Il concetto cristiano di “Trinità” non solo è fondamentale da un punto di vista dottrinario, ma lo è anche da un punto di vista teologico e, ancor prima, filosofico. Con esso, infatti, non si può evitare di affrontare, in forma estremamente significativa, il tema del rapporto tra unità e molteplicità.
Il primo punto che ci sentiamo di sottolineare con forza è questo: non si può pensare che tra unità e molteplicità vi sia una relazione. In questo caso, infatti, l’unità verrebbe ridotta ad un elemento (membro) della molteplicità, giacché sarebbe un termine della relazione.
Si potrebbe bensì obiettare che la molteplicità è soltanto l’altro termine, ma in tal modo si dimenticherebbe che la relazione si costituisce comunque di due termini, sì che essa stessa si struttura di quella dualità di termini che costituisce la forma minima di molteplicità. In questo modo, l’unità varrebbe, appunto, come uno dei due termini e perderebbe quell’assolutezza che è il senso stesso dell’unità metafisica, decadendo ad unità numerica, cioè a quell’uno-dei-più-di-uno che costituisce la molteplicità in quanto questa vale come l’insieme di più unità, ferma restando la determinatezza (finitezza) di questa unità.
Dall’unità assoluta, la quale si pone oltre ogni relazione ad altro, precisamente perché a rigore solo l’unità assoluta veramente è, proprio in quanto assoluta, in questo modo si passa all’unità relativa, la quale si pone in relazione con altre unità relative, configurando l’insieme di unità.
Facciamo notare, per inciso, che il concetto di “insieme” è quello mediante il quale si fornisce una definizione matematica del concetto di “numero”. Aggiungiamo che la definizione matematica del “numero 0”, inteso come “insieme vuoto”, configura, dal punto di vista filosofico, non altro che una contraddizione, perché l’insieme è una collezione di elementi, sì che l’insieme vuoto è un insieme che nega sé stesso. Anche la definizione matematica del “numero 1”, inteso come “insieme unario”, non può non configurare una contraddizione, perché una collezione risulta tale se, e solo se, è formata almeno da due elementi.
Ciò nonostante, senza il numero “0” e senza il numero “1” non si pone la serie dei numeri naturali, così che essi valgono come “assunti”, ancorché siano in sé inintelligibili, almeno da un punto di vista strettamente concettuale. Ciò dimostra, a nostro giudizio, che l’unità numerica, che viene assunta senza venire minimamente discussa, in effetti meriterebbe un’attenta riflessione, dal punto di vista filosofico, che non è operativo, ma fondante.
Per altro verso, non si può pensare che nella vera unità, cioè nell’unità assoluta o metafisica, vi sia una relazione: in questo caso, infatti, l’unità sarebbe una unificazione, una sintesi, così che verrebbe meno come “vera unità” e si risolverebbe di nuovo in una relazione, cioè in una molteplicità. E qui ci sembra opportuno ribadire quanto già detto, per essere precisi e non dare luogo ad equivoci: se si intendesse affermare che l’unità è la relazione che ingloba i termini relati, allora non ci si avvedrebbe che, in questo caso, tornerebbe a riproporsi lo status descritto poco sopra. Non di unità si tratterebbe, ma appunto di unificazione, la quale è l’unità di una molteplicità e non la vera unità.
Orbene, la differenza che sussiste tra la vera unità e l’unità di una molteplicità viene esemplarmente attestata, come dicevamo, dal Dogma Trinitario, che afferma l’unità di Dio e, insieme, la trinità delle Persone che costituiscono tale unità e in essa si risolvono.
Il problema consiste nella conciliazione dell’unità con la molteplicità, giacché la logica, per lo meno la logica formale, che principalmente è una logica bivalente, cioè a due valori di verità [il Vero (V) e il Falso (F)], imporrebbe una rigida alternativa: aut unità, aut trinità, nel senso che risulta contraddittorio dire che l’unità è anche una trinità.
Come conciliare, dunque, ciò che appare inconciliabile? A noi sembra che ciò sia possibile ad una sola condizione: a condizione di distinguere il punto di vista o la prospettiva. Se si fa valere il punto di vista della “sostanza”, che coincide con il punto di vista di Dio stesso, cioè dell’assoluto, cioè dell’innegabile, allora non ci si può non riferire soltanto all’unità: alla vera unità. Se, per contrario, si fa valere il punto di vista delle “persone”, che coincide con il punto di vista del finito, cioè della relazione, cioè dell’inevitabile, allora ci si riferisce alla trinità.
Il punto di vista dell’inevitabile, insomma, introduce una relazione nell’unità divina e la introduce perché non parla di Dio come Dio parlerebbe di sé, essendo cioè uno con sé stesso e, quindi, da una prospettiva che potremmo definire intrinseca, ma parla di Dio ponendosi da un punto di vista estrinseco: dal punto di vista dell’uomo che parla di Dio e, in tal modo, pone una relazione tra sé, come dicente, e Dio, come ciò che viene detto.
In questo modo, quel Dio che è tale perché trascende l’universo finito, e pertanto è irriducibile allo stesso nome con cui viene detto – proprio per la ragione che, essendo assoluto, è insemantizzabile –, diventa termine di quella relazione che lo congiunge ad altro da sé e, in questo entrare in relazione, perde la sua assolutezza. Dio, insomma, viene ridotto ad una determinazione, in quanto termine che si rapporta ad un altro termine, il quale però non è veramente “altro”, essendo la sua manifestazione: la persona con cui Dio si presenta agli uomini, il Cristo. E lo Spirito è la relazione che unifica Dio e Cristo.
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