Logica e Linguaggio per la Storia

In una conferenza del 1924 sul concetto di tempo, Heidegger sosteneva che «la possibilità di accedere alla storia si fonda sulla possibilità secondo la quale un presente sa essere di volta in volta futuro. (…) La filosofia non arriverà mai a capire la storia fintanto che la analizzerà come oggetto da considerare secondo il metodo. L’enigma della storia risiede in ciò che significa essere storico» e questo enigma è determinato interamente dal modo in cui viviamo il nostro rapporto con il tempo. Continue Reading

Realtà e sistema di riferimento (IV)

Il discorso che è stato svolto nei precedenti articoli ha inteso vincolare esistenza e rilevamento. Il rilevamento, a sua volta, inscrive la presenza rilevata (l’esistente, l’ente) all’interno di un sistema o campo nel quale si dispongono le esistenze rilevate. In tal modo, il sistema di rilevamento e il sistema di riferimento si traducono in un sistema o campo di presenze rilevate e, più in generale, riferite a ciò che ad esse si riferisce.

In effetti, anche Carnap e Quine hanno subordinato l’esistenza delle cose a un qualche sistema di riferimento (framework), nel senso che essi hanno definito l’esistente relativamente a un sistema nel quale compare o viene espresso.

Continue Reading

Il pensiero che dimentica la necessità del pensare

Nell’articolo “I sentieri e la palude” abbiamo cercato di mettere in evidenza che una questione dell’essere, che non sia al tempo stesso una questione della coscienza, conduce ad aporie inevitabili. Quando un’aporia non viene vista, e quindi viene subìta dal pensante, si producono pensieri e visioni del mondo che portano inevitabilmente a posizioni che non solo risultano contraddittorie, ma riverberano negativamente nell’esperienza vissuta degli uomini.

Nell’articolo “La macchinazione e l’inganno dell’esperienza vissuta” viene posto in evidenza come il pensiero moderno, cadendo nell’oggettivazione dell’essere nell’ente, giunga a ciò che Heidegger chiama “macchinazione”, che è il pensiero dominante l’attualità. Anche la coscienza cade in questa oggettivazione, con la conseguenza che le filosofie della coscienza che risultano da questa impostazione immettono anche la coscienza stessa nella macchinazione, riducendola a mera funzione coscienziale, e dunque a semplice presenza.

Obiettivo di questo articolo è mostrare, con l’ausilio del testo dei Quaderni Neri 1938/1939, che la critica di Heidegger alle filosofie della coscienza non riguarda l’Idealismo tedesco. Nei confronti di questa filosofia, entro la quale intendiamo quel movimento di pensiero che va da Kant a Hegel, da un lato Heidegger prende le distanze, da un altro lato ne cattura un valore che non è, come quello del pensiero moderno, oggettivistico, e quindi nel caso specifico “coscienzialistico”, ma metafisico, nel senso heideggeriano della storia dell’essere. Continue Reading

L’idea di coscienza in Henri Bergson

Nel corso dell’ultimo ritiro filosofico è stato esplorato il tema della coscienza in rapporto alle varie posizioni riduzionistiche. Nel corso del novecento filosofico una delle più eterogenee e scandalose formulazioni dell’idea di coscienza, in rapporto alla teoria epistemologica, è senz’altro quella bergsoniana. Per certi versi – e in maniera tutt’altro che esplicita – essa risuona anche in Heidegger ed è stata, ovviamente, il bersaglio polemico di tutta una generazione filosofica francese tra gli anni ‘30 e ‘40, che ha liquidato il bergsonismo a partire dalla convinzione fenomenologica che ogni coscienza è coscienza di qualcosa

Continue Reading

La macchinazione e l’inganno dell’esperienza vissuta

Uno degli aspetti centrali di quella che Heidegger chiama la risonanza, cioè la consapevolezza dell’abbandono del pensiero dall’Essere (nel quale consiste l’autentico nichilismo) è la cosiddetta macchinazione. Macchinazione significa prima di tutto che l’ente è interpretato come rappresentabile e, in quanto tale, calcolabile, opinabile, ottenibile mediante la produzione. La macchinazione respinge tutti quei tentativi che possono portare il pensiero verso un’autentica meditazione dell’essere e lo fa, in primo luogo, grazie all’idea della verità come correttezza del rappresentare (adaequatio rei intellectus est). Essa, la macchinazione, installandosi nel cuore della metafisica, è ciò che provoca un generale e nuovo tipo di incantamento.   Continue Reading

Percezione e coscienza (II)

Dicevamo, nello scorso saggio, che la domanda intorno alla realtà si converte nella domanda intorno alle cose che si presentano nell’esperienza ordinaria. La caratteristica fondamentale delle cose è che esistono. Con l’espressione “cosa”, del resto, è possibile indicare un qualunque oggetto, proprio in quanto “gettato di fronte” (ob-iectum) al soggetto. Certamente, può variare il campo dell’esistenza delle cose, nel senso che alcune si collocano nell’esperienza sensibile e altre nell’universo dei pensieri o delle fantasie. Tuttavia, il tratto distintivo di ciò che esiste (dell’esistente o ente) è che si presenta sempre come dotato di una propria forma determinata, una forma, cioè, che consente di riconoscerlo e di distinguerlo da ogni altro esistente (ente). Continue Reading

L’importanza di non essere un pipistrello

L’esperimento mentale del filosofo americano Thomas Nagel, pubblicato su The Philosophical Review nell’ottobre del 1974, mira a confutare le ipotesi fisicaliste e riduzioniste che intendono spiegare il rapporto tra mente e corpo in termini puramente biologici. Nagel, ponendo una serie di problemi che s’incentrano essenzialmente sul ruolo della coscienza e su quello della soggettività individuale, parte da questo presupposto: anche se conoscessimo tutta la meccanica del cervello, anche se fossimo in grado di mappare ogni cellula che costituisce la nostra materia grigia, noi non comprenderemmo mai che cosa significhi fare un’esperienza spirituale, percepire un oggetto o provare delle emozioni. La ragione è semplice: nel momento in cui appare qualcosa alla coscienza, significa che appare qualcosa che equivale al come essere una certa altra cosa. Per dimostrare ciò, egli ricorre alla finzione di pensare a cosa si prova ad essere un pipistrello.

Continue Reading

L’unità come condizione fondativa (VI)

Nel saggio precedente si era pervenuti alla conclusione che l’unità può venire riscontrata nell’atto, inteso non tanto come atto del distinguersi, quanto come atto del togliersi dei distinti.

L’unità dell’atto, questo è il punto, è sempre e comunque vincolata ad una determinazione, sia che si tratti dell’atto del “distinguersi” sia si tratti dell’atto del “togliersi”: se l’atto del distinguersi si pone a condizione del porsi della determinatezza dei distinti, così che anche l’atto risulta da essi determinato, altrettanto l’atto del togliersi si pone a condizione del porsi della determinatezza di ciò che si toglie dopo essersi determinatamente posto, così che anche tale atto risulta, esso stesso, determinato.

L’effettiva unità, invece, si realizza allorché viene meno ogni determinatezza, così che l’“unità del fondamento” non potrà non venire distinta dall’“unità dell’atto”, ancorché l’atto, almeno intenzionalmente, cioè idealmente, non può non intendere di essere tutt’uno con ciò verso cui si volge e che intende come sua meta e suo compimento: il fondamento, appunto. Continue Reading

Vero atto ed effettiva unità in Hegel (V)

Hegel assume il falso come momento della verità: questo è emerso nei precedenti saggi. Ne consegue che tale status domanda di venire adeguatamente pensato. Del resto, pensare questo status consente di produrre un significativo avanzamento rispetto a quanto è stato già detto in ordine al “vero” così come esso inizialmente si presenta.

Ciò che ora prenderemo in esame è quanto segue: vi sono due modi per pensare il vero. Il primo modo lo pone come un termine in relazione al falso. Il secondo modo lo pone come la relazione stessa. Il vero, insomma, deve venire pensato sia come la relazione sia come uno dei suoi momenti (termini). Continue Reading