A spasso nella casa dell’eterno

Nella parte sud della città di Brescia un lungo viale avvolto da enormi tigli incrocia via Callegari. All’angolo, nella piccola palazzina che nasconde un giardino interno, c’è la casa nella quale ha vissuto Emanuele Severino. La porta che dà sulla via è protetta da un cancelletto nero. Suoniamo al campanello e qualche secondo dopo il portoncino si apre: Anna Severino, la figlia del filosofo, ci viene incontro e ci fa entrare in quella che è diventata il Centro Casa Severino, per volontà dei figli e dell’Associazione Studi Emanuele Severino (ASES) Continue Reading

Il silenzio che sa farsi ascoltare

C’è una bella frase di Heidegger che dice: «Filosofare, alla fine, non significa nient’altro che essere principianti». Principianti, cioè coloro che cominciano qualcosa dall’inizio, che (proprio perché principianti) non presumono né assumono nulla in anticipo, che sono disposti a svolgere un’attività in cui, prima che sulle proprie conoscenze, devono fare affidamento sull’ascolto. Scegliamo questo pensiero (contenuto in una lettera del 1928) come augurio filosofico per il nuovo anno, il sedicesimo della nostra attività online.  Continue Reading

Il sogno in Montaigne

Introduzione
Michel de Montaigne (1533-1592) tratta del sogno nella parte finale dell’Apologie de Raymond Sebond. Il capitolo è il risultato di un periodo particolare della vita del filosofo: nel 1568 Montaigne riceve una cospicua eredità che gli permette nel giro di pochi anni di rinunciare alla carica di sindaco a Bordeaux e di intraprendere un ritiro interiore; nel 1569 dà alle stampe la traduzione della Theologia naturalis, sive liber creaturarum (1487) del pensatore catalano Raymond Sebond [1]; tra il 1575 e il 1576 scopre lo scetticismo di Sesto Empirico e incomincia a definire il proprio pensiero. In questo periodo Montaigne scrive «una porzione importante dell’Apologie» (Popkin 2000, p. 60). L’Apologie de Raymond Sebond figura in tutte le edizioni degli Essais (1580, 1582, 1588) ed è stata più volte riveduta e ampliata.

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Filosofie & Scienze: pratiche, metodi e linguaggio

Questo articolo raccoglie le prime uscite della rubrica “Filosofie e scienze: pratiche e metodi” ed è stato pubblicato, nelle scorse settimane, “a puntate” sulla pagina Facebook dell’Associazione Culturale METOPE, che ringraziamo insieme all’autore per la gentile concessione.

Premessa
Perché iniziare una riflessione sulla scienza e sulla filosofia oggi, e cosa c’entra questo con tutti noi? È innegabile che i traguardi delle scienze hanno aperto orizzonti di possibilità straordinarie che seguono un sogno iniziato in Grecia 2500 anni fa, rinato nel Rinascimento, proseguito con l’Illuminismo e Positivismo ed arrivato fino ai giorni nostri; un sogno che auspicava il raggiungimento di una conoscenza certa, razionale, utile, condivisibile a cui affidarsi nei momenti di incertezza e che avrebbe sollevato gli uomini dalle miserie fisiche, mentali e sociali.

È un sogno che si è avverato? O è una specie di mitologia, una forma di pensiero magico che vorrebbe il realizzarsi di un “paradiso tecnico” nel futuro (per dirla alla Severino) e noi in eterno cammino verso di esso? In un momento come questo, dove aspettiamo quotidianamente dalla scienza una risposta unica e certa nei confronti di un fenomeno planetario che ha cambiato le nostre vite, un fenomeno che si iscrive e descrive nel linguaggio scientifico di un’epidemia da virus, siamo dunque soddisfatti? Ci ha dato le risposte che più intimamente volevamo? O forse meglio, gli abbiamo posto le giuste domande, quelle a cui sa e può rispondere?

Questo ci spinge evidentemente ad interrogarci più a fondo sul nucleo fondante del pensiero scientifico, su cos’è scienza o forse sarebbe meglio dire scienze; sul metodo, o forse sarebbe meglio dire sui metodi scientifici. Sì perché è sempre più evidente che i metodi e le pratiche della biologia c’entrano poco con quelli della geologia o della fisica o della medicina, e non perché si condivida un comune metodo sperimentale, un fisico ne capisce “tout court” di agraria o biochimica. Certo ci sono paradigmi comuni, a volte richiami, sovente intersezioni, ma poi nella pratica le scienze sono saperi molto differenti e specializzati, con linguaggi differenti che molto spesso faticano a capirsi, se non arrivare a posizioni anche contraddittorie.

E come potremmo interrogarci su che tipo di sapere è un sapere scientifico, se non all’interno di una riflessione più ampia su cos’è sapere in generale? Su chi è e cosa sa l’umanità che sa? In questo la filosofia ci verrà in soccorso, sia per la sua propensione metodologica ad affilare ed affinare la domanda, sia per la sua storia di essere stata la prima sapienza razionale e critica e che, per certi aspetti, ha contribuito alla genesi del pensiero scientifico.

Quello che cercheremo di fare è usare il domandare filosofico, non tanto per seguire le posizioni dei vari pensatori, ma per “arroventare” e dunque evidenziare, le precondizioni necessarie, l’oramai assodato, le tacite premesse (non per complottismi vari, ma proprio per suo statuto), affinché funzioni un particolare metodo d’indagine.

Cercheremo di lavorare sui metodi e sulle pratiche del pensiero scientifico, servendoci dei contributi di filosofi, scienziati e divulgatori, consapevoli che: è dalle pratiche che si configurano i metodi e da questi le teorie e i paradigmi e che gli uni non stanno senza gli altri. 

Dividere le prime dalle ultime è sicuramente fonte di enorme confusione e di grossolani errori, è un peccato di “hybris” direbbero i greci, che corre il rischio di creare una descrizione del mondo (una narrazione scientifica) là dove invece ci sono metodi e pratiche di previsione. 

Quindi per concludere, tornando alla domanda iniziale, cosa c’entra questo con noi tutti? L’immagine che noi abbiamo del mondo, che ad oggi è planetariamente un’immagine scientifica, condiziona come pensarci o ri-pensarci nel mondo? Che valore dare alla nostra esperienza intima e vissuta, all’interno di una narrazione così vasta e pervasiva come quella scientifica?

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