Non si potrà mai insistere abbastanza sul fatto che il Dio di Spinoza, non solo rispetto alla tradizione religiosa, ma anche rispetto alla tradizione filosofica occidentale, sia un Dio di altra natura. Il modo principale per cercare di intenderlo è l’osservazione che Spinoza parte da Dio, come dice spesso nella corrispondenza con gli amici.
In che senso? Partire da Dio significa che l’intelletto umano è costituito dall’idea chiara e distinta di Dio: se l’intelletto umano non fosse costituito da questa idea chiara e distinta, non potrebbe partire da Dio. Ciò implica due rifiuti: da un parte quello di Cartesio che era partito dall’Io e dal Cogito; dall’altra il rifiuto della tradizione scolastica, la cui idea fondamentale è che l’intelletto umano non possiede un’idea chiara e distinta di Dio: secondo San Tommaso infatti l’idea di Dio, considerata in sé (quod ad se), è quanto di più chiaro e distinto ci possa essere; per l’intelletto umano (quod ad nos) non lo è.
Il ragionamento di Spinoza è molto più forte di quanto possa sembrare. Ed egli lo dimostra ricorrendo all’esempio paradossale secondo cui se anche rimanendo nell’amore di Dio non dovessimo conseguire la vita eterna, sarebbe comunque preferibile per l’intelletto umano rimanere in Dio. Per l’uomo infatti trovare qualcosa di meglio di Dio è totalmente insensato: come se un pesce, non potendo raggiungere nell’acqua la vita eterna, volesse vivere sulla terra abbandonando così il suo elemento naturale.
Questa radicalità di Spinoza nell’intendere Dio e l’intelletto umano non si accompagna però con l’utilizzo di un lessico altrettanto nuovo. Anzi, da questo punto di vista Spinoza è apparentato alla tradizione filosofica in molti aspetti della sua dottrina tanto da ingenerare equivoci e malintesi. Ciò avviene soprattutto a riguardo del concetto di causa efficiente, che accomuna sia il Dio di Spinoza che quello della tradizione scolastica medievale. I punti su cui dobbiamo incentrare la nostra attenzione sono almeno tre.
Dio come causa prima
Dio è stato chiamato causa prima sin dai tempi di Aristotele: l’attribuzione da parte di Spinoza di un simile carattere a Dio avrebbe trovato proprio nei medievali i sostenitori più sinceri. Il problema è che dietro all’affermazione di Spinoza, secondo cui Dio è assolutamente la causa prima, ci sono degli argomenti che i medievali non avrebbero assolutamente sottoscritto. Il primo e più importante di questi è l’idea secondo la quale Dio agisce per Spinoza solo ed esclusivamente tramite le leggi di natura. Al contrario, per la tradizione medievale cristiana, la causalità di Dio nasce da un atto che riunisce volontà, potenza e intelligenza. Se i filosofi medievali ammettono ad esempio che Dio non può produrre un quadrato la cui diagonale sia della lunghezza di un suo lato o altre impossibilità, quando tuttavia si giunge all’argomento della creazione dal nulla, e a spiegare i motivi per cui Dio abbia creato (o non abbia creato) una certa cosa, allora la risposta è una soltanto: perché, dicono i filosofi medievali, la sua saggezza ha voluto in quella certa maniera. In altre parole, l’unica ed ultima spiaggia è solo ed esclusivamente la volontà di Dio.
Spinoza abolisce invece nel suo concetto di causa prima proprio quell’atto di volontà e così facendo, egli elimina la creazione dal nulla, atto che quindi diventa un’impossibilità logica. Per questo Spinoza può dire che «non si dà alcuna causa, oltre alla perfezione della sua natura, che o estrinsecamente o intrinsecamente, spinga Dio ad agire» (E1P17scolio1).
In quest’ambito il filosofo olandese si dilunga in modo specifico sul concetto di perfezione. Ebbene, si scopre che proprio esso è il motivo per cui i filosofi medievali avevano introdotto volontà, potenza ed intelligenza nella causalità di Dio: senza quei caratteri infatti, la volontà di Dio non poteva e non può essere perfetta. «Se egli avesse creato, dicono, tutte le cose che sono nel suo intelletto, allora non avrebbe potuto creare nulla di più, cosa che credono ripugnare all’onnipotenza di Dio. Perciò hanno preferito stabilire che Dio è indifferente a tutto e che non crea altro al di fuori di ciò che ha decretato di creare con una certa assoluta volontà» (E1P17scolio). Dunque è questa la perfezione, si chiede Spinoza? La risposta è no: anzi, così facendo, è come se quei filosofi si riducessero a dire che, siccome Dio non può esaurire tutte le possibilità insite nella sua potenza (e non può esaurirle perché altrimenti non ne avrebbe altre da compiere), ecco allora che si trattiene dal metterle in atto; la sua onnipotenza cioè consisterebbe esattamente in quel residuo che gli rimane sempre da realizzare. Ma ciò, dichiara Spinoza, è quanto di più assurdo si possa mai concepire per stabilire l’onnipotenza divina.
Certo, egli aggiunge, i medievali si salvano dicendo che l’attribuzione a Dio di termini quali volontà, potenza e intelligenza è fatto solo per omonimia, non avendo nessuno di essi lo stesso significato di quando quei termini vengono attribuiti all’uomo. Ma questo non cambia nulla in merito al significato di cui si discuteva prima. Anzi, aggiunge Spinoza, è normale che questo accada quando si pone a confronto l’intelletto di Dio con quello dell’uomo. Infatti, sebbene (per Spinoza) essi siano identici per natura, partecipino dello stesso logos (come avrebbe detto Galileo), sono cioè in continuità l’uno con l’altro (come avrebbero detto i filosofi arabi); nonostante tutto ciò, Spinoza aggiunge che l’intelletto di Dio differisce dall’intelletto dell’uomo allo stesso modo in cui il termine cane differisce quando è riferito alla costellazione celeste, da una parte, e all’animale che abbaia, dall’altra.
Che cosa significa allora questo ragionamento? Significa che per Spinoza termini come intelletto e volontà, riferiti a Dio, non hanno alcun significato. A ciò si può aggiungere che oggi i teologi amano ripetere che Dio ha creato il mondo per amore, presentando spesso questa opzione come variante rispetto a quella tradizionale di intelletto e volontà. E tuttavia si tratta di un’affermazione il cui senso deve comunque esser chiarito in base a quanto appena detto.
Dio come causa necessaria e universale
Meglio allora (molto meglio) descrivere l’attività di Dio in termini di necessità. In una lettera dell’epistolario, a chiarimento delle proposizioni dell’Etica, Spinoza spiega che il mondo è l’effetto necessario della natura divina di Dio. Questo significa contemporaneamente due cose: non solo che il mondo è eterno ma anche che il mondo non è stato fatto a caso. Il contrario di quest’ultima affermazione (il fatto cioè che il mondo sia stato fatto a caso), è ciò che invece si è costretti a riconoscere nel momento in cui si ammette (come fanno i teologi) che Dio ha scelto di creare il mondo (oppure ha scelto di creare delle cose e di non crearne di altre), cioè che egli abbia agito secondo una sua volontà. In un’altra lettera Spinoza osserva che l’attribuzione della volontà a Dio corrisponde alla negazione della causalità e alla spiegazione della nascita delle cose attraverso il caso (o possibilità), ovvero il venire ad esistenza di cose che potevano non venire ad esistenza.
Il fatto poi che agisca secondo la sua divina natura, porta Spinoza a dire che l’azione di Dio è universale e non particolare come quella degli scolastici. È vero che essi sostengono che Dio è infinito ed universale; tuttavia, siccome dicono anche che Dio non ha creato tutte le cose che poteva creare (trattenendo un residuo di potenza per essere ancora più potente), ecco allora che il mondo è finito. La conseguenza è che quel Dio dei teologi è causa particolare (dice correttamente Spinoza) e non universale, proprio a motivo del fatto che ha creato soltanto delle cose determinate e non tutto ciò che era nella sua potenza.
Dio come causa immanente
Il terzo modo in cui si comporta la causa efficiente per Spinoza (in realtà ne elenca otto ma ci concentriamo su quelle decisive) è quella che le riassume tutte: Dio è causa immanente e non transitiva di tutte le cose. Questo significa che gli effetti creati da Dio rimangono in Dio e non escono fuori di lui: di conseguenza essi non costituiscono una sostanza diversa da lui. Questo carattere della causalità efficiente, oltre a quelli già in parte discussi, ne esprime uno in particolare: l’idea cioè che nel Dio di Spinoza non si fa distinzione tra la sua materialità e la sua immaterialità. In quanto sostanza unica, il Dio di Spinoza infatti comprende in sé anche la materia, anzi egli stesso è materia. Conclusione che non poteva non inorridire l’intera tradizione scolastica e filosofica in genere che, fin da Aristotele, aveva considerato Dio come l’essere immateriale per definizione. Si tratta di un punto, quello della causalità immanente, in cui Spinoza insiste particolarmente nel Breve Trattato, soprattutto grazie all’espediente dei due dialoghi che egli inserisce nella discussione sistematica dei caratteri divini. Ebbene, alla fine del secondo dialogo, uno dei protagonisti chiede perché, se Dio è causa immanente ed eterna, e così anche i suoi effetti che hanno la sua stessa natura in quanto rimangono in lui, allora accade il nascere e il morire di questi effetti. Insomma: perché se tutto è Dio, questo albero di fronte a me e io stesso dovrò un giorno necessariamente scomparire?
Teofilo, l’amante di Dio che vive egli stesso in Dio, risponde con una metafora, trasferendo la questione nell’ambito del rapporto tra Dio e intelletto umano: «Se voglio aver luce in una certa stanza, accendo (una lampada, ndr) e questa illumina da se stessa la stanza; oppure apro una finestra e questa apertura non produce luce da sola, ma fa sì che la luce possa entrare nella stanza». Quello che Spinoza ci vuol dire è che per avere una risposta a quella domanda (se e come le creature siano eterne come Dio) è necessario avere un’idea di Dio chiara e distinta: tale cioè che Dio non solo fa a meno di qualsiasi intermediario (la luce entra da sola nella stanza) ma che soprattutto ci permette di essere uniti a lui e non amare cose diverse da lui. In altre parole, se usiamo bene il nostro intelletto, riconoscendo Dio come causa prima, non possiamo non riconoscere che anche noi, come Dio, abbiamo la sua stessa natura e quindi siamo eterni. L’amore di se stessi derivante da quella comprensione è così l’unica causa che permette la nostra salvezza.
Image by Aldo Cavini Benedetti.
Unlike the traditional definition of God that says that He can create anything because He wants to and He is omnipotent, Spinoza says that God is in fact omnipotent. However, always within the boundaries of the Laws of Nature, making it impossible for Him to do or create impossible things. Such as, for example, creating the Universe, creating matter from nothing. If no one, not even God, could make the impossible possible by creating the Universe from nothing, the Universe needs to have always existed. If God is not the creator of the Universe and the Universe is everything and everywhere, then He is not exterior to it, but rather a part of it(God is matter or material).
As Lavoisier said: “Nothing is created, nothing is destroyed, everything transforms”. So, how could a being made of imaterial create material? It couldn’t. So, that being needed to be material. If that being is God, and if material can’t be created from nothing, material as always existed, and so did God. God is material and everything is made from God. We share our nature because God is our nature.
One of the things that I find most interesting in Spinoza’s philosophy is, in a way, his pantheistic view. Unlike most religions, where God is beyond us and is praised and cherished, Spinoza’s God is a single substance, which is everything and is in everything, and is obviously supremely good. The spiritualist view that we share the same nature as God is one of the aspects I like most about this theory.
An objection to the theory of God as a necessary and universal cause, as described by Spinoza, can arise from the notion of free will. If God is the necessary cause of all things in the world, there is no free will. If there is free will, either God does not exist or is not universally causal (either way, it is impossible to reach a conclusion).
Furthermore, the view that God acts according to His divine nature can be questioned. If God is omnipotent and has total freedom to act, one could argue that He could choose to act in ways different from those that arise from His supposed necessary nature. Therefore, His action would not be strictly determined by His own nature, but would be an expression of His free will.
“…anche noi, come Dio, abbiamo la sua stessa natura e quindi siamo eterni…”
Bene, ma poiché niente si da fuori della causa immanente, di cosa si dice con quel “noi” ?
La mia è una domanda che pongo, cui non ho ancora risposta pienamente sufficiente ma alla quale personalmente non posso che tentare una risposta coerente con ciò che io ho vissuto: una reincarnazione senza la quale “io” sarei “finito” ma, al contempo, niente di ciò che componeva quell’ “io” sarebbe finito. Solo quei “componenti”, devo quindi dire, e non l'”io” -in sé-, nel quale certo anche si sono creati, sono eterni.
Qui la mia esperienza, qualora possa interessare il conoscerla:
https://www.academia.edu/98033271/REINCARNAZIONE_I_MIEI_RICORDI
Cordiali saluti
Esatto, Riccardo: “…di cosa si dice con quel noi?”. Si dice il nostro essere modi della medesima sostanza.
Morini grazie,
e mi scusi per questa ulteriore nota.
In “noi” e “nostri” e “modi” si può comunque percepire una “individualità-io” che per la mia esperienza finisce, che non può essere e che non può che morire.
Tentando una riflessione allora, il “morire-portarsi a dei” della “antica” filosofia, la sola strada per l’uomo, unicamente forse potrebbe concretamente essere quel “cambio di mentalità-conversione” (di cui dirà poi anche un diverso-filosofo Gesù) che, con parole sempre inadatte, lo porta ad “essere” (e non a “dare”) per quanto a lui possibile, assieme “amore-eros-giustizia ecc.”.
Saluti
Riccardo