Un filosofo antico

L’eredità di un pensatore risiede nella visione anticipata delle cose o, più nello specifico, nella adattabilità che il pensiero deve avere rispetto al cambiare dei contesti. Si è eredi di un filosofo nella misura in cui si rintraccia una valenza – simbolica e non solo – del suo pensiero e lo si vive nella realtà contingente. 

I segni di vita che Federico Leoni (Università di Verona) ripercorre, descrivendo ciò che Henri Bergson ha lasciato al pensiero, viaggiano nel doppio senso di marcia sopra descritto. Henri Bergson, segni di vita (Feltrinelli) è infatti il volume che Leoni dedica al filosofo francese che prima di tutti e, forse più di tutti, si è riappropriato di uno sguardo greco nei confronti delle cose. Bergson è il filosofo del mutamento e del movimento, dell’intraducibile mouvant, pensatore di una nuova filosofia della natura che si sgancia definitivamente dalla rigidità del moderno.  Continue Reading

L’evaporazione del tatto

Dove sta andando oggi il cinema? Da “cinema della crisi”, il cinema è entrato in crisi esso stesso. Con l’intento di descrivere il periodo di crisi che stiamo vivendo da decenni, il sistema stesso è entrato in crisi senza riuscire più a uscirne, ma innescando un processo di ricerca di soluzioni che stentano ad arrivare e giungendo così ad un semplicistico tentativo di cercare di perpetuare se stesso per non morire.

Soprattutto negli ultimi anni è diventato evidente un modus operandi per cui si cerca da un lato di andare sul sicuro, riproponendo modelli vincenti e che abbiano un sicuro riscontro economico, come ad esempio la proliferazione dei film sui supereroi, dall’altro lato la crisi sembra essere diventata anche creativa e ci si spinge sulla sponda sicura delle storie già scritte e raccontate in altri modi, come ad esempio la pratica del remake di pellicole di successo del passato o prodotte in altri paesi. Un esempio su tutti che sembra essere indicativo. Il film del 2016 Perfetti sconosciuti del regista italiano Paolo Genovese non solo è stato venduto in tutto il mondo e visto nella sua versione originale da milioni di spettatori sparsi in tutto il pianeta, ma è stato rifatto e adattato in tantissimi altri contesti. Si è preso insomma un prodotto di successo e lo si è innestato in una diversa realtà sociale e politica. Fino ad oggi, a sette anni dalla sua uscita nelle sale italiane, Perfetti sconosciuti ha avuto ben 25 adattamenti che vanno dal primo prodotto in Grecia nel 2016 fino agli ultimi prodotti realizzati in Azerbaigian, Islanda e Danimarca nel 2023.

Se Walter Benjamin ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica parlava della perdita dell’aura artistica delle opere d’arte, oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di forse peggiore, almeno per quanto riguarda l’arte cinematografica: la perdita di ogni aspetto creativo. Siamo all’intrattenimento puro e semplice. C’è una stanca ripetizione di stilemi nella costruzione delle storie. La tecnica che viene insegnata nelle scuole di sceneggiatura diventa fine a se stessa, senza più l’anima che prima la caratterizzava: l’obiettivo è soggiogare lo spettatore. Che però si fa soggiogare sempre meno. 

Si potrebbe spiegare anche così il successo negli ultimi 10-15 anni delle serie televisive, rispetto al cinema vero e proprio.
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Le proprietà emergenti dei sistemi complessi (II)

Come abbiamo scritto nel precedente saggio, per una buona ed esauriente spiegazione scientifica del fenomeno entrambi i processi risultano essenziali: sia il processo guidato dal metodo analitico sia il processo volto a riunificare gli elementi ottenuti mediante l’analisi e che implica anche il processo che si caratterizza per le interazioni che sussistono tra tali elementi.

Ne consegue che la conoscenza scientifica, in forza del suo metodo analitico, è intrinsecamente riduzionista, perché l’intendimento non è soltanto quello di individuare i fattori che entrano in gioco nella produzione di un fenomeno, ma altresì quello di pervenire al fondamento ultimo del fenomeno stesso, cioè alle sue costituenti atomiche. Continue Reading

Leggere Wittgenstein

Quando si affronta un nuovo sistema filosofico, ci si trova sempre in una certa situazione di imbarazzo. Si vorrebbe avere una visione d’insieme, una sorta di sguardo dall’alto grazie al quale contemplare il paesaggio che attende chi dovrà attraversarlo. Il filosofo sa che deve fare la traversata da solo e per di più in una landa ignota: almeno avere un’idea della vastità del territorio sarebbe d’aiuto. Una buona regola sarebbe quella di studiare come se si dovesse affrontare un fortino inespugnato: attaccandolo cioè dal lato debole, o almeno quello che appare tale e che sembra essere compreso più facilmente. Per Ortega y Gasset lo studio dei grandi problemi filosofici richiede una tattica simile a quella che gli Ebrei adottarono per prendere Gerico: «non per attacco diretto ma girandovi intorno lentamente, affrontando la curva ogni volta più strettamente e mantenendo vivo nell’aria il suono delle drammatiche trombe»

L’importanza di questa strategia (ma allo stesso tempo l’imbarazzo)  si accresce quando si deve affrontare lo studio di un filosofo come Wittgenstein. Da dove partire? Dove attaccare il discorso senza che questo si dimostri essere una strada interrotta? Lo stesso Wittgenstein diceva che «Il linguaggio ha pronte per tutti le stesse trappole: la straordinaria rete di strade ben tenute praticabili (tanto che) sarebbe buona norma mettere dei cartelli là dove si diramano le false strade, che aiutino a passare sui punti pericolosi».  Se anche non si riuscisse a fare ciò, almeno affrontare lo studio in modo che la lettura delle sue proposizioni porti a pensare i problemi da lui pensati. All’inizio del Tractatus egli scrive che il libro può essere compreso solo da chi abbia già pensato i pensieri in esso contenuti. Crudo ma essenziale. Wittgenstein amava dire che l’unica cosa buona che aveva era che a scuola leggeva favole ai bambini. Ho avuto la stessa esperienza: dopo averne raccontata una, alla domanda su quale fosse il significato della favola, i bambini hanno risposto: «il signor Maurizio!»: non poteva capitarmi cosa migliore per capire la tesi del linguaggio come gioco. Continue Reading

Che cosa sono analisi e sintesi?

In questa serie di articoli nei quali proviamo ad indagare filosoficamente il significato di alcuni termini di uso comune, non tanto per mostrarne l’errato utilizzo quanto piuttosto per arricchirne il senso e darne una lettura di più ampio respiro, abbiamo per forza avuto un approccio analitico in alcuni momenti. L’analisi, infatti, è uno dei versanti del processo gnoseologico che più comunemente si intende come il nostro processo gnoseologico. L’altro lato di questo promontorio è la sintesi. Analisi e sintesi, quindi, vanno a comporre una diade conoscitiva che per lo più intendiamo come lineare e collegata.

Nel tentativo di proporre una definizione: l’analisi è la scomposizione di un elemento che si vuole conoscere; la sintesi è la ricomposizione alla luce di ciò che si è inteso dello stesso elemento. L’osservazione analitica (lo si dice pure delle persone, dell’approccio che hanno nei confronti del modo di conoscere le cose) è orientata verso i punti che compongono le figure, mentre lo sguardo sintetico ci racconta di una “astrazione” che è riassemblaggio di parti suddivise.  Continue Reading

La luce del proiettore

L’immagine-tempo
«
Lo schermo stesso è la membrana cerebrale in cui si affrontano immediatamente, direttamente, il passato e il futuro, l’interno e l’esterno senza distanza assegnabile, indipendentemente da qualsiasi punto».

Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una trasformazione del cinema in tempo e pensiero. L’immagine cinematografica ha reso atto ciò che nelle altre forme d’arte era solo potenza. Fondamentale è la questione del tempo. È infatti opinione comune che l’immagine cinematografica sia al presente, ma forse questa è l’evidenza più falsa di tutte. Non esiste infatti un tempo presente che non sia ossessionato dal passato e dal futuro, da un passato che è presente passato e un futuro che è un presente da venire. È vero che la successione dei fotogrammi descrive il presente, ma ogni presente coesiste con un passato e con un futuro senza i quali il presente non sarebbe ciò che è. Solo il cinema può cogliere questo passato e questo futuro che coesistono con il presente, metterli insieme e creare qualcosa di unico. Filmare ciò che è prima e ciò che dopo. «Questo è il cinema», afferma Godard in una intervista al quotidiano Le monde del 1982, «il presente non esiste mai, salvo che nei brutti film».  Continue Reading

Riduzionismo vs complessità (I)

Questa ricerca intende riflettere sul modello riduzionista e sul modello sistemico-relazionale, che costituiscono i due principali modelli su cui si basano le odierne scienze empiriche e sperimentali. Per svolgere l’analisi, prenderemo spunto da due lavori, non recenti ma particolarmente significativi per l’indagine che ci proponiamo di svolgere. Tali lavori sono comparsi nel numero 1 del Volume 37 della Rivista “Epistemologia” e sono stati scritti da Francesco Bottaccioli e da Giovanni Villani.

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Ritornare dall’esilio

Non c’è peggior cosa che vedersi talmente piccoli da sentirsi schiacciati e inutili. L’eco-ansia, ad esempio, è una forma riconosciuta di immobilismo che porta nelle persone disturbi di carattere emotivo e relazionale, a causa della gigantesca portata distruttiva dei cambiamenti climatici. Più in generale, è una condizione umana tipica che nel nostro mondo globalizzato, sempre in vetrina e in una situazione di iper-informazione, può alimentarsi e crescere. All’interno di questa “bolla” i maggiori problemi, quelli che coinvolgono a vari gradi tutti gli strati sociali, sembrano insolubili. Il futuro non appare incerto, piuttosto assume la forma di una minaccia. 

La reazione a questa condizione è ciò che differenzia il nostro entrare in rapporto sia con le minacce (reali, inventate, sopravvalutate o sottovalutate che siano), sia con il nostro essere parti in causa di tali minacce. Sono due le vie praticabili: a) lavorare per una rivoluzione, quindi pensare di poter anestetizzare la caduta con il rovesciamento dei sistemi politici e culturali che hanno provocato la minaccia; b) riappropriarsi dei corpi e della loro situazionalità, restituendogli un dominio di azione. Questa seconda è la tesi di Miguel Benasayag e Bastien Cany che nel loro recente Corpi viventi. Pensare e agire contro la catastrofe (Benasayag-Cany 2022) provano a liberare la razionalità dell’individuo moderno dal proprio esilio, per tornare alla centralità del corpo non in quanto espressione singolare bensì come interfaccia con il vivente. 

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Fenomenologia della nuova onda

Se il cinema è in grado di portarci nel mezzo, nella transizione, c’è una vera e propria corrente cinematografica che tenta di fare del cinema l’espressione della complessità del reale. Questo movimento, forse il primo ad avere una base intellettuale forte e una struttura culturale coerente e sistematica, è la Nouvelle vague. Nata nella Francia intellettualmente e politicamente engagé degli anni 50 del ‘900 – una Francia esistenzialista, dominata dalla personalità di Jean-Paul Sartre, dai pantaloni a sigaretta, dalle magliette a righe in stile bretone e dal fumo di Gitanes – la Nouvelle vague si vuole svincolare dalla tirannia del visivo, dell’immagine per l’immagine, dal concreto oggettivabile per trasformare il cinema in un mezzo di comunicazione flessibile al pari della scrittura. La macchina da presa usata come una stilografica in grado di lasciare schizzi di inchiostro sul muro delle emozioni umane e vedere quelle emozioni sempre da angolazioni diverse. Il film diventa forma temporale, non una semplice somma di immagini, diventa un tutto che restituisce totalmente il senso della realtà: un tutto che è più della somma matematica delle sue parti.  Continue Reading

Spazialità vissuta e psicopatologia

L’articolo prende in esame uno specifico aspetto della spazialità vissuta: la spazialità atmosferica (Griffero, Schimitz). L’atmosfera è intesa come comunicazione preliminare e pretematica non riducibile cognitivamente (Merleau-Ponty). L’atmosfera dà luogo ad una spazialità-paesaggio non geografica (Straus, Binswanger): spazialità piena (Minkowski) nella quale i soggetti con-partecipano del medesimo mondo condiviso. La perdita di reciprocità e partecipazione alla spazialità atmosferica condivisa si manifesta come Störung (Heidegger) che può assumere caratteri patologici (Tellenbach). L’atmosfera e l’attenzione alle sue alterazioni patologiche rappresentano una prospettiva privilegiata per cogliere il progressivo manifestarsi e il significato dei disturbi psichici (Binswanger, Fuchs). 

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