A cosa servono i filosofi?

Per celebrare i 40 anni dalla nascita dell’inserto culturale Domenica, il quotidiano Il Sole 24 ore ha curato la proiezione di quaranta domande sui monitor della stazione ferroviaria di Milano centrale. In un’epoca in cui si cerca e si vuole la risposta facile, l’esercizio della domanda è sempre qualcosa che va salutato con favore.

Una di queste chiedeva: I filosofi servono a qualcosa?  Si tratta di una domanda antichissima nella quale si sono interrogati, da Platone ad Heidegger, gli stessi filosofi. Noi abbiamo provato a rispondere, magari venendo in aiuto ai viaggiatori interessati alla cosa. Continue Reading

Logica e Linguaggio per la Storia

In una conferenza del 1924 sul concetto di tempo, Heidegger sosteneva che «la possibilità di accedere alla storia si fonda sulla possibilità secondo la quale un presente sa essere di volta in volta futuro. (…) La filosofia non arriverà mai a capire la storia fintanto che la analizzerà come oggetto da considerare secondo il metodo. L’enigma della storia risiede in ciò che significa essere storico» e questo enigma è determinato interamente dal modo in cui viviamo il nostro rapporto con il tempo. Continue Reading

Realtà e sistema di riferimento (IV)

Il discorso che è stato svolto nei precedenti articoli ha inteso vincolare esistenza e rilevamento. Il rilevamento, a sua volta, inscrive la presenza rilevata (l’esistente, l’ente) all’interno di un sistema o campo nel quale si dispongono le esistenze rilevate. In tal modo, il sistema di rilevamento e il sistema di riferimento si traducono in un sistema o campo di presenze rilevate e, più in generale, riferite a ciò che ad esse si riferisce.

In effetti, anche Carnap e Quine hanno subordinato l’esistenza delle cose a un qualche sistema di riferimento (framework), nel senso che essi hanno definito l’esistente relativamente a un sistema nel quale compare o viene espresso.

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La Storia pensata dalla linea di lotta

Come per Heidegger, anche per Hannah Arendt l’indagine sulla storia è centrale per stabilire il destino dell’uomo. Per entrambi è necessario un “salto”. In che modo? Arendt, a differenza di Heidegger, ha il pregio di ripercorrere in modo puntuale i percorsi filosofici tramite i quali si è arrivati alla condizione odierna mostrando, riferendosi alla parabola di Egli tratta da un racconto di Kafka, come quel salto sia reso difficile dal fatto che l’uomo è stretto tra due forze antagoniste, quella del passato e quella del futuro, in cui rischia di soccombere. La prospettiva è quella già profetizzata da Tocqueville: «Siccome il passato ha smesso di gettare luce sul futuro, la mente dell’uomo vaga nell’oscurità».
Nonostante ciò, Arendt non cessa di fare affidamento sul pensiero, unica risorsa dell’uomo contro la catastrofe. In Tra passato e futuro pubblicato nel 1961, la scrittrice (come usava definirsi) si esercita in otto saggi il cui unico obiettivo è quello di acquisire esperienza su come pensare. Tra di essi spicca Sul concetto della storia il quale riunisce molteplici spunti, a volte di difficile lettura, a volte tortuosi e tali da apparire fuorvianti ma il cui filo non è difficile rintracciare. Continue Reading

Il pensiero che dimentica la necessità del pensare

Nell’articolo “I sentieri e la palude” abbiamo cercato di mettere in evidenza che una questione dell’essere, che non sia al tempo stesso una questione della coscienza, conduce ad aporie inevitabili. Quando un’aporia non viene vista, e quindi viene subìta dal pensante, si producono pensieri e visioni del mondo che portano inevitabilmente a posizioni che non solo risultano contraddittorie, ma riverberano negativamente nell’esperienza vissuta degli uomini.

Nell’articolo “La macchinazione e l’inganno dell’esperienza vissuta” viene posto in evidenza come il pensiero moderno, cadendo nell’oggettivazione dell’essere nell’ente, giunga a ciò che Heidegger chiama “macchinazione”, che è il pensiero dominante l’attualità. Anche la coscienza cade in questa oggettivazione, con la conseguenza che le filosofie della coscienza che risultano da questa impostazione immettono anche la coscienza stessa nella macchinazione, riducendola a mera funzione coscienziale, e dunque a semplice presenza.

Obiettivo di questo articolo è mostrare, con l’ausilio del testo dei Quaderni Neri 1938/1939, che la critica di Heidegger alle filosofie della coscienza non riguarda l’Idealismo tedesco. Nei confronti di questa filosofia, entro la quale intendiamo quel movimento di pensiero che va da Kant a Hegel, da un lato Heidegger prende le distanze, da un altro lato ne cattura un valore che non è, come quello del pensiero moderno, oggettivistico, e quindi nel caso specifico “coscienzialistico”, ma metafisico, nel senso heideggeriano della storia dell’essere. Continue Reading

La Storia non siamo noi ma l’Essere

La distinzione tra storia (Geschichte) e storiografia (Historie) è una delle chiavi essenziali per comprendere il pensiero di Heidegger. La distinzione risale ad Essere e Tempo ma viene radicalizzata negli anni trenta quando il filosofo tedesco indica nella storiografia uno degli aspetti più invasivi del pensiero calcolante, cioè del predominio dell’ente sull’essere.

Nell’opera principale infatti la storiografia rimane ancora radicata nella struttura ontologica dell’Esserci. Questo significa che i materiali della storia (resti, monumenti, fonti di vario tipo) sono documenti che ancora valgono per l’accesso alla vita autentica. L’aspetto interpretativo ermeneutico è ancora predominante e funzione della storiografia è quella di tematizzare l’esserci storico, svelando cioè nel singolare l’universale. Si tratta di un’impostazione presa a prestito da Nietzsche che, nel saggio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, aveva individuato nella storia antiquaria, monumentale e critica le eccezioni positive ad una generale incompatibilità della storia per la vita.

Negli anni trenta la distinzione tra storia e storiografia diventa invece vera e propria separazione di ambiti. La storiografia, nei Contributi alla filosofia, appartiene ora alla cosiddetta risonanza, ovvero la consapevolezza compiuta del nichilismo per il quale il pensiero dell’ente ha abbandonato quello dell’Essere. In questo contesto, vera e propria conseguenza della metafisica, Heidegger intende per storiografia «la spiegazione che fissa il passato dall’orizzonte delle attività calcolanti del presente». Essa, cioè il modo in cui l’uomo narra e vive solitamente la storia, è avvolta dalla più totale negatività. Negatività della quale (sia detto per inciso)  l’uomo non sa nulla tanto egli è immerso nell’esperienza vissuta della macchinazione. Continue Reading

Soggettività e oggettività della percezione (III)

Nella speranza di avere chiarito la ragione per la quale assumiamo la percezione solo in quanto cosciente (affronteremo di nuovo il tema tra poco, quando parleremo del ciclo percettivo-inferenziale), torniamo all’obiezione legata al fatto che non sono soltanto gli uomini a rilevare presenze, giacché anche gli animali lo possono fare. Ebbene, anche ammettendo ciò, non si può non riconoscere che il tema del rilevamento continua comunque a riproporsi, nel senso che senza un rilevamento, magari compiuto da un animale, non si potrebbe cogliere l’esistenza di alcuna cosa.

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L’idea di coscienza in Henri Bergson

Nel corso dell’ultimo ritiro filosofico è stato esplorato il tema della coscienza in rapporto alle varie posizioni riduzionistiche. Nel corso del novecento filosofico una delle più eterogenee e scandalose formulazioni dell’idea di coscienza, in rapporto alla teoria epistemologica, è senz’altro quella bergsoniana. Per certi versi – e in maniera tutt’altro che esplicita – essa risuona anche in Heidegger ed è stata, ovviamente, il bersaglio polemico di tutta una generazione filosofica francese tra gli anni ‘30 e ‘40, che ha liquidato il bergsonismo a partire dalla convinzione fenomenologica che ogni coscienza è coscienza di qualcosa

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La macchinazione e l’inganno dell’esperienza vissuta

Uno degli aspetti centrali di quella che Heidegger chiama la risonanza, cioè la consapevolezza dell’abbandono del pensiero dall’Essere (nel quale consiste l’autentico nichilismo) è la cosiddetta macchinazione. Macchinazione significa prima di tutto che l’ente è interpretato come rappresentabile e, in quanto tale, calcolabile, opinabile, ottenibile mediante la produzione. La macchinazione respinge tutti quei tentativi che possono portare il pensiero verso un’autentica meditazione dell’essere e lo fa, in primo luogo, grazie all’idea della verità come correttezza del rappresentare (adaequatio rei intellectus est). Essa, la macchinazione, installandosi nel cuore della metafisica, è ciò che provoca un generale e nuovo tipo di incantamento.   Continue Reading

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