Il realismo metafisico contemporaneo (V)

Il discorso svolto negli articoli precedenti impone che si prenda in esame il dibattito contemporaneo che si è sviluppato tra “realisti” e “antirealisti”.

Ebbene, tale dibattito concerne, in estrema sintesi, l’indipendenza o meno della cosa reale, ossia il senso della realtà oggettiva.

Il realismo metafisico (RM) sostiene che la cosa reale è la cosa ordinaria, ossia la cosa che fa parte dell’universo sensibile: essa, infatti, ancorché inscritta nella trama di riferimenti con le altre cose, non di meno esiste in sé e di per sé. Proprio per questo suo esistere autonomo e indipendente, essa – dicono i realisti – può venire rilevata.

L’antirealista dubita, invece, che la cosa ordinaria sia veramente indipendente e sostiene che essa dipende, se non altro, dal sistema che consente di rilevarla e dal sistema all’interno del quale essa si colloca, facendone parte. L’antirealista comunque nega che la cosa reale, se veramente indipendente, possa venire conosciuta nel suo essere indipendente.

L’antirealista, insomma, sostiene che, proprio per la ragione che la realtà oggettiva non può non essere veramente autonoma e autosufficiente, ossia assolutamente indipendente da ogni altro da sé, nessuna determinazione (cosa ordinaria) può venire considerata come “cosa reale”, ossia come “realtà oggettiva”.

Carnap e Quine, secondo quanto da noi già rilevato, usano il «gergo della relatività», ossia riconoscono che il dato, o l’esistente (ente), non è un immediato, ma si pone sempre in forza della mediazione operata dal sistema che consente di “renderlo presente”.

Di contro, il realismo metafisico si pone in aperta contrapposizione a ogni forma di relativismo. Non solo, cioè, a quella forma di relativismo che è emersa con la filosofia analitica e post-analitica, ma anche a quella emersa in forza delle critiche mosse all’induzione da parte di Goodman e di Popper nonché a quella che consegue al venir meno del primato dell’osservazione, considerata, da Hanson in poi, come intrinsecamente “carica di teoria” e, dunque, come non in grado di attingere la realtà autenticamente oggettiva.

Tra i sostenitori di un RM forte non si può non ricordare Moore, il quale si contrappone alla concezione propria dell’idealismo inglese e, in particolare, di Bradley. Se per Bradley le relazioni debbono venire pensate come intrinseche e costitutive del dato, secondo Moore e Russell, invece, esse hanno carattere estrinseco e si dispongono tra i dati.

In particolare, Moore, nell’opera The Refutation of Idealism (1903, pp. 341-370), ritiene che la relazione conoscitiva sia esterna perché non modifica la natura degli enti che vengono conosciuti e, quindi, non li rende “diversi” da come sarebbero senza la relazione stessa.

Su questa fondamentale premessa, egli costruisce il suo realismo e fa valere il principio per il quale il mondo, tanto quello animato quanto quello inanimato, va inteso così come il senso comune lo intende, in forte contrapposizione allo esse est percipi di Berkeley.

Per Moore, quindi, non abbiamo bisogno di dimostrare l’esistenza degli oggetti esterni, per la ragione che noi sappiamo già che esistono. A fondamento della certezza dell’esistenza di un mondo esterno v’è, insomma, un atto intuitivo, una conoscenza immediata e spontanea, poggiante sul senso comune.

Si potrebbe affermare, in effetti, che l’intuizione fonda tanto il realismo, che è proprio del senso comune, quanto il realismo, che sta alla base della conoscenza scientifica.

Quale scienziato, infatti, troverebbe sensato chiedersi se il mondo sia esistito prima della comparsa dell’uomo e se scomparirà, qualora l’uomo dovesse scomparire? Non è un caso che il “Principio di realtà fisica” di Lewis-Schlick afferma che «Se tutte le menti scomparissero dall’universo le stelle proseguirebbero nel loro corso» (Lewis, 1934, p. 143 e Schlick, 1936, p. 367) e tale principio difficilmente verrebbe accolto con sospetto da qualche scienziato.

Ammettendo l’esistenza indipendente dei fatti, si ammette non solo che oggetti e proprietà esistano in modo indipendente, ma anche che gli oggetti siano “in sé” caratterizzati da proprietà. In altre parole, si ammette che anche indipendentemente dalla conoscenza il mondo abbia una forma propria, che vi sia cioè un modo d’essere del mondo indipendente dal nostro modo di considerarlo (cfr. Luntley, 1989, pp. 177-194).

L’obiettivo dei filosofi realisti è precisamente quello di sottoporre a critica la concezione che vincola il cosiddetto “reale” a un sistema che lo rileva, lo modella e lo categorizza. Stroud esprime in forma icastica tale concezione: «Il mondo intorno a noi, su cui diciamo di avere conoscenze, esiste ed è come è del tutto indipendentemente dal fatto che sappiamo o crediamo che sia così» (1984, p. 77; la trad. it. del passo è di D. Marconi, 2007).

L’indipendenza del mondo, insomma, è l’assunto cardine del realismo metafisico e tale indipendenza è stata sottolineata con forza dallo stesso Searle: «Bene, osservate ora gli oggetti che vi circondano, sedie, tavoli, case, alberi. Questi oggetti non sono in alcun senso “soggettivi”. Esistono del tutto indipendentemente dall’essere o non essere oggetto d’esperienza di qualcuno. […] Ci sono due distinzioni che devono esservi chiare fin dall’inizio […]. La prima è la distinzione tra caratteristiche del mondo indipendenti dall’osservatore e caratteristiche dipendenti, o relative all’osservatore. […] In generale, le scienze naturali si occupano dei fenomeni indipendenti dall’osservatore, le scienze sociali di quelli dipendenti» (trad. it. 2005, pp. 7-9).

Searle, in effetti, non soltanto afferma l’esistenza di entità che si pongono indipendentemente dal soggetto, ma anche di “caratteristiche”, cioè di proprietà, indipendenti.

Vi sarebbero, secondo Searle, proprietà del mondo che esistono indipendentemente dal soggetto e le scienze naturali si occupano precisamente sia dei fenomeni indipendenti dal soggetto sia delle loro proprietà.

A un “realismo ragionevole” si appella anche Alston, il quale non di meno afferma con forza l’indipendenza dal soggetto e dalla sua mente degli oggetti che costituiscono la realtà, precisando, tuttavia, che questo non vale per tutti gli oggetti: «Il genere di realismo metafisico che tratterò qui è un rifiuto dell’idea che qualsiasi cosa c’è sia costituita, almeno in parte, dalle nostre relazioni cognitive, dai modi con cui concettualizziamo o costruiamo le cose, dal linguaggio che usiamo per parlarne o dallo schema teorico che usiamo per pensarle» (trad. it. 2010, p. 24).

Da una parte, dunque, vanno poste quelle entità, come per esempio le proposizioni, che non sono assolutamente indipendenti dal soggetto: «Diciamo che le proposizioni godono di una natura particolare non in modo assoluto, ma in modo relativo a un certo schema teorico-concettuale» (ivi, p. 39).

Dall’altra, vanno poste le cose che, invece, sono assolutamente indipendenti dal soggetto e che, per questa loro totale indipendenza, Alston considera «più reali» delle precedenti: «Di sicuro, da realista io credo che le cose che esistono in modo assoluto e i fatti che accadono in modo assoluto, cioè non in modo relativo a una qualche modalità arbitraria di concepire o teorizzare, siano più reali, avendo cioè un grado più alto di realtà, rispetto a ciò che esiste o accade solo relativamente a uno dei numerosissimi e ugualmente possibili schemi teorico-concettuali» (ibidem).

Il concetto di realtà, quindi, è vincolato al concetto di indipendenza: la realtà autentica, cioè la realtà in sé, è quella che esibisce un’assoluta indipendenza dal soggetto. Su questo punto si dovrà attentamente riflettere, perché è il punto cruciale.

L’assoluta indipendenza, infatti, configura quello che potremmo definire un realismo metafisico “forte” ed è proprio questa forma di realismo che noi vogliamo discutere.

Intendiamo chiederci, cioè, se questa assoluta indipendenza possa venire attribuita alle cose dell’ordinaria esperienza, ossia agli oggetti con i quali il soggetto non può non entrare in rapporto.

Riferimenti bibliografici

  • Alston, William Payne. 2001.  A sensible metaphysical realism. Milwaukee: Marquette University Press (trad. it.: 2010. Un realismo metafisico ragionevole. Roma: Armando).
  • Lewis, Clarence Irving. 1934.  Experience and Meaning, in «Philosophical Review», 43
  • Luntley, Michael. 1989. On the Way the World is Independently of the Way we Take it to Be, in «Inquiry», 32 (2), pp. 177-194.
  • Moore, George Edward. 1903. The Refutation of Idealism, in «Mind», 12 (48), pp. 341-370 (ripubblicato in Philosophical Studies. London: Routledge and Kegan Paul, 1922, pp. 1-30).
  • Schlick, Moritz. 1936. Meaning and Verification, in «Philosophical Review», XLV.
  • Searle, John Rogers. 2004. Mind. A Brief Introduction. Oxford: Oxford University Press (trad. it.: 2005. La mente. Milano: Raffaello Cortina).
  • Stround, Barry. 1984. The Significance of Philosophical Scepticism. Oxford: Clarendon Press (la traduzione italiana del passo è di D. Marconi. 2007. Per la verità. Relativismo e filosofia. Torino: Einaudi, p. 4).

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Foto di Rabie Madaci su Unsplash

 

 

 

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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