Come conciliare unità e molteplicità? (I)

Il concetto cristiano di “Trinità” non solo è fondamentale da un punto di vista dottrinario, ma lo è anche da un punto di vista teologico e, ancor prima, filosofico. Con esso, infatti, non si può evitare di affrontare, in forma estremamente significativa, il tema del rapporto tra unità e molteplicità.

Il primo punto che ci sentiamo di sottolineare con forza è questo: non si può pensare che tra unità e molteplicità vi sia una relazione. In questo caso, infatti, l’unità verrebbe ridotta ad un elemento (membro) della molteplicità, giacché sarebbe un termine della relazione.

Si potrebbe bensì obiettare che la molteplicità è soltanto l’altro termine, ma in tal modo si dimenticherebbe che la relazione si costituisce comunque di due termini, sì che essa stessa si struttura di quella dualità di termini che costituisce la forma minima di molteplicità. In questo modo, l’unità varrebbe, appunto, come uno dei due termini e perderebbe quell’assolutezza che è il senso stesso dell’unità metafisica, decadendo ad unità numerica, cioè a quell’uno-dei-più-di-uno che costituisce la molteplicità in quanto questa vale come l’insieme di più unità, ferma restando la determinatezza (finitezza) di questa unità. Continue Reading

Sulla contraddizione dei fatti assoluti (VIII)

Per concludere l’indagine sul “Realismo Metafisico” non possiamo non occuparci della concezione di Paul Boghossian, cui si riferisce lo stesso Diego Marconi – del quale abbiamo parlato nell’ultimo articolo – allorché ricorre al cosiddetto “argomento dei dinosauri”.

Tale argomento viene usato appunto da Boghossian in un’opera che costituisce quasi un manifesto del nuovo realismo e che si intitola, nella traduzione italiana, Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo.

Boghossian assume le conoscenze scientifiche come “verità assolute”. A noi sembra che, usare l’espressione “assoluto” al plurale, sia un controsenso. Obiettiamo: poiché sono i realisti per primi che affermano che per ogni cosa esiste una ed una sola verità, come non riconoscere, allora, che ogni verità è relativa a un determinato stato di cose, a sua volta relativo a un certo modo di rilevarlo?

A noi sembra che il realismo metafisico, proprio della concezione scientifica del mondo, abbia una duplice pretesa: per un verso, pretenda di negare la verità assoluta, perché le verità vengono considerate “molteplici”; per altro verso, ma in palese contrasto con l’assunto precedente, pretenda di attribuire valore assoluto a ciascuna verità sulle singole “cose” o sui singoli “stati determinati delle cose”, perché l’accertamento viene considerato esaustivo nonché indubitabile. Continue Reading

L’indipendenza delle cose essenza del realismo metafisico (VII)

La difesa più articolata e argomentata del realismo metafisico, inteso nella sua forma “forte” e dunque distinta anche dal realismo scientifico, la si trova in una delle prime opere di Mario Alai, intitolata Modi di conoscere il mondo. Soggettività, convenzioni e sostenibilità del realismo (1994).

In essa, Alai così precisa il suo programma: «Oltre a ciò, il realismo metafisico che intendo difendere non implica nessuna delle tesi seguenti: 1) che vi siano due mondi diversi, uno “per noi” e uno “in sé”, di cui anche il secondo sarebbe conoscibile; 2) che una volta saputo tutto quel che c’è da sapere sul mondo dell’esperienza resti ancora dell’altro da conoscere, su cui possiamo scoprire verità di tipo non empirico; 3) che  vi sia un “mondo in sé” per definizione inconoscibile agli uomini. Io sosterrò anzi la negazione di queste tesi, ossia che ciò che conosciamo, il cosiddetto “mondo empirico”, o “dell’esperienza”, è in effetti un mondo in sé, nel senso di indipendente dalla conoscenza. Ancora, la mia tesi è che noi possiamo conoscere il mondo in sé, e non che lo conosciamo davvero» (Alai 1994, 7).

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La concretezza della metafisica

L’origine editoriale del termine metafisica (metà tà physiká, ovvero i libri di Aristotele che si trovavano dopo la Fisica) rappresenta da sempre anche una sfumatura che caratterizza e identifica quest’area di interesse della filosofia. Eppure, al giorno d’oggi, la metafisica non gode affatto di una stima nel discorso filosofico e sembra essere invisa ai più e dimenticata: nelle università, ad esempio, non ci sono cattedre di metafisica e pochissimi corsi la riguardano esplicitamente, se non nelle facoltà teologiche (e questo ci dice molto). La metafisica ha acquisito una certa familiarità con la mistica, con qualcosa di esoterico e che esce dal perimetro del discorso filosofico e, così facendo, essa si è eclissata, fin quasi a diventare qualcosa di laterale e indicibile. La metafisica è dunque nascosta, de-valorizzata, ritenuta una riflessione più vicina alla fede, ammantata di una certa oscurità. Continue Reading

Il realismo metafisico in Italia (VI)

Anche in Italia si registra un significativo ritorno delle tesi realiste, che si contrappongono al relativismo e al costruttivismo che hanno caratterizzato la fine del secolo scorso.

Il realismo viene significativamente riproposto da parte di filosofi di area cattolica, da filosofi della scienza, ma anche da filosofi di area analitica e post-analitica, cioè tanto da filosofi del linguaggio quanto da filosofi della mente.

La Filosofia della mente viene considerata il fronte più avanzato della odierna ricerca filosofica, che, dopo avere affermato la centralità del linguaggio, è passata a valorizzare il ruolo che hanno le funzioni psichiche – a cominciare dalla percezione – nel processo del conoscere. Di essa ci siamo già occupati in saggi precedenti, ai quali rinviamo, e torneremo ad occuparci. Qui, invece, daremo delle brevi indicazioni sulla concezione realista che emerge da altri ambiti, proprio per cercare di completare il quadro.

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La Filosofia come continua ricerca del fondamento

Come alcuni ebbero a notare, la filosofia nasce grande. Quasi subito emerge il nocciolo problematico che resterà il cuore pulsante di tutta la ricerca a venire: l’identità essere e pensiero. Le parole con cui questo “cuore teoretico” appare nella coscienza greca sono famose, le dice Parmenide. «È infatti la stessa cosa pensare ed essere». Questa identità, che Parmenide chiama semplicemente essere, è la definizione nominale della verità; ed è ciò che in altri sistemi di riferimenti troviamo con parole come “assoluto”, “fondamento”, “Dio”.

Poco dopo Parmenide dice anche: «Composero infatti i mortali le loro opinioni nel nominare due forme, senza credere necessaria la loro unità». Dopo aver nominato la verità, indicandola nell’identità di essere e pensiero, Parmenide introduce la negazione stessa della verità, la dòxa, l’opinione che i mortali si formano. L’opinione dei mortali è la negazione della verità in quanto non vede la necessità dell’unità di pensiero ed essere, ma crede piuttosto nella loro separatezza, e vive in questa opinione separante l’identità. In queste due frasi fondamentali di Parmenide si concentra tutto il senso della storia della filosofia, fino ad oggi. Il non intendere l’identità essere-pensiero, che Parmenide invece garantisce come verità assoluta, anzi, la Dea stessa garantisce, conduce il mortale, cioè l’uomo, a pensare essere e pensiero separati, e considerare come compito fondamentale per se stesso una loro unificazione attraverso l’istituzione di una relazione. Ma il tema della relazione fra essere e pensiero, nel momento stesso in cui è posto nei termini suddetti, cioè quando viene inteso appunto come “relazione”, è già avviato a conclusioni necessariamente aporetiche. Infatti, quando si dice relazione, si dice separazione e unificazione. Se pensiero ed essere sono in relazione, e se questa relazione è fondamentale per entrambi, ché altrimenti se fosse estrinseca il problema si sposterebbe sul fondamento esterno della relazione, ovvero su un qualcosa che fonda la relazione essere e pensiero senza essere né essere né pensiero – se appunto la relazione di cui si tratta è essenziale, diventa impossibile pensare i termini separati. Se essere e pensiero fossero separabili, se ci fosse anche solo un punto in cui sono separati, non lo potremmo mai sapere: è il pensiero che sa, come potrebbe mai sapere l’essere laddove esso è separato dal pensiero stesso? È il pensiero che sa: ma se il pensiero è separato dall’essere vuol dire che non è, e quindi un non essere non sa. E ugualmente, se ci fosse un essere distaccato dal pensare, questo essere stesso non saprebbe di essere, e quindi non sarebbe per alcunché, tanto meno per se stesso. 
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Il realismo metafisico contemporaneo (V)

Il discorso svolto negli articoli precedenti impone che si prenda in esame il dibattito contemporaneo che si è sviluppato tra “realisti” e “antirealisti”.

Ebbene, tale dibattito concerne, in estrema sintesi, l’indipendenza o meno della cosa reale, ossia il senso della realtà oggettiva.

Il realismo metafisico (RM) sostiene che la cosa reale è la cosa ordinaria, ossia la cosa che fa parte dell’universo sensibile: essa, infatti, ancorché inscritta nella trama di riferimenti con le altre cose, non di meno esiste in sé e di per sé. Proprio per questo suo esistere autonomo e indipendente, essa – dicono i realisti – può venire rilevata.

L’antirealista dubita, invece, che la cosa ordinaria sia veramente indipendente e sostiene che essa dipende, se non altro, dal sistema che consente di rilevarla e dal sistema all’interno del quale essa si colloca, facendone parte. L’antirealista comunque nega che la cosa reale, se veramente indipendente, possa venire conosciuta nel suo essere indipendente.

L’antirealista, insomma, sostiene che, proprio per la ragione che la realtà oggettiva non può non essere veramente autonoma e autosufficiente, ossia assolutamente indipendente da ogni altro da sé, nessuna determinazione (cosa ordinaria) può venire considerata come “cosa reale”, ossia come “realtà oggettiva”.

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Realtà e sistema di riferimento (IV)

Il discorso che è stato svolto nei precedenti articoli ha inteso vincolare esistenza e rilevamento. Il rilevamento, a sua volta, inscrive la presenza rilevata (l’esistente, l’ente) all’interno di un sistema o campo nel quale si dispongono le esistenze rilevate. In tal modo, il sistema di rilevamento e il sistema di riferimento si traducono in un sistema o campo di presenze rilevate e, più in generale, riferite a ciò che ad esse si riferisce.

In effetti, anche Carnap e Quine hanno subordinato l’esistenza delle cose a un qualche sistema di riferimento (framework), nel senso che essi hanno definito l’esistente relativamente a un sistema nel quale compare o viene espresso.

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Soggettività e oggettività della percezione (III)

Nella speranza di avere chiarito la ragione per la quale assumiamo la percezione solo in quanto cosciente (affronteremo di nuovo il tema tra poco, quando parleremo del ciclo percettivo-inferenziale), torniamo all’obiezione legata al fatto che non sono soltanto gli uomini a rilevare presenze, giacché anche gli animali lo possono fare. Ebbene, anche ammettendo ciò, non si può non riconoscere che il tema del rilevamento continua comunque a riproporsi, nel senso che senza un rilevamento, magari compiuto da un animale, non si potrebbe cogliere l’esistenza di alcuna cosa.

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