La Storia non siamo noi ma l’Essere

La distinzione tra storia (Geschichte) e storiografia (Historie) è una delle chiavi essenziali per comprendere il pensiero di Heidegger. La distinzione risale ad Essere e Tempo ma viene radicalizzata negli anni trenta quando il filosofo tedesco indica nella storiografia uno degli aspetti più invasivi del pensiero calcolante, cioè del predominio dell’ente sull’essere.

Nell’opera principale infatti la storiografia rimane ancora radicata nella struttura ontologica dell’Esserci. Questo significa che i materiali della storia (resti, monumenti, fonti di vario tipo) sono documenti che ancora valgono per l’accesso alla vita autentica. L’aspetto interpretativo ermeneutico è ancora predominante e funzione della storiografia è quella di tematizzare l’esserci storico, svelando cioè nel singolare l’universale. Si tratta di un’impostazione presa a prestito da Nietzsche che, nel saggio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, aveva individuato nella storia antiquaria, monumentale e critica le eccezioni positive ad una generale incompatibilità della storia per la vita.

Negli anni trenta la distinzione tra storia e storiografia diventa invece vera e propria separazione di ambiti. La storiografia, nei Contributi alla filosofia, appartiene ora alla cosiddetta risonanza, ovvero la consapevolezza compiuta del nichilismo per il quale il pensiero dell’ente ha abbandonato quello dell’Essere. In questo contesto, vera e propria conseguenza della metafisica, Heidegger intende per storiografia «la spiegazione che fissa il passato dall’orizzonte delle attività calcolanti del presente». Essa, cioè il modo in cui l’uomo narra e vive solitamente la storia, è avvolta dalla più totale negatività. Negatività della quale (sia detto per inciso)  l’uomo non sa nulla tanto egli è immerso nell’esperienza vissuta della macchinazione.

La denuncia del pensiero storiografico
Ma è nei Quaderni Neri che l’attacco alla storiografia viene portato in modo massiccio, e questo in particolare nelle Riflessioni che vanno dal 1938 al 1941. Nell’infuriare della guerra, Heidegger s’infuria sul modo in cui gli uomini leggono e interpretano gli avvenimenti umani. Le sue annotazioni sul tema (di fatto continue in questa sezione dei Quaderni Neri) si aprono con la constatazione in base alla quale è proprio la storiografia, ovvero la lettura metafisica della storia dell’uomo, che impedisce alla storia dell’Essere di emergere. Questo compito di intercettazione viene svolto dalla cultura che spesso, osserva Heidegger, degenera nella forma gigantesca dello spettacolo. «Il mondo vive l’esperienza di Schmeling», commenta sarcasticamente Heidegger riferendosi al pugile tedesco che il nazismo aveva eletto a suo portabandiera; osservazione profetica che (soprattutto per i personaggi sportivi) si ripete in ogni epoca storica, grazie ad allestimenti organizzati per scopi di propaganda (senza che tali allestimenti siano ovviamente spacciati come tali). La storia che conosciamo viaggia sulle ali del mito. E non a caso poi (critica ancora non troppo velata al regime nazista) ci si organizza con la creazione di istituti storici che agevolano e indirizzano il lavoro di chi si occupa della storia con la continua ricerca delle spiegazioni. 

Il presupposto della storiografia è l’uomo in quanto animale razionale e perciò, in quanto rappresentabile, esposto al saccheggio computazionale che prende i nomi di psicologia, morale, estetica ma anche biologia: non c’è più distinzione tra scienze umane e scienze naturali, entrambe sottoposte al dominio del calcolabile, entrambe soffocate dalla spiegazione, mai aperte alla domanda. Se questo è il presupposto, la forma preliminare della storiografia è il cristianesimo con la sua storia dell’alleanza, riassunta in quel gigantesco capolavoro di Agostino che è la Civitas Dei.

L’altro nome della storiografia è storicismo, il quale tende a giudicare l’epoca attuale secondo i parametri del presente. «Nel dominio compiuto della storiografia – vale a dire della modernità – tutto ciò che è passato si trasforma in un costante presente sempre a disposizione a seconda delle esigenze e a buon mercato, e ciò in misura così intensa che questo presente non può più sapere, e non vuole nemmeno più sapere, di essere esso il passato stesso». Per la storiografia il passato siamo noi, come dice il titolo di quella trasmissione, senza però la coscienza di essere veramente tale e soprattutto con l’illusione della corretta lettura degli eventi. 

Ecco allora il romanticismo e il classicismo: tutte forme di storicismo nelle quali si esprime un valore ideale con il quale si commisura, e anzi si abusa, di ogni fenomeno storico. 

Giudizi taglienti quelli di Heidegger. La storiografia si esprime nella cultura popolare: esempio massimo di questa popolarizzazione, fatta attraverso l’uso del romanticismo, è Richard Wagner che proprio il nazismo aveva eletto a suo sottofondo musicale.

In questo generale appiattimento, la storiografia è uguale alla tecnica fino ad essere, osserva Heidegger, la stessa cosa nonostante la parvenza della loro opposizione. Tecnica e storiografia sono la stessa cosa non solo perché condividono il medesimo fondamento metafisico, ma anche perché pongono mano allo sfruttamento dell’ente inteso come ciò che è disponibile. Questo significa che la tecnica è diventata storiografia della natura e così facendo si impadronisce di tutto il sapere, sovvertendolo. Con essa si compie l’umanizzazione dell’uomo, parola che, sotto l’apparente quanto ammiccante complicità, significa che l’uomo non ha più obiettivi perché esso stesso diventato obiettivo delle ideologie che intendono sfruttarlo (dal cristianesimo al socialismo fino al nazionalismo).

Rappresentante principale della storiografia, «archetipo di tutti gli storiografi», è Spengler ed il suo Tramonto dell’Occidente, testo diventato popolare grazie ad un nietzscheanesimo di superficie adatto solo ad entusiasmare certi uomini (perlopiù direttori di banca e tecnici, dice Heidegger) oggi le migliaia di nuovi arrivati dell’erudizione a buon mercato. 

Agente principale di questo occultamento della storia a favore della storiografia è il giornalismo. Già nei Contributi Heidegger aveva affermato che «la principale prestazione della storiografia si attua ormai nella forma del resoconto giornalistico (reportage) e che gli storici sono avidi di simili esposizioni della storia mondiale». Nei Quaderni Neri il filosofo tedesco rincara la dose confermando che «la storiografia, nel compimento della sua essenza moderna, si trasforma in una propaganda rivolta all’indietro, intenta a rielaborare il passato, in una scienza del giornalismo».

Che cos’è storia per Heidegger?
Al contrario di quanto finora detto, la storia cerca invece sempre le origini del necessario, pensando senza l’ipoteca della legge causa-effetto. Per comprendere la Storia nel senso indicato da Heidegger si devono chiarire tutti i concetti di questo pensatore per il quale si deve partire dalla radicale coappartenenza di pensiero ed essere. Grazie solo alla retta comprensione di quell’identità (che Parmenide aveva intravisto ma che la filosofia moderna, con il suo soggettivismo, ha completamente stravolto) è possibile riattivare la domanda che, interrogando l’essenza dell’uomo, riabilita l’autentica filosofia. Grazie a quella domanda si determina per ciò stesso la vera ipseità dice Heidegger, cioè la nascita della coscienza che, in tal senso, è autentica coscienza storica. Il vero storico è il filosofo: solo in questo modo si esce dalla storia come storiografia e si entra nella storia come decisione. In questo senso la Storia è destino, accadere iscritto nell’Essere, quindi avvenimento (Ereignis). La verità dell’Essere è il fondamento della storia, sicché «l’Essere si dirada e lascia che la radura giunga alla fondazione, in tal modo diviene la custodia dell’ente nell’esserci in quanto fondamento della natura di fondatore dell’uomo». Proprio vero che, come diceva Heidegger, filosofare (e quindi fare storia) significa esistere alla luce del fondamento e quindi, in modo essenziale, essere pensatori della lontananza. 

 

Riferimenti bibliografici

  • Heidegger, Martin. 2006. Essere e tempo. Milano: Longanesi
  • Heidegger, Martin. 2007. Contributi alla filosofia (Dall’evento). Milano: Adelphi
  • Heidegger, Martin. 2015. Quaderni Neri, Riflessioni II-VI, 1931/1938. Milano: Bompiani
  • Heidegger, Martin. 2016. Quaderni Neri, Riflessioni VII-XI 1938/1939. Milano: Bompiani
  • Heidegger, Martin. 2016. Quaderni Neri, Riflessioni XII-XV 1939/1941. Milano: Bompiani

Foto di Attentie Attentie su Unsplash

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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