Il neoateismo come nuova forma di fede

Copertina Libro_Eugenio Lecaldano, Senza DioAppare evidente che emergano sempre di più, nel dibattito delle idee e delle opinioni, alcune concezioni radicali del mondo, le quali espellono in modo dogmatico qualsiasi alternativa, dando per scontato che il loro “punto di vista” sia il vero punto di vista. Ciò, nella storia del pensiero, si è sempre manifestato. Tuttavia, oggigiorno, alcuni dei più forti integralismi provengono da aree geografiche del pensiero che, nella storia, hanno sempre subìto la pressione di integralismi più forti e vincenti.

Vorremmo cominciare a ragionare, quindi, su un nuovo integralismo che, da qualche anno sta da una parte conducendo giuste battaglie per il riconoscimento e la libertà, ma dall’altra si concentra nella pratica dogmatica di affermare se stesso come unico e indiscutibile orizzonte di verità.
Si sta parlando del così detto neoateismo, dei quali fanno parte – per dire alcuni nomi – il compianto Cristopher Hitchens, Richard Dawnkins, Daniel Dennet, Sam Harris. La migliore definizione di questo “movimento”, il quale, nonostante alcune differenze, converge in modo quasi totale verso la definizione che ne dà nel suo ultimo volume Eugenio Lecaldano: «il neoateismo indica nel non credere e in un’esplicita negazione dell’orizzonte religioso una fuoriuscita dalla gabbia delle contrapposizioni che così fortemente segnano il nostro tempo. L’ateismo […] viene così proposto come l’unica prospettiva in grado di evitare le guerre di religione che sembrano avere segnato i primi anni del XXI secolo» ((E. Lecaldano, Senza Dio, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 42-43.)).

Le prospettive politiche a cui accenna Lecaldano, però, si fondano sulla convinzione dei neoatei che la scienza e solo la scienza sia il discrimine per decidere ciò che è vero e ciò che non lo è. Inoltre, solo la scienza può proporre una visione del mondo che sia indubitabile e dalla quale si generino anche valori morali e politici capaci di governare una, futura, società di atei.

Come ricorda il filosofo britannico John Gray in un bel articolo sul Guardian intitolato What scares the new atheist, i neoatei «non hanno rinunciato alla convinzione che i valori umani debbano basarsi sulla scienza» e pertanto, per loro «avere una visione liberale del mondo e averne una scientifica è la stessa cosa». Inoltre, continua Gray, «è un’equazione semplice e rassicurante, ma in realtà non esistono collegamenti fondati – né sul piano logico né su quello storico – tra l’ateismo, la scienza e i valori». ((Una traduzione dell’articolo di Gray è stata pubblicata in Italia dalla rivista Internazionale, n. 1096, pp. 92- 97. I passi citati nel presente articolo provengono da quella traduzione, a cura di Francesca Spinelli.))

La pericolosità di queste convinzioni, aggiunte inoltre ad una banalità e limitatezza di un certo ateismo odierno, ci porta anche a sostenere l’idea che molto spesso i neoatei stiano diffondendo una nuova fede. E, come abbiamo premesso all’inizio di questo articolo, ci sembra evidente che di nuove fedi integraliste non ve ne sia alcun bisogno ((Dice Gray: «Il nuovo ateismo è in larga parte l’espressione del panico morale dei democratici».)).

Uno dei lati negativi che Lecaldano nel suo libro mostra del neoateismo, è proprio quello della propensione di quest’ultimo ad una sorta di “evangelizzazione” al contrario; quello insomma di “convincere” l’umanità ad abbandonare le religioni. Ma, «sia l’ottica della condanna in blocco dei processi di secolarizzazione, sia l’indicazione della eliminazione delle religioni come panacea per tutti i nostri problemi sociali sembrano oggi suggerimenti ideologici del tutto inadeguati» ((E. Lecaldano, Senza Dio, cit., p. 145.)). Anche perché si è creduto che il processo di secolarizzazione fosse oramai irreversibile e che, quindi, la religione potesse scomparire lasciando così campo aperto alla scienza. «Oggi è evidente che non c’è nessuna marcia trionfale in corso» però, come dice Gray, e al contrario «la religione si sta riaffermando dappertutto».

Questo stato di cose non può e non deve portare alla radicalizzazione delle posizioni atee e non credenti, come vi fosse la necessità di fondare un bipolarismo quasi politico e, in fondo, sterile. Piuttosto, come ben fa Lecaldano nel suo libro già menzionato, i neoatei (troppo concentrati sul potere quasi taumaturgico della scienza) dovrebbero guardare alla storia dell’ateismo, alle radici su cui si basa tale idea, a ciò che nella storia del pensiero Occidentale si è opposto in modo fermo al potere, già enorme, della fede.

È vero che i pensatori che hanno fatto a meno di Dio, o almeno della concezione religiosa di un Dio trascendente, onnipotente, padre di ogni cosa, hanno nella maggior parte dei casi denunciato l’applicazione politica della religione, il suo ruolo nella vita pubblica, nelle decisioni che riguardavano la totalità dei cittadini e il suo essere – come scrive Bergson – affabulatrice. Ma coloro che hanno, davvero, segnato una contraddizione sul piano del pensiero, e quindi dell’azione politica, e che ancora oggi significano qualcosa, sono nella maggior parte dei casi gli animi tenui e razionali. Sono i pensatori che non hanno brandito la spada, ma hanno evidenziato una certa indifferenza nei confronti della religione, nella sua accezione spirituale, sgretolandone così le fondamenta a colpi di ragione, ponendosi costruttivamente come alternativa valida alla religione. Ciò che dà sostanza, in quanto contenuto storico, al pensiero ateo, non sono le teste tagliate in nome della Dea Ragione, e non sono nemmeno coloro i quali hanno pensato che solo la costruzione di una civiltà senza religione potesse davvero condurre alla felicità gli uomini.

Con questo non si cerca qui di sostenere la necessità delle religioni, ma si stanno facendo i conti con ciò che l’umanità non ha mai abbandonato, e che quindi non può essere negatoin toto o peggio ancora distrutto a colpi di martello (per ricordare una metafora nietzschiana). Senza questa riflessione l’ateismo contemporaneo si porta sullo stesso piano della peggiore religione, alimentando «la fantasia che la vita umana possa essere rinnovata attraverso un’esperienza di conversione: in questo caso, la conversione alla non credenza», come giustamente sostiene Gray. L’idea di una società senza religione, a tutti i costi, è definita dai neoatei come l’unico esito possibile e benefico per la specie umana ((Cfr. E. Lecaldano, Senza Dio, cit., pp. 99 e sgg.)), dimenticando così che la contrapposizione netta e dogmatica non fa che generare violenza e incomprensione. E, come dei nuovi integralismi, né della violenza, né dell’incomprensione sentiamo onestamente il bisogno.

 

Laureato in filosofia, lavora nel mondo della comunicazione e dell'organizzazione culturale. Coordinatore della redazione di questa rivista, ha pubblicato il saggio filosofico "Bergson oltre Bergson" (ETS, Pisa, 2018) e "La spedizione italiana al K2" (Res Gestae, Milano, 2024)

3 Comments

  1. I movimenti neoateistici e gli atei in genere non dovrebbero mai dimenticare la preziosa lezione di Feuerbach. Gli uomini riusciranno ad emanciparsi dalle divinità, e dalle religioni, solo allorquando avranno posto in primo piano, come una sorta di imperativo categorico, il proprio Universale di Genere. Cioè a dire, quando avranno riconosciuto la piena Umanità in ogni singolo Uomo ed avranno imparato ad agire di conseguenza. In tal senso, a parte il grande balzo in avanti (piu’ formale che sostanziale) della Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, poche sono state le conquiste. L’ Uomo, nonostante le religioni, o forse, proprio per la loro permanenza, nonostante le innumerevoli elaborazioni filosofiche, in men che te l’aspetti riesce sempre ad essere l’ oppressore, l’aguzzino, l’assassino, lo sfruttatore del proprio simile. Pertanto liberarsi degli idoli va bene ma contemporaneamente bisogna che cresca e sia testimoniata la fede nell’Uomo stesso.

  2. Avremmo bisogno di una nuova, anzi diversa idea di DIO, meno legata
    alla tradizione giudaico-cristiana.
    Un’idea non monoteistica su cui fondare le nostre idee e far crescere i
    nostri valori religiosi e spirituali.
    Già da tempo si stanno recuperando idee legate allo stoicismo antico
    e medio, sarebbe però utile anche uno sguardo a universi religiosi
    molto diversi dal nostro, come il buddismo o l’induismo non tanto per
    un confronto interreligioso comunque sempre utile ma per mettere
    in discussione e rinnovare il nostro modo di pensare.

  3. La critica al tentativo di sostituire le religioni con la scienza e’ giusta ma nondimeno le religioni positive, divisive e farisaiche, dovranno finire per lasciare posto ad una nuova ma Antica religiosita’. Quella che vede la sostituzione del Dio-Creatore, il Dio sbagliato di Nietzsche, con il Divino maschio-femmina o Yin-Yang -in cui- l’uomo è.
    Passaggio doloroso che vedrà un multiforme nichilismo in cui si inserisce anche il citato neoateismo, ma strada segnata ed obbligata.
    Strada dolorosissima dalla quale usciremo prima se la vedremo e mostreremo.

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