L’indipendenza delle cose essenza del realismo metafisico (VII)

La difesa più articolata e argomentata del realismo metafisico, inteso nella sua forma “forte” e dunque distinta anche dal realismo scientifico, la si trova in una delle prime opere di Mario Alai, intitolata Modi di conoscere il mondo. Soggettività, convenzioni e sostenibilità del realismo (1994).

In essa, Alai così precisa il suo programma: «Oltre a ciò, il realismo metafisico che intendo difendere non implica nessuna delle tesi seguenti: 1) che vi siano due mondi diversi, uno “per noi” e uno “in sé”, di cui anche il secondo sarebbe conoscibile; 2) che una volta saputo tutto quel che c’è da sapere sul mondo dell’esperienza resti ancora dell’altro da conoscere, su cui possiamo scoprire verità di tipo non empirico; 3) che  vi sia un “mondo in sé” per definizione inconoscibile agli uomini. Io sosterrò anzi la negazione di queste tesi, ossia che ciò che conosciamo, il cosiddetto “mondo empirico”, o “dell’esperienza”, è in effetti un mondo in sé, nel senso di indipendente dalla conoscenza. Ancora, la mia tesi è che noi possiamo conoscere il mondo in sé, e non che lo conosciamo davvero» (Alai 1994, 7).

A nostro parere, invece, è molto importante chiarire se il mondo con cui abbiamo a che fare costituisca un universo empirico, necessariamente in relazione con il soggetto che fa esperienza, oppure se costituisca una realtà indipendente, cioè autonoma e autosufficiente.

Sul tema dell’indipendenza dal soggetto, del resto, insiste lo stesso Alai, che così indica il realismo metafisico epistemico: «Il realismo metafisico epistemico, invece, si basa sulla tesi epistemologica che i nostri processi cognitivi non celano né distorcono il modo in cui il mondo è fatto indipendentemente da noi, e pertanto si possono avere credenze vere (e quindi conoscenze) sul mondo in sé, considerato a prescindere dalla mente o dalla conoscenza. In questo modo, il realismo metafisico epistemico viene ad esser formulato come una tesi realistica […] la tesi che qualcosa (in questo caso la realtà in sé) può essere oggetto di una nostra attività cognitiva (nella fattispecie, la conoscenza). Ma se la realtà in sé è conoscibile, la ridefinizione kantiana non ha più motivo d’essere e diventa inaccettabile: per considerare una credenza come vera, e quindi come una conoscenza, non basta più che essa descriva correttamente il mondo fenomenico, ma deve descrivere il mondo proprio com’è in sé, indipendentemente da noi. Ne consegue che il mondo che conosciamo è reale (dove per reale s’intende indipendentemente, o metafisicamente reale). Una volta stabilito che per conoscenza si deve intendere la conoscenza di qualcosa di indipendente da noi, e non di semplici “fenomeni” soggettivi, il realismo metafisico epistemico si può anche esprimere dicendo che la realtà [in sé] è conoscibile» (Alai 1994, 28).

Alai distingue tre tipi di realismo, in questa sua opera: «Ho poi distinto tre tipi di realismo metafisico: ontologico, epistemico e completo. Quello ontologico sostiene che vi è una realtà indipendente dalla nostra conoscenza, ovvero che la realtà esiste indipendentemente dalla conoscenza; inoltre esso può venir specificato come la tesi che vi sono oggetti, o proprietà, o anche fatti indipendenti dalla conoscenza. Il realismo metafisico epistemico, invece, sostiene che la realtà indipendente è conoscibile, e dunque ciò che conosciamo è metafisicamente o trascendentalmente reale. Infine il realismo metafisico completo è l’unione dei primi due, e afferma che la realtà indipendente esiste ed è conoscibile. Oltre a ciò abbiamo visto come determinate tesi sulla natura della verità, del riferimento o del significato possano a certe condizioni o indirettamente costituire delle espressioni del realismo metafisico» (Alai 1994, 31).

La posizione di Alai ci sembra di indubbio interesse perché costituisce un’espressione paradigmatica della tesi del realismo metafisico, la quale a noi pare difficilmente sostenibile e cercheremo di offrire ulteriori argomenti per legittimare questo nostro convincimento.

Ricordiamo, non di meno, che in un articolo più recente, Alai distingue tra “realismo scientifico” e “realismo metafisico” (Alai 2005, 167-189) e approfondisce lo studio del primo in un lavoro ulteriore, intitolato Ontologia, conoscenza e significato nel realismo scientifico (Alai 2014, 119-144), volto a precisare il senso in cui possono venire considerati “metafisicamente reali” determinati enti teorici. Poiché è il realismo metafisico che a noi qui interessa, esclusivamente su di esso intendiamo concentrare la nostra attenzione.

Un altro contributo particolarmente significativo, a sostegno di tale forma di realismo, ci sembra quello fornito da Diego Marconi nell’opera intitolata Per la verità. Relativismo e filosofia (Marconi 2007).

In essa, l’Autore imposta con chiarezza il suo discorso sulla verità di un enunciato: «[…] considerate i pianeti nell’Universo. Certamente non sapremo mai quanti sono […]. Eppure […] l’asserzione “I pianeti nell’Universo sono n” è vera per un qualche numero n, anche se non sapremo mai qual è. […] Se condividete questi giudizi […] siete dei realisti: siete cioè persone che pensano che c’è un modo in cui le cose stanno indipendentemente dal fatto che qualcuno sappia o possa sapere che stanno così, e che, di conseguenza, gli enunciati che dicono che le cose stanno in quel modo sono veri, che lo sappiano o no; mentre quelli che dicono che le cose stanno diversamente sono falsi (che lo sappiano o no)» (Marconi 2007,  3-4).

Il punto di vista fondamentale concerne, dunque, l’esistenza di una realtà indipendente dal soggetto: la tesi dell’indipendenza costituisce l’essenza stessa del realismo metafisico.

Marconi ribadisce quanto affermato sopra anche in un passo successivo: «Se si condivide l’intuizione realista, c’è un modo in cui le cose stanno, ed è lo stesso per tutti: le proposizioni che dicono che le cose stanno in quel modo sono vere “per” tutti (in realtà, indipendentemente dalle opinioni di chiunque), quelle che dicono che le cose non stanno in quel modo sono false» (Marconi 2007, 57).

Se non che, quando poi parla del “relativismo concettuale”, egli così scrive: «Che un modo in cui le cose stanno sia accessibile (cioè pensabile o descrivibile nel linguaggio) solo grazie a e attraverso una qualche concettualizzazione, per quanto primordiale […], è ovvio: la premessa del ragionamento del relativista concettuale è del tutto plausibile. Ma il relativista ne deriva conseguenze che non sono altrettanto ovvie» (Marconi 2007,  64).

Ebbene, quali sono queste conseguenze? Così argomenta Marconi: «Anzitutto, ne deriva la tesi che un modo in cui le cose stanno dipende da una concettualizzazione: non esiste se non per via di quella concettualizzazione. Questa implicazione è piuttosto pesante e controintuitiva. Il sale non era cloruro di sodio prima della creazione della chimica? E allora che cos’era? D’accordo, era una sostanza presente nel mare e in certe formazioni rocciose, usata per insaporire i cibi e conservarli ecc. Ma qual era la composizione delle sue molecole? O non era costituito da molecole? […] Certo, un greco dell’età omerica non aveva accesso a quella verità: lo schema concettuale che adottava non includeva gli ingredienti della proposizione in questione. In questo senso non era vero per lui che il sale era cloruro di sodio: non sapeva, né aveva le risorse per arrivare a sapere, che il sale era cloruro di sodio» (Marconi 2007, 64-65).

Come viene ribadito dal passo di Marconi che abbiamo citato, la “tesi dell’indipendenza” è la tesi fondamentale della concezione realista. Se non che, l’argomento di Marconi si configura come un continuo negare la dipendenza da qualcosa, che invece a noi sembra innegabile.

Ci chiediamo: come può il sale essere “cloruro di sodio” prima dell’invenzione della chimica e, dunque, indipendentemente dalle sue categorie? Difficile immaginare che un certo ente, che viene chiamato “sale”, possa risultare un insieme di molecole se non in forza del fatto (relativamente al fatto) che si sono scoperte le molecole, le quali sono state assunte come “insiemi di atomi”.

Sappiamo, dunque, solo dopo come stavano le cose prima: se non ci fosse stato un balzo in avanti conoscitivo, non avremmo potuto cogliere una certa realtà. Come si può affermare, dunque, l’indipendenza della realtà dalla conoscenza?

Fino a che non si ha «accesso» concettuale a una teoria, non si può sapere se essa è vera e ciò semplicemente perché quella teoria non è formulabile. Ne consegue che l’essere delle cose dopo la formulazione della teoria non può non essere vincolato alla teoria stessa e, comunque, dichiarare che l’essere delle cose non subisce condizionamenti teorici è una coscienza retrospettiva: solo dopo averlo colto mediante la teoria, si può dire che l’essere delle cose è rimasto ciò che era prima della teoria stessa, in modo tale che il prima viene congetturato mediante la forma mentis che appartiene al dopo.

Come non avvedersi, allora, che non si dà indipendenza? Non si dà indipendenza concettuale, ma non si dà neppure indipendenza percettiva. Se non esistesse alcun soggetto, infatti, esisterebbero le cose? Chi le rileverebbe? Chi le connoterebbe come “cose”?

Si comprende ora la ragione per la quale abbiamo tanto insistito sulla relazione intrinseca che sussiste tra esistenza e rilevamento nei primi saggi dedicati al tema del realismo: senza un rilevamento non si configurerebbe una presenza e senza la presenza nessuna esistenza potrebbe risultare.

Per Marconi «in un mondo senza menti ci sarebbero magari stelle e montagne» (Marconi 2007, 66). A nostro giudizio, invece, un mondo privo di menti sarebbe semplicemente impensabile. Il suo essere, questo intendiamo dire, non potrebbe in alcun modo venire rilevato, dunque non potrebbe neppure venire affermato, così che «un mondo senza menti», in effetti, altro non è che l’idea di una mente: un’ipotesi, una congettura.

 

Riferimenti bibliografici

  • Alai, Mario. 1994. Modi di conoscere il mondo. Soggettività, convenzioni e sostenibilità del realismo. Milano: Franco Angeli.
  • Alai, Mario. 2005. Dal realismo scientifico al realismo metafisico, in «Hermeneutica», NS, 2005, pp. 167-189.
  • Alai, Mario. Ontologia, conoscenza e significato nel realismo scientifico, in M. Bianca e P. Piccari (a cura di), Ontologia, realtà e conoscenza. Milano-Udine. Mimesis, 2014, pp. 119-144.
  • Marconi, Diego. 2007. Per la verità. Relativismo e filosofia. Torino: Einaudi.

Foto di Andreas Kind su Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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