Ci sono molti modi per affrontare il problema del rapporto tra fede e ragione: la filosofia che accetta la rivelazione oppure la rivelazione che accetta la filosofia; la filosofia che viene posta come pari alla teologia oppure collocata in modo ancillare (e viceversa); infine fede e ragione pensate in collaborazione verso un fine superiore oppure in radicale conflitto.
Quest’ultimo è stato il modo in cui quel rapporto è stato interpretato da Leo Strauss in una storica quanto drammatica lezione tenuta al seminario teologico di Hartford, Connecticut, l’8 gennaio del 1948. In quella lectio magistralis, dal titolo Reason and Revelation, Strauss esaminava fede e ragione nell’arena del conflitto, come si espresse esplicitamente; non cercava cioè di riunire gli elementi comuni che potevano garantire un accordo tra le due ma ne evidenziava i loro principi ultimi che le separavano in maniera irriducibile. Se la filosofia pretende di essere la vita nella conoscenza, la rivelazione la vita nell’obbedienza a Dio: ecco allora l’alternativa tra Atene e Gerusalemme, assunte rispettivamente come modello dell’antichità e modello della modernità. Vero che entrambe, filosofia e rivelazione, nascono come critica del mito e sono entrambe anti idolatre. La filosofia intende però questa sua natura come ricerca della verità, la conoscenza cioè come via alla felicità umana. Cosa che costituisce, osserva Strauss, il principio diametralmente opposto a quello biblico, quintessenza di ogni religione rivelata, in cui l’alternativa al mito è l’obbedienza al dio vivente.
Forza e debolezza di Spinoza verso la rivelazione
Strauss prendeva come modello della filosofia Spinoza, la cui dottrina contiene la più elaborata critica alla rivelazione che mai sia stata data nel corso della storia del pensiero occidentale. Questo a motivo del fatto che il passo decisivo di Spinoza, rispetto all’intera tradizione filosofica occidentale, è l’idea della conoscenza chiara e distinta di Dio, ovvero che Dio non è imperscrutabile, Dio non è misterioso ma conoscibile dall’intelletto umano. L’argomento di Spinoza cade o sta in piedi, osserva Strauss, dal rifiuto di ogni conoscenza analogica di Dio a favore di una conoscenza immediata di Dio, simile a quella che si ha del triangolo.
Il filosofo olandese rifiuta la rivelazione proprio a motivo del suo carattere immaginativo: l’imaginatio per sua natura è incerta e non rivela la verità. Questo è mostrato, tra le altre cose, dalle contraddizioni di cui è piena la Bibbia (come quella secondo cui Mosè avrebbe predicato, secondo la Scrittura, negli anni successivi alla sua morte, cosa evidentemente impossibile).
Il fuoco polemico di Spinoza si concentra però sulla critica dei miracoli. Se diciamo (come fanno il teologo e il credente) che i miracoli sono fenomeni soprannaturali («il vero vanto della rivelazione – osserva Strauss – è proprio il fatto di essere un miracolo»), pretendiamo di essere a completa conoscenza della natura, cosa impossibile. Così come è impossibile che ogni cosa sia possibile per natura. L’esempio più evidente è la resurrezione dei morti. Come sappiamo infatti che un tale evento è impossibile per natura? La risposta è che non lo abbiamo visto coi nostri occhi ma dalle testimonianze di chi dice di averlo visto, cosa che accade solo in un modo prescientifico, mitico, immaginativo.
La critica di Spinoza alla rivelazione tuttavia, rileva Strauss, è parziale e deficitaria. Perché? Perché non tiene conto che la Bibbia rappresenta un’educazione ai sentimenti, insegnandone molti in modo specifico, come ad esempio la distinzione tra paura servile e timore filiale, che Spinoza non distingue. Da questo punto di vista egli preferisce ammettere la sua ignoranza ma in questo modo finisce per perdere le motivazioni che inducono a credere nella rivelazione. Se per Spinoza la credenza nella rivelazione è una forma di superstizione, la superstizione, ricorda Strauss, è il modo in cui l’uomo prescientifico protegge se stesso dalla disperazione. Questo significa che la conoscenza esperienziale del fatto della rivelazione rimane assolutamente ferma. Spinoza fallisce cioè nel dare conto della totalità costituita da ciò che è chiaro e distinto e da ciò che non lo è.
Ragioni per cui la filosofia non riesce a sconfiggere la rivelazione
Filosofia e Rivelazione non hanno la forza di sconfiggersi reciprocamente: se la filosofia non riesce a trovare argomenti per ripudiare la rivelazione e ad avere l’ultima parola, la rivelazione non riesce a schiacciare in modo definitivo la filosofia. In questo conflitto, Strauss illustra le ragioni di queste impossibilità, soprattutto per quanto riguarda il primo versante.
In generale, l’argomento secondo cui la filosofia non è in grado di ripudiare la rivelazione consiste nel fatto che la conoscenza umana è sempre limitata (anche in un mondo in cui regna la ragione naturale), e che dunque la possibilità e il bisogno della rivelazione non può essere mai rimosso. Di fronte a ciò la filosofia non può semplicemente prenderne atto, non può rimanere sulla difensiva, ma deve attaccare, dice Strauss. Questo per due ragioni. In primo luogo perché se c’è la rivelazione, la filosofia diventa qualcosa di infinitamente superfluo, sicché la possibilità della rivelazione ha come conseguenza il fatto che la filosofia rimane priva di significato. La filosofia cade o sta in piedi solo sul presupposto di essere la sola cosa necessaria ma questo, però, non si dà. Siccome la filosofia non può ripudiare la fede (la filosofia non è cioè l’unica cosa di cui l’uomo ha bisogno, osserva Strauss), la scelta per la filosofia è fondata su una decisione, ovvero qualcosa non giustificata da una necessità razionale. E questo si rivela un punto a favore della rivelazione.
C’è poi un altro problema. Al contrario della rivelazione il cui fondamento è nascosto, la filosofia è fondata sul presupposto che il criterio della verità è l’evidenza, da cui segue che la filosofia presuppone se stessa. La giustificazione della filosofia è cioè circolare: se la filosofia è la più alta possibilità dell’uomo, essa può mantenersi contro la pretesa della Rivelazione solo a patto di riconoscere che essa sia un’ipotesi. La conclusione per Strauss, è che se la filosofia non può ripudiare la rivelazione, allora questo sembrerebbe decidere a favore della rivelazione.
La decisione a favore della filosofia
Nonostante ciò la filosofia, puntualizza Strauss, non ha bisogno della rivelazione mentre la rivelazione ha bisogno della filosofia: «se la filosofia rifiuta di essere portata di fronte al tribunale della rivelazione, la rivelazione deve riconoscere il tribunale della filosofia». La rivelazione infatti è portata a fare delle affermazioni, cioè a dire qualcosa che sia conoscenza. Una conoscenza tuttavia necessariamente presunta. Per escludere che la rivelazione sia respinta radicalmente (in quanto appunto presunta conoscenza) essa deve dire di non avere basi nella conoscenza umana. Ma questa visione, continua Strauss, non è né ebrea né cattolica ma protestante, così come resa esplicita da un pensatore come Kierkegaard. Egli fu colui che recise l’ultimo collegamento tra il regno della conoscenza e quello della fede con queste parole: «per la fede sarebbe stato più che sufficiente se le generazioni che conobbero Gesù avessero lasciato queste parole: Abbiamo creduto che in questi anni Dio è apparso tra di noi nell’umile figura di un servo, che visse, insegnò nella nostra comunità e che poi morì».
Strauss chiudeva la conferenza confessando il suo debito nei confronti di Lessing, la cui attitudine era caratterizzata dal disgusto verso ogni compromesso (tanto da rifiutare socinianesimo, deismo e illuminismo cristiano). Lessing ammetteva una sola alternativa: la filosofia di Spinoza contro l’ortodossia luterana, rispettivamente antichi contro moderni. Lessing si decise a favore di Spinoza per molte ragioni, di cui una fu quella determinante: se gli antichi vedevano meno, i loro occhi sapevano discernere in modo migliore. In altre parole, la filosofia superava la rivelazione nella dimensione della saggezza, l’unica che rende gli uomini veramente uomini.