Rovesciare lo schema: Processo e realtà di Alfred N. Whitehead (II)

Audacia e umiltà sono le due caratteristiche che deve possedere lo spirito filosofico affinché possa cogliere ciò che si nasconde nel grembo della natura. La filosofia, dunque, come abbiamo già detto, è scoperta e ricerca continua, inevitabile processo che deve confrontarsi con la logica e i fatti, che non può e deve sfociare in una esposizione personale e individuale. La filosofia, scrive Whitehead, è «l’auto-correzione ad opera della coscienza del suo iniziale eccesso di soggettività» (Whitehead 2019, 177). La filosofia, allora, non è specialistica e nemmeno settoriale: è il più ampio dei discorsi sopra la natura; la filosofia è tale nel momento in cui è – in definitiva – metafisica. Ma per entrare in questa esposizione metafisica del reale, nel senso più completo del termine, ovvero che oltrepassi il fisico ricomprendendolo in una logica organicistica, è necessario definire alcune «nozioni primarie che costituiscono la filosofia dell’organismo» (Whitehead 2019, 187) e sulle quali, quindi, si fonda Processo e realtà.

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Ai limiti dello psichico

Abbozzare uno scorcio sulla teoria psicoanalitica freudiana, in particolare sui concetti di nevrosi e psicosi, alla luce dello sguardo filosofico di Georges Canguilhem e mediante le acute riflessioni dello psicoanalista André Green, è lo scopo di questo saggio. Infatti, una psicopatologia che tenga conto della riflessione canguilhemiana sulla normatività – intesa come “razionalità qualitativa”, e non come normatività normante del sapere-potere da cui mette in guardia Michel Foucault – spianerebbe la strada verso una concezione di salute in grado di evidenziare nuove vie di comprensione delle patologie psichiche contemporanee e dei cosiddetti stati-limite.

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Aspettando il tramonto della libertà

La questione della libertà umana costituisce uno degli argomenti più problematici della riflessione filosofica. Il pensiero di Emanuele Severino, che proprio rispetto a tale questione ha scritto molto sia in Studi di filosofia della prassi  che in Destino della necessità, ha offerto un prezioso contributo alla concettualizzazione stessa della libertà e alla comprensione di quale ruolo essa possa occupare nella sua ontologia. Continue Reading

Rovesciare lo schema: Processo e realtà di Alfred N. Whitehead (I)

Con questo articolo intendo avviare una serie di contributi che ci porteranno ad esplorare, in maniera quanto più possibile analitica e tuttavia fruibile, l’opus magnum di uno dei maggiori filosofi del Novecento occidentale: Processo e realtà di Alfred North Whitehead. Quest’opera, infatti, rappresenta il maggiore contributo filosofico del pensatore inglese che nelle sue oltre cinquecento pagine condensa e rimodella tutto quanto avesse in precedenza scritto. In Processo e realtà emerge senza dubbio l’anima metafisica di Whitehead, ma traspare evidentemente anche il suo retroterra matematico e scientifico. Prima però di inoltrarci nei temi dell’opera è bene conoscerne un po’ la genesi, la struttura e – credo – sia opportuno indicare la postura con la quale leggeremo Processo e realtà e quindi il ruolo che Whitehead immagino debba ricoprire all’interno di un discorso storico-filosofico completo. Continue Reading

Giordano Bruno, un pilota nell’universo infinito

Contro i sogni della scienza e della tecnica che oggi guidano le vite degli uomini, la filosofia non manca di ricordare che la conoscenza della natura e di ogni singolo fenomeno è legata in maniera imprescindibile alla conoscenza del tutto. Giordano Bruno è uno di quei pensatori che lo ha affermato nel modo più perentorio in quel luogo teoretico che concerne il rapporto tra l’uno e i molti, tra il particolare e l’universale. Tentare di ricostruire in poche righe la sua dottrina dell’individuo, e di quel particolarissimo individuo che è l’individuo umano, non è compito agevole: troppe le rielaborazioni simboliche, ontologiche, fisiche e metafisiche che si ritrovano nella sua filosofia, così come i rimandi polemici nei confronti di Aristotele, le cui dottrine Bruno padroneggia per denunciarne puntualmente limiti e aporie. Senza contare infine un metodo che, se spariglia e fa uso in maniera a volte spregiudicata di varie correnti filosofiche, ermetiche e religiose, è sempre finalizzato alla ricerca della verità. Nonostante questa congerie di elementi critici ci siamo tuttavia cimentati nel compito non solo per indicare alcuni tratti di un pensiero che rimane fecondo e denso di spunti ma anche per rendere il nostro dovuto omaggio al filosofo di cui abbiamo ricordato l’anniversario della morte avvenuta il 17 febbraio del 1600 a Campo de’ Fiori in Roma.

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Leggere Wittgenstein

Quando si affronta un nuovo sistema filosofico, ci si trova sempre in una certa situazione di imbarazzo. Si vorrebbe avere una visione d’insieme, una sorta di sguardo dall’alto grazie al quale contemplare il paesaggio che attende chi dovrà attraversarlo. Il filosofo sa che deve fare la traversata da solo e per di più in una landa ignota: almeno avere un’idea della vastità del territorio sarebbe d’aiuto. Una buona regola sarebbe quella di studiare come se si dovesse affrontare un fortino inespugnato: attaccandolo cioè dal lato debole, o almeno quello che appare tale e che sembra essere compreso più facilmente. Per Ortega y Gasset lo studio dei grandi problemi filosofici richiede una tattica simile a quella che gli Ebrei adottarono per prendere Gerico: «non per attacco diretto ma girandovi intorno lentamente, affrontando la curva ogni volta più strettamente e mantenendo vivo nell’aria il suono delle drammatiche trombe»

L’importanza di questa strategia (ma allo stesso tempo l’imbarazzo)  si accresce quando si deve affrontare lo studio di un filosofo come Wittgenstein. Da dove partire? Dove attaccare il discorso senza che questo si dimostri essere una strada interrotta? Lo stesso Wittgenstein diceva che «Il linguaggio ha pronte per tutti le stesse trappole: la straordinaria rete di strade ben tenute praticabili (tanto che) sarebbe buona norma mettere dei cartelli là dove si diramano le false strade, che aiutino a passare sui punti pericolosi».  Se anche non si riuscisse a fare ciò, almeno affrontare lo studio in modo che la lettura delle sue proposizioni porti a pensare i problemi da lui pensati. All’inizio del Tractatus egli scrive che il libro può essere compreso solo da chi abbia già pensato i pensieri in esso contenuti. Crudo ma essenziale. Wittgenstein amava dire che l’unica cosa buona che aveva era che a scuola leggeva favole ai bambini. Ho avuto la stessa esperienza: dopo averne raccontata una, alla domanda su quale fosse il significato della favola, i bambini hanno risposto: «il signor Maurizio!»: non poteva capitarmi cosa migliore per capire la tesi del linguaggio come gioco. Continue Reading

“Come un serpente muta la pelle”. Il metabolismo mythos-logos tra Derrida e Panikkar

Mythos e logos: oltre l’opposizione
In un comune presupposto mythos e logos sembrano essere nettamente distinti, due termini quasi agli antipodi. Per quanto entrambi appartengano al campo semantico del discorso e di un certo modo retorico, vengono tendenzialmente definiti come due termini opposti: il mythos sarebbe un racconto favolistico, leggendario-religioso, racchiuso in un gruppo di appartenenza che ne fa la propria vicenda fondatrice; d’altra parte, il logos sarebbe il discorso razionale per eccellenza, ciò che distingue il vero dal falso e che è in grado – elevato a mezzo filosofico – di puntare all’universale, indipendentemente dai tribalismi. Sembra che la filosofia e le scienze positive inizino nel momento in cui si distaccano dal mythos, germogliando nel differenziale aperto da questa forma narrativa che non concede alcuna conoscenza certa sul mondo che ci circonda. Continue Reading

L’a priori e la sua espressione in Mikel Dufrenne

Mikel Dufrenne (1910-1995) è stato un importante fenomenologo francese. In questo articolo mi vorrei concentrare sul concetto di ‘espressione’ nella sua prosa. Per “espressione” intendo il processo comunicativo mediante cui il soggetto conosce, forma e comunica i suoi vissuti o stati d’animo ad altri soggetti in grado di comprenderli. Come cercherò di chiarire, per Dufrenne è necessario che il soggetto si esprima, ovvero che esso si comunichi esteriormente e renda le sue condotte leggibili ad altri, al fine di avere contezza dei suoi stessi sentimenti e del loro valore immediatamente condiviso. È negli altri che il soggetto trova le proprie conferme o smentite; è dal confronto con gli altri che è in grado di riconoscersi ed edificare il senso dell’identità personale. È nell’esteriorità delle sue manifestazioni che il soggetto dimostra di avere un’interiorità, una profondità che trapela in superficie. Continue Reading

Amor vitae. L’organicismo estetico di Adriano Tilgher

Cenni di un’indebita rimozione
Che rapporto intercorre fra l’arte e la vita? Questo è l’interrogativo che attraversa tutta l’Estetica di Adriano Tilgher e che, al tempo stesso, rivela un pregnante quanto obliato confronto filosofico con Benedetto Croce. Di quest’ultimo si conserva memoria; di Tilgher invece si sono perse le tracce – lo dimostra l’anno dell’ultima riedizione della sua Estetica. Teoria generale dell’attività artistica – Studi critici sulla estetica contemporanea: 1944 (la prima edizione è del 1931). Eppure, il suo pensiero non sfigura per profondità e densità concettuale di fronte al suo più noto contemporaneo. L’opinione che Croce riservava nei confronti del giovane Tilgher è testimoniata da una lettera del 24 Marzo 1908, indirizzata a Gentile, in cui lo apostrofava come «un giovane che credo potrà fare assai bene in filosofia, perché ha già una coltura estesissima dei classici e mostra molta serietà di mente» (Croce 1981, 288). Ciò avveniva ventitré anni prima della pubblicazione della sua opera, in cui il distacco intellettuale dal maestro è più che tangibile. La stima è stata per lungo tempo reciproca, come si evince dal loro carteggio (Croce-Tilgher 2004), che sarà interrotto a causa di qualche contrasto nel 1911 e ripristinato nel 1921 grazie all’individuazione di un nemico comune – Giovanni Gentile, contro il quale Tilgher si mostrerà particolarmente critico (cfr. Tilgher 1925 e Tilgher 1938) – per poi interrompersi definitivamente poco tempo dopo a causa di distanze intellettuali incolmabili.

La sua Estetica rappresenta dunque anche un commiato filosofico al suo maestro; l’epilogo di un articolato e tormentato rapporto intellettuale.

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La Storia pensata dalla linea di lotta

Come per Heidegger, anche per Hannah Arendt l’indagine sulla storia è centrale per stabilire il destino dell’uomo. Per entrambi è necessario un “salto”. In che modo? Arendt, a differenza di Heidegger, ha il pregio di ripercorrere in modo puntuale i percorsi filosofici tramite i quali si è arrivati alla condizione odierna mostrando, riferendosi alla parabola di Egli tratta da un racconto di Kafka, come quel salto sia reso difficile dal fatto che l’uomo è stretto tra due forze antagoniste, quella del passato e quella del futuro, in cui rischia di soccombere. La prospettiva è quella già profetizzata da Tocqueville: «Siccome il passato ha smesso di gettare luce sul futuro, la mente dell’uomo vaga nell’oscurità».
Nonostante ciò, Arendt non cessa di fare affidamento sul pensiero, unica risorsa dell’uomo contro la catastrofe. In Tra passato e futuro pubblicato nel 1961, la scrittrice (come usava definirsi) si esercita in otto saggi il cui unico obiettivo è quello di acquisire esperienza su come pensare. Tra di essi spicca Sul concetto della storia il quale riunisce molteplici spunti, a volte di difficile lettura, a volte tortuosi e tali da apparire fuorvianti ma il cui filo non è difficile rintracciare. Continue Reading

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