Educazione come esercizio al dominio

Per chiunque abbia ancora qualcosa da decidere nella propria vita, l’incontro con Nietzsche si rivela spesso un punto di svolta. L’acutezza della sua capacità critica, la forza dirompente delle sue intuizioni, il superuomo: ogni suo pensiero è il tassello di un mosaico geniale in cui il centro sembra essere ovunque e in nessun luogo, ma che solo ai rari in grado di ammirarlo nella sua interezza svelerà i propri segreti. Ha giocato molto con la portata evocatrice degli enigmi Nietzsche, perfettamente in linea con quel mondo presocratico tanto a lungo studiato nella sua giovinezza da filologo. C’è una cosa però, rispetto alla quale è sempre stato fin troppo chiaro: solo il solutore di enigmi possiede la forza per dominare se stesso e di riflesso essere una guida per tutti “i temerari della ricerca” in cammino lungo il percorso per diventare se stessi. È questa l’essenza di ogni educazione ma, per comprendere a pieno la sua reale portata semantica, risulta imprescindibile addentrarsi in quella che fu l’esperienza educativa di Nietzsche in prima persona, il suo incipit filosofico. Eccoci dunque di fronte alle pagine della Terza inattuale, pubblicata nel 1874 con il titolo Schopenhauer come educatore, una delle più forti legittimazioni del valore pedagogico intrinseco al contatto con quegli individui superiori, tanto preziosi quanto rari.

Il ruolo di Schopenhauer
A dispetto di ogni aspettativa infatti, è esattamente intorno al tempo in cui visse Nietzsche che ruota il senso dell’opera e il suo porsi come elemento educativo, perché nella sua mente il quadro aveva già iniziato a delinearsi con chiarezza: il presente doveva essere oltrepassato. “Pavidi” egli chiama i suoi contemporanei, individui ormai resi consci del proprio essere ciascuno un unicum irripetibile nella storia, che però rinnegano una simile grandezza per celarsi sotto l’ala protettiva dei costumi. L’ormai decadente società europea di fine ottocento ha soffocato nella pigrizia ogni impulso vitale, lo stesso processo di secolarizzazione non ha fatto altro che favorire l’erezione di nuovi idoli a sostituzione della divinità ormai depotenziata e le masse sono sempre più alienate, sempre più piegate in una felice adorazione dello Stato. È oltre questa epoca mediocre che vuole andare Nietzsche, e ai suoi occhi Schopenhauer si pone come il grimaldello in grado di forzarne le gabbie mentali e aprire la strada che conduce verso una nuova umanità. Nell’inevitabile infelicità di fondo che affligge ogni esistenza umana, egli seppe non solo resistere alla tentazione di isolarsi negli sterili meandri della “scienza pura” e all’indurimento morale, ma anzi trasse dalle proprie doti intellettuali la forza per opporsi alla meschinità dell’uomo moderno come “uomo magnifico e creatore”; l’unico in grado di dirsi: «Approvi tu nel più profondo del cuore questa esistenza? Ti basta essa? Vuoi essere tu il suo difensore e il suo redentore? Soltanto un unico e sincero “sì!” dalla tua bocca: e la vita così gravemente accusata sarà assolta» (Nietzsche 2009, 31-32). Impossibile non sentire l’eco della voce di Zarathustra in tali parole, così come è impossibile non intuire quanto in profondità l’incontro intellettuale con questo straordinario maestro abbia segnato il giovane Nietzsche. Al di là di questo però, è dunque nel suo porsi come esempio vivente di un’individualità superiore, in grado di affermare se stessa nell’aperta ostilità del proprio tempo, che Schopenhauer si fa vero educatore. In un mondo in cui la vita umana è sempre di più la mera prosecuzione di quella animale e in cui le facoltà intellettive non riescono a sottrarre l’uomo alla sua dimensione istintuale, solo i “non più animali”, cioè “il filosofo, il santo e l’artista”, possono porsi come punto di rottura: «Al loro apparire e per il loro apparire la natura, che non salta mai, fa il suo unico salto di gioia, perché per la prima volta si sente giunta allo scopo, là dove cioè essa comprende di dover disimparare ad avere dei fini e di aver giocato troppo alto il gioco della vita e del divenire. In questa conoscenza essa si trasfigura e sul suo volto posa una mite stanchezza crepuscolare, ciò che gli uomini chiamano “la bellezza”» (Nietzsche 2009, 50). È quasi sorprendente la straordinaria attualità delle critiche mosse da Nietzsche al sistema universitario del tempo. I suoi attacchi all’accondiscendenza dell’atteggiamento kantiano così come alla brama di potere del pensiero hegeliano e soprattutto alle loro conseguenze pratiche troveranno facilmente la simpatia di chiunque non creda in una cultura pagata dalla politica.

Il senso dell’educare per Nietzsche
È da queste ultime parole che ci si deve muovere per comprendere il significato reale dell’educazione nel pensiero nietzscheano. Se infatti è solo con la comparsa del genio – l’immagine schopenhaueriana all’interno della quale lo stesso Nietzsche racchiude il filosofo, il santo e l’artista – che la natura raggiunge il proprio culmine, ed inoltre è solo grazie a questo se l’umanità può serbare ancora la speranza di un risveglio futuro della propria grandezza, risulta evidente che sia questa la direzione da dare anche al processo di formazione. Fino ad allora per Nietzsche, “educazione” era stato solo il nome dato al tentativo d’inculcare nelle menti degli uomini illusioni che si contrapponessero alla legge interna alla natura per cui: «In essa quello che importa è soltanto il singolo esemplare superiore, più insolito, più potente, più complicato, più fecondo» (Nietzsche 2009, 54). D’ora in poi, questo dovrà essere il nuovo obiettivo di ogni forma di cultura, l’obiettivo di ogni processo educativo: favorire la nascita del genio. Questo vuol dire educare: porre rimedio all’irragionevolezza della natura mettendoci al servizio dell’oltrepassamento della deforme umanità moderna in vista di una nuova specie di uomini, che sia finalmente capace di una vita eroica, come lo fu quella di Schopenhauer. È nella disposizione ad un simile sacrificio che la vita di chi non è che un tentativo fatto dalla natura nel suo percorso verso la bellezza trova senso e valore. Non più sacrificarsi per il bene della maggior parte, ma per quello di un unico individuo superiore. Come si può fare tutto questo? Facendo conoscere i valori che ha incarnato Schopenhauer affinché col suo esempio possa promuovere dentro e fuori di noi il perfezionamento della natura. Perché per Nietzsche solo l’amore suscitato dal contatto con la grandezza può spingerci davvero ad ignorare le sirene della società e a gioire del nostro essere opere incomplete lungo la strada che porta a un capolavoro.
In un’ottica simile, appare immediatamente chiaro il carattere profondamente individuale di ogni processo formativo. Nessuna scuola che sia interessata a conferire valore a ciò che invece non ne ha affatto, potrà mai giocare un ruolo importante nella partita che dovrà portare all’oltrepassamento del tempo presente e dell’uomo che lo abita. Solo quando essa sarà capace di valorizzare la parte ineducabile di ogni singolo, la sua specificità, solo quando avrà imparato a sua volta la lezione di Schopenhauer, potrà farsi a sua volta veicolo di grandezza. Per questo nell’educazione Nietzsche coglie un processo di liberazione, perché più che riempire di contenuti essa deve renderci consapevoli della nostra unicità e permetterci di realizzarla. Così l’educatore si trasforma in liberatore e ci apre le porte verso il superuomo.

Conclusione
È quasi sorprendente la straordinaria attualità delle critiche mosse da Nietzsche al sistema universitario del tempo. I suoi attacchi all’accondiscendenza dell’atteggiamento kantiano così come alla brama di potere del pensiero hegeliano e soprattutto alle loro conseguenze pratiche troveranno facilmente la simpatia di chiunque non creda in una cultura pagata dalla politica. A ben vedere però, c’è molto di più di questo nel testo: c’è una chiara e inequivocabile difesa del carattere individuale del percorso educativo. Lungi dal proporre linee guida comuni per tutti, come al solito Nietzsche finisce per rivolgersi a quei rari che sono le nature affini ad un pensare filosofico scevro da vincoli di qualsiasi genere, quei coraggiosi marinai cui si rivolge anche Zarathustra, quali destinati a comprendere ciò che non può essere in alcun modo insegnato: l’unicità. È vero, in Schopenhauer come educatore ciò è solo accennato in via preliminare, tuttavia già qui è possibile cogliere il germe del suo amore per il coraggio di essere se stessi a dispetto di tutto e tutti. Un coraggio che sa di antichi eroi e saggezza tragica, ma che nondimeno si rivela come una straordinaria prospettiva di vita soprattutto in tempi meschini come i suoi, come i nostri. Perché oggi che l’anticonformismo si sta affermando come la più eclatante forma di conformismo, guardare al «Nietzsche come educatore» di colliana memoria, non è solo un dovere per giovani liceali, ma anche e soprattutto una straordinaria opportunità. Il sistema educativo, ora come allora, mira a piegare l’entusiasmo di ogni giovane anima sotto il peso del “tu devi” al quale ogni Stato costringe i suoi membri affinché siano buoni cittadini. Tuttavia, un “buon cittadino” non ha nulla a che vedere con un “vero uomo” perché tra essi corre un abisso e, come ha sottolineato più volte Zarathustra, quanto più esso è piccolo, tanto più difficile diventa superarlo. Non c’è nulla dunque che ci si possa aspettare dal sistema scolastico al fine di realizzare l’individuo, perché non è a ciò che esso mira. Un tale strumento di controllo e manipolazione delle menti non potrà mai favorire l’emersione del genio, perché quest’ultimo, forte della propria libertà intellettuale è proprio ciò contro cui ogni potere tenderà sempre a lottare. Allora, come dice lo stesso Nietzsche, bene venga anche la persecuzione del filosofo se essa può servire a smascherare tutti i simulacri del sapere che occupano le cattedre universitarie e mostrarci la loro vera natura di alleati del potere. In tal modo saremo certi che i pochi abbastanza coraggiosi da sfidare ogni pericolo in nome della verità, saranno i soli che veramente varrà la pena di ascoltare e seguire, perché solo chi vive ciò che pensa – come ci ha insegnato Giordano Bruno – è il vero educatore.

In Schopenhauer come educatore dunque, Nietzsche svela la reale natura dei sistemi educativi moderni che, votati all’omologazione, si pongono come i veri e propri sepolcri di ogni forma di cultura; ed è sorprendente notare l’attualità di una simile critica. Lasciando che l’educazione si risolvesse in mero conformismo, abbiamo trasformato in un circolo anche il percorso formativo, per cui solo coloro che sapranno abbracciare più convintamente le regole di un tale sistema saranno coloro che verrano scelti da esso per perpetuarlo. Come in un eterno ritorno delle identiche nefandezze, tutte quelle nature troppo fiere per rimanere intrappolate sotto l’egida del “tu devi” sono state estromesse dal mondo dell’educazione cosicché questa potesse tradursi nella più scellerata promozione dell’assenza di cultura. Tuttavia, se quanto auspicato da Nietzsche per consentirci di tornare a riconoscere le grandi individualità del nostro tempo fosse vero, allora non ci sarebbe nulla di cui dispiacersi per questa nuova forma di persecuzione, perché: «L’uomo che non vuole appartenere alla massa non deve far altro che cessare di essere accomodante verso se stesso» e volgere lo sguardo ai veri educatori. Solo così potrà tornare ad ascoltare quella voce della coscienza che gli intima: «Sii te stesso! Tu non sei tutto ciò che adesso fai, pensi desideri» (Nietzsche 2009,  4); solo così potrà imparare a dominare se stesso come gli altri e farsi a sua volta educatore.

 

Riferimenti bibliografici

  • Nietzsche, Friedrich. 2009. Schopenhauer come educatore. Milano: Adelphi.

 

Photo by MChe Lee on Unsplash

Questo articolo è stato pubblicato la prima volta su Ritiri Filosofici il 6 marzo 2016.

Andrea Cimarelli è laureato in filosofia con una tesi su Emanuele Severino e la lettura dell'Eterno Ritorno nietzschiano. Si è occupato di Nietzsche e di Giorgio Colli.

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