L’insegnamento della filosofia, nei licei italiani, è strutturata su una particolare disciplina della filosofia, ovvero la Storia della filosofia.
Ogni professore di liceo ha l’obbligo di strutturare un percorso formativo, in tre anni, che porti lo studente a toccare, in modo cronologico, le maggiori tappe della storia della filosofia. Dai presocratici al Novecento (se ci si riesce, fra interrogazioni, compiti, recuperi, assemblee, malattie vere o presunte, etc…).
Questo ripercorrere cronologico della storia della filosofia è, immaginiamo, una linea retta, dove i processi storico-culturali modificano l’atteggiamento filosofico dei vari protagonisti dei testi scolastici; e dove perciò ritroviamo lo svolgersi irrequieto di uno spirito filosofico, che — come dice in un recente articolo sul blog Le parole e le cose, Mauro Piras — deriva chiaramente dall’impostazione filosofica hegeliana. In Italia, non dimentichiamolo, inoltre, la nozione secondo cui la storia ha un “senso” intrinseco, da svolgere (e perciò ce l’hanno anche tutte le storie minori, tipo quella della filosofia, dell’arte, del diritto etc…) è stata mediata e amplificata dall’hegeliano Giovanni Gentile, e dalla sua riforma scolastica.
L’insegnamento storico della filosofia, perciò, permette (in teoria) una visione complessiva, generalizzante e absoluta (sciolta) del pensiero filosofico. Ma nello studente provoca una incapacità argomentativa che, invece, dovrebbe essere una delle motivazioni cardine dell’insegnamento di una materia così complessa, come la filosofia, a scuola. Inoltre provoca – dato anche l’atteggiamento generale dello studente medio – lo smarrimento di nozioni fondamentali per la comprensione del pensiero filosofico, vista la spalmatura su tre anni dell’insegnamento.
Facciamo un esempio. Aristotele viene studiato, in media, nella seconda metà del primo anno in cui si studia filosofia. In quinto superiore, quando lo studente è più maturo, compie i fatidici 18 anni (ha quindi diritto di voto), e via di seguito, egli non ricorda minimamente le fondamentali nozioni etiche aristoteliche. Le Tre etiche aristoteliche sarebbero invece imprescindibili per la decisione pratica, per l’agire nel mondo, per il vivere civile. Tutto questo è brutalmente escluso dall’insegnamento storico della filosofia, per i motivi detti sopra.
Inoltre, continuando nell’esempio, senza un’adeguata conoscenza di Aristotele è impossibile capire Tommaso; è impossibile comprendere (se viene trattato) Averroé, Bruno…
Lo studio della storia della filosofia ha, insomma, molti difetti. Tali difetti non permettono allo studente di fruire in modo adeguato dell’apporto, vitale, che la filosofia dà. Con questo metodo d’insegnamento, infatti, si perde paradossalmente la connessione fra epoche, stili e culture; si perde la capacità argomentativa, ovvero la capacità di porre reti tematiche e concettuali fra i vari autori e le varie idee; si perde l’ausilio nella vita pratica della speculazione filosofica.
Se la filosofia, nei giovani liceali, non permette di sviluppare un senso critico nei confronti dei fenomeni, cioè se non aiuta a porsi domande, a non dare tutto per scontato, a che serve insegnare filosofia, nei licei?
Sarebbe, a mio avviso, già tanto se – alla fine del corso di studi – lo studente definisse la filosofia come l’esercizio, sistematico, della domanda, naturalmente volto alla soluzione razionale del quesito in questione.
Perciò: non potendo solo criticare il modello ora in atto, è bene formulare qualche ipotesi alternativa.
Non sono totalmente d’accordo con Piras, nell’articolo sopra citato, quando sostiene che:
“A scuola, sotto la voce generale “filosofia”, si dovrebbero insegnare le seguenti discipline: la logica (dividendola in modo corretto con la matematica); la filosofia della scienza e della conoscenza; l’ontologia e la metafisica; la filosofia della coscienza e della mente; la filosofia morale; la filosofia politica; la filosofia e teoria sociale; estetica; ecc.”.
Egli afferma, dunque, che sotto l’etichetta filosofia, esistono molte categorie filosofiche.
Questo a mio avviso porterebbe ad una nuova parcellizzazione dell’offerta filosofica, e lo studente si troverebbe di nuovo di fronte ad una nuova lista categorie filosofiche, che non lo aiuterebbero affatto.
Piuttosto sarebbe interessante costituire un percorso tematico, facendo riferimento a domande fondamentali dentro le quali il pensiero filosofico si interroga ancora, mescolandolo adeguatamente alla storia della filosofia, che non può essere totalmente abolita. Resta, infatti e comunque, fondamentale che lo studente sappia il perché si è iniziato a fare filosofia, nel VI-V secolo a.c. in Grecia, perché la domanda sul Principio è ancora inesaurita, perché è importante chiedersi le motivazioni che determinano la struttura dei fenomeni, eccetera.
Tutto ciò, in ultima analisi, prevede ovviamente l’abbandono, da parte degli insegnanti, dei tradizionali cliché filosofici che hanno reso parziale lo studio della filosofia, per tornare – in prima istanza – al senso greco e autentico della filosofia.
Da non addetto ai lavori, credo che si debba intervenire sull’impostazione storicistica con molta cautela, non per pregiudiziale favore nei suoi confronti, ma in base ad una valutazione realistica del sistema didattico oggi esistente, fondato sul postulato dell’istruzione universale e di massa. È certo legittima l’aspirazione ad un insegnamento che non sia un nozionistico impasto di sistemi filosofici allineati cronologicamente sulla base dell’idea di sviluppo lineare e progressivo del pensiero. Ma un cambio di sistema sarebbe sostanzialmente irrealistico, perché risulterebbe adeguato soltanto per un sistema scolastico elitario. In un sistema di tale tipo, l’esiguità del numero degli studenti che accedono all’insegnamento superiore (all’interno del quale comprendere anche la filosofia) permetterebbe di costituire un canale di comunicazione fra studente ed insegnante talmente robusto da consentire allo studente di agganciare il senso autentico della filosofia, appunto come esercizio sistematico della domanda.
Realisticamente parlando, dunque, il metodo antico dell’insegnamento della filosofia (e di qualunque altra disciplina) non si attaglia ad un sistema di istruzione di massa, per due ordini di ragioni.
La prima ragione riguarda l’impossibilità, a risorse date (numero di professori, ore d’insegnamento, strutture disponibili) e presumibilmente in via di ulteriore contrazione, di svolgere una pedagogia “testa a testa”. La questione è nota: già Feyman, nel 1963, osservava che «non c’è soluzione al problema dell’istruzione, oltre a rendersi conto che l’insegnamento migliore è quello che si realizza nel rapporto diretto tra lo studente e un buon insegnante: la situazione in cui lo studente discute le idee, riflette sulle cose, e ne parla. Non si impara molto stando seduti in un’aula, e neppure facendo i compiti assegnati, ma di questi tempi dobbiamo istruire una tal massa di gente che è necessario trovare un’alternativa all’ideale» [1] .
La seconda ragione è di natura organizzativa e riguarda la necessità di dare un minimo di omogeneità all’offerta formativa. Cosicché il primo effetto nefasto di un abbandono dell’insegnamento storicizzato, con l’attuale sistema d’istruzione, sarebbe quello di produrre orde di funzionari ministeriali impegnati a compilare infinite circolari con le quali impartire istruzioni a insegnanti sfiniti sulle metodologie per “imporre” a migliaia di studenti “l’esercizio sistematico della domanda”.
Probabilmente, allora, quella di Gentile è stata “un’alternativa all’ideale” (per usare le parole di Feynman e senza riferimenti al pensiero di Gentile) tutto sommato passabile per un sistema di istruzione di massa, consentendo al più alto numero di studenti di accedere ai concetti base della filosofia, lasciando poi alla singola sensibilità di insegnante e studente l’onore e l’onere di approfondire concetti e tematiche. Nella consapevolezza che «la forza dell’educazione raramente è molto efficace, eccetto in coloro che sono nati con felici disposizioni e ai quali è quasi superflua» [2].
[1] Feynman, Six easy pieces, 1963 – trad. italiana: Sei pezzi facili, Adelphi, 2000, p. 16.
[2] Gibbon, The History of the Decline ad Fall of the Roman Empire, 1776-1789 – trad. italiana: Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, Einaudi, 1987, I, p. 83.
A mio avviso il problema sollevato da Saverio in questo articolo è più che mai calzante. In qualità di ex liceale (seppure di un liceo scientifico) e soprattutto in qualità di ex tirocinante al fianco di un professore di filosofia (del medesimo liceo presso il quale mi sono diplomato), ho avuto più volte modo di cogliere, non dico tanto l’inadeguatezza, quanto la scarsa capacità di coinvolgimento nei confronti degli studenti che caratterizza tale metodo. In linea con l’osservazione dell’autore infatti, il senso teleologico infuso all’interno della storia filosofia da Gentile sulla scorta della tradizione hegeliana, fa apparire l’emergere delle varie riflessioni filosofiche come un incessante susseguirsi necessario di sistemi di pensiero, in cui ognuno si presenta come superamento delle aporie del precedente salvo poi venire a sua volta superato dal seguente, in una catena all’interno della quale ogni singolo anello, una volta oltrepassato assume sempre più le sembianze di un rudere. Questo approccio storicistico – non privo di influenze positivistiche e di una metodologia non lontana da quella scientifica – difficilmente riesce a portare alla luce il dibattito, giacché ai più apparirà sempre che l’ultima manifestazione del pensiero (o dello Spirito, per rimanere in tema)sia inevitabilmente la più convincente e più completa in quanto risultato della somma di tutte le altre; che spazio può lasciare un simile approccio al concetto messo in luce da Saverio di : “la filosofia come l’esercizio, sistematico, della domanda, naturalmente volto alla soluzione razionale del quesito in questione”?
Se l’obiettivo che si propongono i licei è quello di formare menti brillanti, di sicuro la loro offerta formativa non può prescindere dalla filosofia, ma non dalla filosofia come calderone di nozioni (spesso presentate a mo’ di minestra della sera), bensì della filosofia come approccio filosofico alla vita, come esercizio del pensiero critico, quindi, traducendolo in termini pratici, come percorso di riflessione sulle questioni di fondo. Un percorso di certo molto intricato, ma non impossibile, anche grazie al contributo che di volta in volta i grandi pensatori che ci hanno preceduto possono fornirci, affinché il loro contributo possa diventare materiale di riflessione; il tutto finalizzato al solo scopo di educare al pensiero.