In una delle lettere a Lucilio (Lettera 65), Seneca argomenta attraverso alcune domande retoriche che pone al suo allievo e amico al fine di mostrarne l’assurdità e quindi la loro inconsistenza. Seneca chiede: «Mi vorresti proibire di contemplare la natura? Separandomi dal tutto, vorresti confinarmi nella parte? Non dovrei cercare i principi dell’universo?». La filosofia, invece, aveva detto poco sopra Seneca a Lucilio, ci conduce proprio a porci queste domande poiché è insito nella sua genetica invitare «l’anima a respirare liberamente di fronte allo spettacolo della natura, sollevandola dalla terra alle regioni divine» (Seneca 2010, p. 401). In altre parole, la filosofia salda quella separazione tra sé e natura, tra io e mondo, che sussiste come convinzione nel cuore di chi non guarda con attenzione al tutto ma si concentra sulla parte. Il mondo esterno – dirà Seneca – è una sorta di illusione da cui guarire: sollevarsi dalla materialità del proprio corpo (quindi dalla parzialità) è l’unico modo per avvicinarsi all’idea di una comunione del tutto. Ovviamente in Seneca opera attivamente il precetto stoico per cui il corpo rappresenta il limite massimo di un uomo: «questo corpo è tutto ciò che in me può ricevere danno. In questa dimora esposta ai pericoli abita un animo libero» (Seneca 2010, p. 403), scrive l’autore latino. Tuttavia, per quanto l’anima lavori nel tentativo di liberarsi dai vincoli del corpo, essa gli rimane connessa. Continue Reading
Rovesciare lo schema: Processo e realtà di Alfred N. Whitehead (II)
Audacia e umiltà sono le due caratteristiche che deve possedere lo spirito filosofico affinché possa cogliere ciò che si nasconde nel grembo della natura. La filosofia, dunque, come abbiamo già detto, è scoperta e ricerca continua, inevitabile processo che deve confrontarsi con la logica e i fatti, che non può e deve sfociare in una esposizione personale e individuale. La filosofia, scrive Whitehead, è «l’auto-correzione ad opera della coscienza del suo iniziale eccesso di soggettività» (Whitehead 2019, 177). La filosofia, allora, non è specialistica e nemmeno settoriale: è il più ampio dei discorsi sopra la natura; la filosofia è tale nel momento in cui è – in definitiva – metafisica. Ma per entrare in questa esposizione metafisica del reale, nel senso più completo del termine, ovvero che oltrepassi il fisico ricomprendendolo in una logica organicistica, è necessario definire alcune «nozioni primarie che costituiscono la filosofia dell’organismo» (Whitehead 2019, 187) e sulle quali, quindi, si fonda Processo e realtà.
Rovesciare lo schema: Processo e realtà di Alfred N. Whitehead (I)
Con questo articolo intendo avviare una serie di contributi che ci porteranno ad esplorare, in maniera quanto più possibile analitica e tuttavia fruibile, l’opus magnum di uno dei maggiori filosofi del Novecento occidentale: Processo e realtà di Alfred North Whitehead. Quest’opera, infatti, rappresenta il maggiore contributo filosofico del pensatore inglese che nelle sue oltre cinquecento pagine condensa e rimodella tutto quanto avesse in precedenza scritto. In Processo e realtà emerge senza dubbio l’anima metafisica di Whitehead, ma traspare evidentemente anche il suo retroterra matematico e scientifico. Prima però di inoltrarci nei temi dell’opera è bene conoscerne un po’ la genesi, la struttura e – credo – sia opportuno indicare la postura con la quale leggeremo Processo e realtà e quindi il ruolo che Whitehead immagino debba ricoprire all’interno di un discorso storico-filosofico completo. Continue Reading
L’evento non è un accidente
La nozione di “evento” ha goduto di uno scarso interesse in ambito filosofico fino all’inizio del XX secolo quando – schiacciato fra una meccanica quantistica che propugnava una possibilità di verità meramente probabilistica; una letteratura che sempre più narrava la singolarità dell’individuo e il suo spaesamento; una storia spaccata in due fra la necessità politica di svolgere un grande racconto e l’altra necessità anti-sistema di dare testimonianza, appunto, degli eventi – ha acquisito una nuova vitalità. Continue Reading
L’Infinito primo, il primo Infinito
La metafisica, come in una perfetta sceneggiatura, ciclicamente irrompe sulla scena. Molto spesso, tuttavia, non irrompe con la prepotenza di chi ha la voglia di imporsi, semmai segnala la sua presenza sullo sfondo e ricorda ai teatranti il campo entro il quale hanno facoltà di muoversi. Anche nell’attuale discorso filosofico antropocentrico, la metafisica balbetta la sua parola, che appare sempre più – appunto – come un balbettare stanco difficilmente recepito. La maggior parte della filosofia novecentesca ha iniziato a considerare la metafisica un discorso erede di una tradizione ormai morta e sepolta, e quindi un discutere vano. Lo sguardo si è via via spostato sul piano etico, attivo, umano, del pensiero. Così facendo si è inteso tralasciare tutto quanto riguardasse la speculazione metafisica. Come se questa non fosse in realtà, già di per sé, un atto; è questo che sfugge a buona parte della filosofia contemporanea: il pensiero filosofico è sempre un fare filosofia, un intervenire sul mondo, un gesto che impone la sua presenza sul reale (o almeno su ciò che consideriamo tale). La metafisica, prima o poi, ciclicamente irrompe sulla scena.
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La concretezza della metafisica
L’origine editoriale del termine metafisica (metà tà physiká, ovvero i libri di Aristotele che si trovavano dopo la Fisica) rappresenta da sempre anche una sfumatura che caratterizza e identifica quest’area di interesse della filosofia. Eppure, al giorno d’oggi, la metafisica non gode affatto di una stima nel discorso filosofico e sembra essere invisa ai più e dimenticata: nelle università, ad esempio, non ci sono cattedre di metafisica e pochissimi corsi la riguardano esplicitamente, se non nelle facoltà teologiche (e questo ci dice molto). La metafisica ha acquisito una certa familiarità con la mistica, con qualcosa di esoterico e che esce dal perimetro del discorso filosofico e, così facendo, essa si è eclissata, fin quasi a diventare qualcosa di laterale e indicibile. La metafisica è dunque nascosta, de-valorizzata, ritenuta una riflessione più vicina alla fede, ammantata di una certa oscurità. Continue Reading
Antropocene e antropocentrismo
Si è iniziato a parlare di Antropocene solo nel 1999. In quell’anno, a Città del Messico, ad un congresso sull’Olocene, il chimico dell’atmosfera Paul Crutzen, premio Nobel nel 1995, pronunciò per la prima volta il termine Antropocene. L’Olocene è ufficialmente l’epoca nella quale viviamo, un’era iniziata all’incirca 11.700 anni fa; l’Antropocene è invece la rapidissima evoluzione del nostro tempo geologico, rappresentata da un grado di variazione rispetto al recente passato così ampio da evidenziare una spaccatura radicale e profonda. Continue Reading
L’idea di coscienza in Henri Bergson
Nel corso dell’ultimo ritiro filosofico è stato esplorato il tema della coscienza in rapporto alle varie posizioni riduzionistiche. Nel corso del novecento filosofico una delle più eterogenee e scandalose formulazioni dell’idea di coscienza, in rapporto alla teoria epistemologica, è senz’altro quella bergsoniana. Per certi versi – e in maniera tutt’altro che esplicita – essa risuona anche in Heidegger ed è stata, ovviamente, il bersaglio polemico di tutta una generazione filosofica francese tra gli anni ‘30 e ‘40, che ha liquidato il bergsonismo a partire dalla convinzione fenomenologica che ogni coscienza è coscienza di qualcosa.
A spasso nella casa dell’eterno
Nella parte sud della città di Brescia un lungo viale avvolto da enormi tigli incrocia via Callegari. All’angolo, nella piccola palazzina che nasconde un giardino interno, c’è la casa nella quale ha vissuto Emanuele Severino. La porta che dà sulla via è protetta da un cancelletto nero. Suoniamo al campanello e qualche secondo dopo il portoncino si apre: Anna Severino, la figlia del filosofo, ci viene incontro e ci fa entrare in quella che è diventata il Centro Casa Severino, per volontà dei figli e dell’Associazione Studi Emanuele Severino (ASES). Continue Reading
Rawls è poco machiavellico
Come è possibile gestire un insieme eterogeneo di individui all’interno di un contesto sociale? Qual è lo strumento, la legittimazione, il mezzo, attraverso cui una autorità politica può (e deve) mantenere l’unità di una società? In ultima istanza: come si può conciliare la molteplicità degli individui con la necessaria unità della giustizia e dell’ordine sociale e politico?
Queste domande sono l’Anfang, il cominciamento, di ogni teoria filosofico-politica che voglia costruire un sistema teorico applicabile alla realtà sociale. Prima di porre queste domande, ogni teoria filosofico-politica deve descrivere la natura dell’uomo.L’opera e gli studi di John Rawls (1921-2002) hanno sostanzialmente tentato di rispondere a tali questioni. Continue Reading