Filosofia, cura e correzione cognitiva a partire da Emanuele Severino

Life is a tragedy when seen in close-up, 
But a comedy in long-shot

C. Chaplin

Le prime pagine di Severino
Nel primo volume dedicato alla storia della filosofia, La filosofia antica e medievale, specificatamente nel primo capitolo (Severino 2010), Emanuele Severino conduce un’analisi delle origini della filosofia, sottolineandone la natura ‘liberatrice’. Il paragrafo intitolato “La filosofia e il dolore” (Ivi, 38-42) sottolinea l’interpretazione severiniana della filosofia nel suo doppio valore ontologico ed esistenziale. La filosofia dai Greci al nostro tempo rappresenta un’opera di storia della filosofia che, tuttavia, porta con sé un’interpretazione ontologica che qui analizziamo mettendone in risalto il rapporto tra il soggetto in termini esistenziali e l’oggetto-verità. Questa lettura modifica strutturalmente la relazione che intercorre fra i due, offrendo una prospettiva sull’ontologia aperta al misticismo o, meglio, alla spiritualità come cura di sé passando dal rapporto con la realtà esterna e con la sua rappresentazione. Un approccio che avvicina ancora di più la lettura di quelle prime pagine di Severino all’interpretazione di Pierre Hadot e dei suoi “esercizi spirituali” (Hadot 2005).

Nell’ottica di Severino esistono dei nuclei di interesse che trovano una profonda connessione non solo con la filosofia come pratica etica, come cura della psyche, ma anche in riferimento alla psicoanalisi e all’idea di correzione associativa offerta da Freud nei suoi primi scritti (Freud 1989). La filosofia fornisce gli strumenti al soggetto per costruire una rappresentazione della realtà tanto ampia da decentrarlo dai problemi che ne attanagliano l’esistenza individuale; ma questo è possibile solo se il soggetto spinge la propria relazione con la realtà oltre il confine imposto da rappresentazioni discrete.

Il senso di “apertura” della filosofia assume una funzione terapeutica che permette di riorientare lo sguardo sulla realtà, ampliando la prospettiva e liberandosi dal confronto del soggetto con se stesso e con la propria esperienza (narcisismo primario; Mitchell e Black 1996; Lingiardi 2021) e spingendolo verso una visione tanto ampia, quanto è ampio il problema originario della filosofia: quello ontologico. Questa vocazione psicologico-esistenziale – e insieme ontologica – della filosofia non è necessariamente da intendersi in contrasto con le altre disposizioni della filosofia (inclusa quella analitica). È fuori da ogni dubbio che la filosofia sia impegnata in un esame della realtà su livelli diversi dalla logica all’etica, tuttavia l’effetto “collaterale” generale della filosofia è che il porre problemi – che siano questioni interne all’individuo o esterne, che sia psicologico che sia cosmologico, che sia logico che sia metafisico – spinge il soggetto al di fuori della propria condizione, offrendo una rappresentazione della realtà ben più ampia e complessa, in cui il soggetto ridefinisce la relazione con se stesso, partendo dalla nuova rappresentazione della realtà. Più è ampia questa prospettiva – quindi maggiore è lo slancio nella ricerca della verità come universale – maggiore è l’autocoscienza individuale e la possibilità offerta nel minimizzare le sofferenze esistenziali: «La filosofia, come Previsione del vero Senso del Tutto – e cioè come visione del permanere dell’arché e della sostanza di tutte le cose che nascono e muoiono -, è la prima grande forma di rimedio che l’Occidente ha preparato per liberare dall’angoscia suscitata dal pericolo estremo l’uscire delle cose dal niente e – il ritornarvi – che lo stesso pensiero filosofico ha per la prima volta evocato» (Severino 2010, 42).

La correzione cognitiva
Quanto messo in evidenza da Severino, ossia la filosofia come processo che spinge verso la Verità, trova una corrispondenza non solo nel paradigma della filosofia come cura di sé, ma anche come cura in senso psicoterapeutico. Negli Studi sull’isteria, Freud introduceva l’associazione ideativa come modalità di correzione cognitiva in riferimento al trauma/evento esterno. Siamo nel primo Freud, quello in cui l’influenza della psichiatria dinamica francese è pregnante, offrendo slancio a quei primi studi. In quel caso, l’intuizione di Pierre Janet era proprio la riconduzione a un evento non neurologico ma ideativo di origine di isteria e nevrosi: è un’idea che viene isolata producendo la psico-patologia. Tendenzialmente, questa idea è legata a un evento emotigeno particolarmente stressante che viene isolato andando a creare, di fatto, un “gruppo psichico inconscio” (Eagle 2012). Un evento traumatico esterno alla psiche del soggetto, proveniente dall’ambiente e tanto doloroso da essere isolato. Su questa idea, la prima riflessione di Freud va in direzione della formulazione del principio di costanza. Sostanzialmente, ogni idea porta con sé un “ammontare affettivo”, quindi una carica energetica che se non scaricata, viene isolata insieme all’idea stessa; dunque, non è l’idea in sé che comporta la psicopatologia, ma la carica affettiva non scaricata e trasformata in un “affetto incapsulato”. La soluzione che Freud intravede non è solo di tipo fisiologico (scarica pulsionale fisica) ma è di tipo ideativo-rappresentazionale, quindi psichico: inquadrare l’idea dall’alto potenziale patogeno e inserirla in una visione di insieme è un processo utile a scaricarne anche la carica affettiva, riducendo così il rischio di sviluppo di psicopatologie. Disporre di quel ricordo nella memoria autobiografica, ricollocandolo in un insieme di esperienze di più ampio respiro, trasmette un senso di co-appartenenza (intersoggettività) che è una forma di correzione cognitiva (Freud 1989) così definita da Freud nei suoi primi scritti:

«Il ricordo del trauma, anche se non è stato abreagito, entra a far parte del grande complesso dell’associazione, si affianca ad altre esperienze che eventualmente lo contraddicono, subisce una correzione da parte di altre rappresentazioni. Dopo un infortunio per esempio, al ricordo del pericolo corso e al rinnovarsi (in forma attenuata) dello spavento provato si associano il ricordo dell’ulteriore corso dei fatti, del salvataggio, e la consapevolezza della sicurezza presente. Il ricordo di una mortificazione viene corretto con una rettifica dei fatti, con considerazioni sulla propria dignità ecc., e così l’uomo normale riesce a far scomparire, con prestazioni dell’associazione, l’affetto che accompagna il ricordo» (Freud 1989, 180).

Acquisire questa “visione di insieme”, ossia aprire l’orizzonte della rappresentazione del mondo, della realtà, della natura e dei suoi processi corrisponde alla correzione associativa. Se si assume la prospettiva, ad esempio, che la sofferenza non è dell’individuo, ma è della specie e che questa è una condizione propria della natura umana, allora è possibile alleggerire il carico affettivo dell’idea/evento evitando la degenerazione psico-patologica. Ed è in questo processo che la lettura ontologico-esistenziale della filosofia, come indagine totale sulla verità, permette di approdare a una visione di insieme che significa anche modificare la rappresentazione che il soggetto ha della realtà e con ciò ricollocarsi nel reale in forma diversa, consapevole e con accettazione. Tale prospettiva è una vera e propria forma di ristrutturazione cognitiva che parte dalla rappresentazione della realtà nella sua totalità; utilizzando una metafora nota è come guardare il mondo a volo d’uccello. Lo sguardo dall’alto è quello che permette di riassorbire in una prospettiva ampia e uniforme le oscillazioni della realtà. La metafora cinematografica utilizzata da Chaplin è estremamente pertinente: la vita è una commedia se vista in campo lungo, ed è una tragedia in primo piano. Scrive Pierre Hadot: «Auspico, quindi, che il filosofo si situi più nella prospettiva dell’universo, o dell’umanità nella sua totalità, o dell’umanità come altro» (Hadot 2008, 247).

Etica, psicoanalisi ed esercizi spirituali
La filosofia come “dominio” del mondo per come intesa da Severino è dunque un processo etico che permette di lavorare su di sé, mediante la conoscenza del mondo che produce una nuova visione, esperienza e lettura; un passaggio, questo, che permette di connettere la dimensione conoscitiva e la dimensione etica della soggettività. Bisogna però sottolineare che quando Severino usa il termine “dominio” intende: «mettersi nella condizione di sopportare il dolore e di liberarsi dall’angoscia che esso produce» (Severino 2010, 38). Il dominio sulla realtà è un processo rappresentazione-conoscitivo che coinvolge il soggetto nel suo spingersi al di là dell’autocommiserazione individuale e osservare il dolore come fenomeno condiviso, da superare; tale postura rappresentazionale è un impegno etico per la cura individuale ed è a tutti gli effetti una correzione cognitiva. Nel momento in cui la sofferenza individuale viene trasformata in un fenomeno universale, essa viene epurata dall’angoscia. La lettura di Severino qui non è immediatamente associabile al meccanismo freudiano della correzione associativa, in quanto il “dolore” proviene dall’incapacità dell’individuo di padroneggiare l’angoscia derivante dal futuro: «Se si è incapaci di prevedere, il dolore non ha senso e l’angoscia diventa insopportabile. La previsione, dunque, dà senso al dolore e rende sopportabile l’angoscia» (Severino 2010, 41).

Qui l’angoscia è interpretata in un duplice senso in riferimento al parametro temporale (passato o futuro), ma analizzando meglio possiamo immaginare un allineamento delle due interpretazioni (quella filosofico-ontologica-esistenziale e quella psicoanalitica). A primo acchito, sembrerebbe che l’angoscia della imprevedibilità dell’esistenza e della vita rappresenti un’invasione del futuro, mentre l’angoscia per come viene proposta da Freud è un segnale dell’idea inconscia emergente; quest’ultima, però, pur provenendo dal passato in quanto rimossa, è pur sempre una paura del futuro del rimosso che emergerà dal suo stato presente inconscio. È la paura dell’alterità interna che affiora, che ritorna a produrre l’angoscia “segnale” secondo Freud che attiva il meccanismo di rimozione. Solo quando tale meccanismo fallisce, subentra la psicopatologia (es. nevrosi, ossessione, isteria etc. etc.). La paura di non riuscire a contenere l’angoscia emergente è ancora una paura del futuro. Paradossalmente, secondo Severino, è la filosofia che origina il pensiero sulla morte, sulla fine in una prospettiva ontologica in cui si assume e si interpreta la realtà come il divenire delle cose: affiorare e morire in un ciclo continuo. Ma se dalla filosofia come ricerca della verità scaturisce questa riflessione ontologica che ha un impatto sull’esistenza, dall’altra è cura dell’angoscia in virtù del suo essere prospettiva universale e generale:

«Ma la filosofia – e lo stesso pensiero tragico  è anche il rimedio contro il pericolo che essa stessa ha portato alla luce. Infatti, se l’angoscia scaturisce dall’imprevedibilità del futuro, e se la previsione dà senso al dolore e rende sopportabile l’angoscia, la filosofia, come conoscenza della verità del Tutto – cioè come conoscenza vera che vede l’arché da cui tutti gli enti si generano e in cui si corrompono –, si presenta come la Previsione suprema che scorge il Senso del mondo» (Severino 2010, 42).

La filosofia come pharmakon si dà in questa circolarità: apertura della rappresentazione, angoscia, cura dell’angoscia offerta dalla visione di apertura alla realtà che permette di accettare il ciclo vita-morte degli enti – individuo compreso – come meccanismo universale, inevitabile e condiviso. Questa lettura di Severino, molto vicina sia ad Hadot sia per molti versi alla spiritualità orientale, assegna alla filosofia un valore terapeutico che sostiene l’individuo nella sua sana ristrutturazione cognitiva della realtà, ampliando gli schemi interpretativi e riducendo l’impatto dell’angoscia.

 

Foto di Sean Brown su Unsplash

Laureato in Scienze Filosofiche all’Università della Calabria. È Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies, docente nelle secondarie di secondo grado, esperto e membro del Comitato Direttivo “Inventio” e membro della Società italiana per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale (SIpEIA). Si è laureato con una tesi in Filosofia e Antropologia della scienza, conducendo il lavoro di ricerca presso l’Università Aix Marseille con Carlo Rovelli (supervisore prof.ssa Ines Crispini). Dal 2018 svolge attività di ricerca con la cattedra di Etica e Antropologia filosofica presso l’Università della Calabria e si occupa di etica e IA, etica narrativa e didattica della Filosofia.

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