa. Esso è invece l’elemento fondativo del sistema capitalistico, istituzione principale del nostro tempo, ben più penetrante delle altre istituzioni generate della modernità (stato, partiti, ecc). Viene pudicamente nominato “concorrenza”, ma è e rimane conflitto in purezza, che genera diritto, sempre più spesso fuori dai meccanismi di produzione normativa di natura parlamentare (tipici della modernità) e invece direttamente discendenti dalla autonomia degli agenti economici, intesa appunto  «non come margine di libertà concessa e regolata dallo Stato, ma come capacità di determinarsi e organizzarsi a prescindere dalle sue leggi» (Fazzalari 1994, 491).

Per queste ragioni le derive immunitarie, quelle cioè che tendono a sterilizzare il conflitto sociale alla ricerca di innaturali formule pacificatrici, si risolvono sempre in esperimenti politici totalitari.

 

Riferimenti bibliografici

  • Croce, Mariano – Salvatore, Andrea. 2020. L’indecisionista: Carl Schmitt oltre l’eccezione. Macerata: Quodlibet.
  • Esposito, Roberto. 2020. Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica. Torino: Einaudi.
  • Esposito, Roberto. 2023. Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione. Torino: Einaudi.
  • Fazzalari, Elio. 1994. Istituzioni di diritto processuale. Padova: Cedam.
  • Hauriou, Maurice. (1925) 2019. La teoria dell’istituzione e della fondazione (saggio di vitalismo sociale). Macerata: Quodlibet.
  • Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. (1837) 2001. Filosofia della storia universale. Torino: Einaudi.
  • McCormick, John P. 2011. Machiavellian Democracy. Cambridge, [England] : Cambridge University Press.
  • Romano, Santi. (1918) 2018. L’ordinamento giuridico. Macerata: Quodlibet.
  • Schiavone, Aldo. 2005. Ius: l’invenzione del diritto in Occidente. Torino: Einaudi.
  • Spizoza, Baruch. (1670) 2007. Trattato teologico politico, in Opere, a cura di Filippo Mignini e Omero Proietti. Milano: Mondadori.

Foto di Patrick Fore su Unsplash

 

 

 

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