Quando l’essere è più della presenza

Heidegger sostiene che ogni vero pensatore pensa un solo pensiero. In cosa consiste l’unico pensiero di Heidegger? Che l’essere è più della presenza. Quando si legge il filosofo tedesco bisogna sempre ricordare che tutti i suoi scritti mirano a chiarire quella differenza, in cosa consiste quel di più, in cosa l’essere supera la presenza.

Presenza significa tutto quello che ha pensato il pensiero occidentale, sia sotto forma del dato immediato sia sotto la forma della ri-presentazione, chiamata anche coscienza o rappresentazione. Per questo Heidegger è contrario alla tradizione filosofica occidentale che ha pensato il soggetto e ha dimenticato l’essere. Per questo egli prende le distanze dalla filosofia moderna nella quale la coscienza e i fenomeni hanno giocato un ruolo predominante. 

Noi infatti, al contrario di quello che crede la fenomenologia, non vediamo l’apparire di case, di sedie, di auto o di altre persone: al massimo noi vediamo cose a cui assegniamo un nome corrispondente. Heidegger illustra questo punto con un esempio: il fabbro che dimentica il martello mentre lavora. Quando egli si “perde” nel suo lavoro e nella sua attività, il martello non è più nella sua coscienza, il fabbro diventa tutt’uno con il suo fare. La relazione soggetto-oggetto nasce solo quando insorge la coscienza del martello tenuto in mano come oggetto esterno. Questo significa per Heidegger attenzione a ciò che inconscio? No, in quanto l’inconscio è quella presenza di cui il soggetto non è ancora venuto a conoscenza. 

Questo pensiero fondamentale (l’essere è più della presenza) è evidente nel periodo successivo ad Essere e Tempo ed anzi costituisce lo stesso elemento grazie al quale Heidegger riformula le tesi espresse nel suo capolavoro. I Contributi alla filosofia sono il testo più sistematico di questo ripensamento, o meglio di questo dirigersi verso la dimenticanza dell’essere, come il filosofo chiama il fatto di aver tenuto conto dell’ente piuttosto che dell’essere. Da qui l’insistenza sulla domanda “Che cos’è filosofia?” particolarmente evidente nelle Riflessioni del 1931/1938 dei Quaderni Neri.

La fine della filosofia
Domanda ripresa in una conferenza del 1964 dal titolo La fine della filosofia e il compito del pensiero nella quale, secondo le sue stesse parole, egli cerca di dare una forma più originaria alla questione posta in Essere e Tempo. Due sono le domande da cui scaturisce la lezione. La prima riguarda il senso in cui deve intendersi che la filosofia è giunta alla fine, dove Heidegger si sofferma su quello che egli considera un punto cruciale, quello del formarsi delle scienze all’interno della filosofia. Le scienze sono guidate dalla cibernetica che significa letteralmente l’arte del pilota, l’arte di governare l’attività umana, la principale delle quali è il lavoro. Nel pensiero procedurale, diremmo logico, intendendo questa espressione nel senso del calcolo, appare in modo radicale la fine della filosofia e il trionfo della scienza, intesa come radicale sfruttamento di tutto ciò che è presente. 

La seconda parte della conferenza scaturisce allora in modo conseguente: qual è il compito del pensiero nel tempo della fine della filosofia? La risposta è semplice (l’intera filosofia dice Heidegger è semplice perché essa è originale disposizione d’animo unita ad implacabile semplicità): il pensiero deve ripensare la Cosa.

In sé la risposta non è originale, in quanto anche Hegel e lo stesso Husserl lo avevano detto. Per Hegel tuttavia la totalità (cioè la filosofia) si mostra solo presentando la cosa, in cui tema e metodo diventano identici. Tale identità è chiamata pensiero o idea e la cosa è determinata come soggettività e così facendo la cosa della filosofia è decisa fin dal principio. Anche per Husserl la cosa è la soggettività ma essa è anche richiamo alla centralità del metodo, che a sua volta esige che la cosa della filosofia sia la soggettività assoluta.

Lo spazio aperto dell’essere
Se Hegel e Husserl (ma così fin da Cartesio) pensano la cosa nel suo presentarsi, Heidegger la pensa nel suo essere assente. Ecco affacciarsi il concetto di Lichtung, radura, uno spazio aperto che, se consente alla luce di entrare in un luogo oscuro, allo stesso tempo rivela un’assenza. Di questa radura la filosofia non sa niente e questo, osserva Heidegger, nonostante il fatto che al suo esordio essa parli di radura citando la verità come aletheia, svelatezza. Ma l’aletheia non è ancora la verità e allora si tratta di stabilire se essa è qualcosa di più o qualcosa di meno. Questo è propriamente il compito del pensiero: dove e come si dà radura e che cosa parla in questo darsi? 

La filosofia tradizionale ha mandato in rovina l’aletheia parlando di episteme, cioè la capacità di imporsi e di essere stabile. Ma questa risposta è stata sequestrata dalla scienza e dalle sue procedure tecniche, e quindi ha mostrato di non essere più valida. Il compito del pensiero è quello di percorrere nuovi sentieri, compito nel quale l’errore diventa più importante della verità intesa come episteme. Questo non perché la filosofia deve sbagliare ma perché non può esserci verità nel tempo della dimenticanza dell’Essere, ovvero nel tempo in cui la filosofia si è preoccupata di ciò che è presente anziché di ciò che è assente. Da questo presupposto scaturiscono molte conseguenze: misticismo, pensiero debole, esistenzialismo. Heidegger non  sottoscrive nessuna di queste opzioni. Egli piuttosto finirà per porre radicale attenzione al domandare (e qui si apre il problema di cosa significa realmente domandare) e soprattutto a quel pensare, definito poietico, nel quale l’uomo (come dirà in un’altra conferenza di cui ci occuperemo a parte) «ripensa all’avvenire a partire dalla provenienza e al provenire a partire dall’avvento»: in questo essere tra passato e futuro, ecco farsi avanti il nuovo compito del pensiero.

Riferimenti bibliografici

  • Heidegger, Martin. 1931/1938. Quaderni Neri, Riflessioni II-VI, 2015, Bompiani
  • Heidegger, Martin. 1944/1945. Introduzione alla Filosofia. Pensare e poetare, 2017, Bompiani
  • Heidegger, Martin. 1989. Contributi alla filosofia (Dall’evento), 2007, Adelphi
  • Heidegger, Martin. 1964. La fine della filosofia e il compito del pensiero, in Tempo e Essere, 2007, Longanesi

Foto di Nick Hawkes su Unsplash

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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