Le proprietà emergenti dei sistemi complessi (II)

Come abbiamo scritto nel precedente saggio, per una buona ed esauriente spiegazione scientifica del fenomeno entrambi i processi risultano essenziali: sia il processo guidato dal metodo analitico sia il processo volto a riunificare gli elementi ottenuti mediante l’analisi e che implica anche il processo che si caratterizza per le interazioni che sussistono tra tali elementi.

Ne consegue che la conoscenza scientifica, in forza del suo metodo analitico, è intrinsecamente riduzionista, perché l’intendimento non è soltanto quello di individuare i fattori che entrano in gioco nella produzione di un fenomeno, ma altresì quello di pervenire al fondamento ultimo del fenomeno stesso, cioè alle sue costituenti atomiche.

L’atomo – anche qui l’etimo aiuta notevolmente a comprendere il concetto – rappresenta ciò che non è ulteriormente divisibile e per questo vale come il punto finale della ricerca. Il processo della spiegazione, quindi, può venire inteso come poggiante sulla relazione tra lo explicandum (explanandum), ossia ciò che domanda di venire spiegato (che deve venire reso piano dalla eliminazione delle pieghe), e lo explicans (explanans), ossia ciò che consente di spiegare (eliminare le pieghe).

Nel caso della relazione esterna, gli elementi sono i fenomeni intesi come fattori (cause, variabili indipendenti) che producono il fenomeno (variabile dipendente) in esame; nel caso della relazione interna, invece, come i costituenti elementari dell’oggetto (fenomeno) esaminato.

La questione, però, è se i fattori individuati possano davvero venire considerati gli unici ad avere un ruolo nella produzione del fenomeno analizzato o, nell’altro caso, se gli elementi individuati siano davvero atomici, cioè non ulteriormente divisibili.

Consideriamo questo secondo caso, perché ci interessa di più per il discorso che stiamo svolgendo. L’atomo, che si intende valga come l’indivisibile (a-tomos), risulta tale solo in riferimento agli strumenti in forza dei quali si cerca, di volta in volta, di dividerlo. Ciò che, pertanto, risulta indivisibile, a muovere da determinati strumenti, può risultare divisibile se si usano strumenti più sofisticati, come ci ha insegnato la fisica delle particelle.

Se non che, l’analisi non può accettare un progressus in indefinitum. Essa è costretta a postulare, di volta in volta, di essere pervenuta a qualcosa che funga da elemento, perché solo l’elemento può venire considerato autentico fondamento della ricerca. Solo di fronte all’elemento, quindi, l’analisi può arrestarsi e la ricerca considerarsi compiuta.

Poiché, però, quell’atomo, che è stato ottenuto mediante l’analisi, può, a sua volta, venire analizzato, ecco che ciò che viene assunto come fondamento risulta essere solo un postulato: esso viene assunto come indivisibile, ma non è autenticamente tale, potendo venire diviso all’infinito.

La necessità di procedere sempre avanti nella scomposizione e l’arbitrarietà della decisione di assumere qualcosa come atomo hanno come conseguenza che il procedimento analitico si rivela inarrestabile.

Per questa ragione, la ricerca scientifica si è caratterizzata per la tendenza ad “esasperare” l’analisi, così che l’oggetto del conoscere viene frantumato, quasi polverizzato, senza che si riesca mai a legittimare, in forma definitiva, ciò che viene assunto come fondamento.

Se quanto è stato affermato vale per la scienza in generale, esso vale anche per la scienza che ha scelto l’individuo come suo oggetto di ricerca, come ci fa notare Bottaccioli (2014) che del modello medico principalmente si occupa.

L’individuo, inteso nel senso di persona, è l’elemento su cui poggia quell’insieme che viene definito “società” e vale come indivisibile per la scienza che di quell’insieme si occupa. Non per niente, la parola “individuo” indica precisamente questo: non diviso.

Tuttavia, se vale come indivisibile per la scienza che si occupa della società, ciò nondimeno esso diventa divisibile per quella scienza che progetta di coglierne la struttura.

Si impone qui una importantissima precisazione: la dualità di mente e corpo, che molti considerano il retaggio della cultura idealistica, inaugurata da Platone, o del razionalismo cartesiano, è in effetti non altro che l’esito della primitiva scomposizione dell’individuo, scomposizione che è la possibilità stessa che esso venga conosciuto, secondo il modello scientifico del conoscere.

Conoscere l’individuo significa precisamente ridurlo alle sue componenti, le quali vengono connotate, in prima approssimazione, come “mente” e “corpo” proprio per il fatto che il conoscere trova in esso un elemento attivo, che si esprime nella stessa attività conoscitiva (la quale essenzializza così la mente), e un elemento passivo, che è ciò su cui l’attività si esercita e che viene definito corpo – o materia –, perché, almeno inizialmente, risulta soggiacere totalmente all’attività, come qualcosa di inerte.

Ogni ulteriore conoscenza dell’individuo si pone a muovere dall’assunzione del corpo e della mente come oggetti di ricerca successiva. Intendiamo dire che, dopo la primitiva scomposizione, è possibile procedere analizzando sia la mente che il corpo, i quali, ancorché reciprocamente vincolati, una volta che sono stati sciolti dal vincolo possono venire assunti separatamente l’uno dall’altro e su ciascuno di essi è possibile esercitare l’attività analitica.

Con questa conseguenza: il corpo viene smembrato in una molteplicità di organi; gli organi vengono opportunamente analizzati e risolti in una molteplicità di cellule e le cellule in elementi sub-cellulari, secondo una progressione che aspira a pervenire all’atomo biologico, ma che si trova di fronte sempre e soltanto un elemento che può, a sua volta, venire ulteriormente scisso.

Questo sviluppo iper-analitico della ricerca ha comportato, sul piano operativo, la iper-specializzazione delle competenze scientifiche, in generale, e mediche, in particolare, dando luogo altresì ad uno sviluppo impetuoso delle conoscenze specifiche e specialistiche, ma anche alla perdita del senso di unità che vincola ciascuna parte al tutto.

Ad un analogo destino, del resto, è andata incontro la mente, la quale è stata anch’essa scomposta in una molteplicità di funzioni, variamente configurate e variamente espresse e riprodotte in forma computazionale, alla ricerca di quello che potremmo definire lo “psicone”, ossia di quell’atomo psicologico che possa in qualche modo venire assimilato al neurone e svolgere, a livello della psiche, la funzione elementare che il neurone svolge a livello del sistema nervoso.

In un simile universo teorico, la necessaria conseguenza è stata l’assolutizzazione della parte, la quale non è stata più colta come parte-di-un-tutto, ma come una realtà che è stata considerata autonoma e autosufficiente.

Questo, a nostro giudizio, costituisce il limite principale della concezione riduzionista: l’attenzione è stata rivolta essenzialmente all’elemento, così che si è finito per dimenticare quel vincolo che intrinsecamente lo connette all’insieme degli altri elementi.

Ciò ha comportato, da un lato, il perdere di vista il significato che la parte ha all’interno del sistema; dall’altro, il non considerare la peculiarità dei cosiddetti “sistemi complessi”, che sono tali per la ragione che presentano proprietà  emergenti.

Tali proprietà, infatti, non sono riducibili a quelle dei loro costituenti elementari: «Negli anni Ottanta il filone della biologia teorica che propone nuove soluzioni non meccaniciste si arricchisce della ricerca sulle proprietà emergenti nei sistemi complessi, proprietà quindi che non sono presenti in quanto tali nei costituenti il sistema, ma che sorgono come novità dalle interazioni tra questi elementi» (Bottaccioli 2014, 11).

 

Riferimenti bibliografici
– Bottaccioli, Francesco. 2014. La fine della grande illusione del riduzionismo in biologia e in medicina, in «Epistemologia», 37, pp. 5-21.

 

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Foto di Ricardo Gomez Angel su Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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