Metti una sera un massone a cena: il pathos calmo di Lessing

Nei tempi bui della storia, quando persino un saggio ritiro dal mondo sembra precluso, giunge il momento di riprendere in mano i testi dell’Illuminismo. Non tanto di quello francese così irriverente, né di quello inglese piuttosto ingenuo; ma del colto Illuminismo tedesco. Torniamo a Lessing, noto autore del Nathan il saggio e della Educazione del genere umano. Rileggiamone gli illuminati Discorsi per massoni: un dialogo platonico tra il buon giovane Ernst e il vecchio massone Falk. Un dramma in cinque atti sullo Stato, sul vivere civile e sul ruolo delle élite del pensiero. Dove si mostra che il compito del filosofo non è fare la rivoluzione, ma saper ridestare gli affievoliti lumi della città.

 

Una comunità del pensiero

I Discorsi per massoni vengono pubblicati anonimi in due tempi tra il 1778 e il 1780. L’autore, divenuto presto noto nelle cerchie letterarie dell’epoca, è Gotthold Ephraim Lessing: un inquieto bibliotecario in servizio presso la celebre Biblioteca Ducale di Wolfenbüttel, drammaturgo di fama, l’illuminista tedesco più importante dopo Gottfried Wilhelm Leibniz e Immanuel Kant. Lessing era stato ammesso in una influente loggia di Amburgo appena sette anni prima e, quando scrive i suoi Discorsi, conosce bene rituali, gerarchie e potere delle logge massoniche. Ma il fine dei suoi dialoghi non è quello di svelare i segreti della massoneria illuminata, ma di mostrarne la vera essenza. Per gli animi facilmente eccitabili dirò subito che non si tratta di un libro massonico: non ci sono teorie cospiratorie cosmiche né rivelazioni di segreti alchemici o mistici. Si tratta invece di un buon vecchio dialogo in stile platonico, tra un giovane di nome Ernst e un vecchio massone eretico di nome Falk.

Si è soliti far risalire l’origine della massoneria al 1598 e agli statuti della prima loggia costituitasi in Scozia. Nel Seicento le logge massoniche si diffondono nel resto dell’Inghilterra e da lì in Francia. In Germania, Austria e Italia le prime confraternite massoniche si formano agli inizi del Settecento. Il secolo dei Lumi segna l’apogeo della diffusione in tutta Europa di una massoneria illuminata, laica e spina del fianco del potere assoluto. La massoneria nostrana, patriottica e radicalmente anticlericale, avrà un ruolo politico rilevante dalla costituzione dello Stato unitario fino agli albori del Novecento. Si conosce l’importante contributo della massoneria d’oltreoceano alla stesura della Dichiarazione di Indipendenza americana pronunciata a Filadelfia il 4 luglio del 1776. Quel testo, come pure il pensiero di uno dei suoi estensori, Benjamin Franklin, era divenuto presto notissimo anche nel Vecchio Continente e non era sfuggito a Lessing, che appena due anni dopo pubblica i Discorsi per massoni.

Ma né la massoneria storica né la storia della massoneria interessano davvero all’illuminista tedesco. Lessing dichiara infatti di voler mostrare la «vera ontologia» della massoneria, che questa è «sempre esistita», che è nata con la società civile e che, anzi, la società civile è un suo «germoglio». Che tale massoneria abbia poco a che vedere con la massoneria storicamente data appare evidente dal colloquio stesso tra Ernst e Falk. Il giovane Ernst, eccitato dalle parole del massone eretico, era entrato in una loggia e ne era presto uscito disilluso e disgustato, avendo trovato nient’altro da una consorteria di potere, gerarchica e classista. Perciò il vecchio massone non aveva voluto indurlo a compiere tale passo: «non solo inutile, ma anche dannoso» è per un uomo onesto entrare in codesti comitati d’affari. La loggia è tanto lontana dalla massoneria, quanto la prima è vicina al potere e la seconda ne è invece la spina nel fianco. E chiosa Falk: «una loggia si rapporta alla massoneria come la chiesa alla fede».

C’è dunque per Lessing una massoneria eterna, che è sorta assieme al vivere civile e nella quale si può essere ammessi senza venire iniziati da alcun Gran Maestro. Lo stesso Falk se ne ritiene un membro, non a caso si dichiara un massone eretico. Gli appartenenti a questa plurisecolare massoneria vi sono entrati mediante una antica riflessione sull’uomo, una profonda conoscenza della società e la chiara consapevolezza dei mali che affliggono anche il migliore degli Stati mai realizzati al mondo. Questa massoneria che supera epoche e confini, sottolinea Falk, «non è nulla di arbitrario e nulla di superfluo: è anzi qualcosa di necessario che è radicato nell’essenza dell’uomo e della società civile». In breve: Lessing mette in bocca a Falk una descrizione, indubbiamente sibillina, di una comunità del pensiero, che affonda le sue radici nell’antichità e che accoglie tra i suoi iniziati chi ha meditato sulla natura dell’uomo e sulla migliore costituzione politica possibile: i filosofi d’ogni epoca e provenienza.

L’utopia della città cosmopolita

Ma quale indicibile conoscenza sull’uomo e sul vivere associato denota un vero filosofo massone? Con un incalzante domandare socratico Falk conduce il suo giovane interlocutore alla comprensione del segreto della vera massoneria. Alla domanda «Credi che gli uomini vennero creati per gli Stati o gli Stati per gli uomini»? Ernst risponde di propendere per la seconda ipotesi: che gli Stati debbano essere mezzi per la felicità umana. Ebbene, incalza Falk: se le costituzioni sono mezzi di invenzione umana, «dovrebbero forse essere sottratte al loro destino di mezzi fallibili»? Alla incertezza di Ernst, Falk lo esorta a tener conto che persino dalla migliore costituzione mai inventata «debbano scaturire conseguenze estremamente dannose per la felicità umana». E, dopo una breve dimostrazione di Falk, è Ernst stesso a esplicitare il motivo dell’ineluttabile fallimento della politica: «Gli uomini si possono unire solo mediante separazione! Solo mediante un’incessante separazione si possono tenere uniti»!

Il buon Ernst tuttavia solleva una obiezione al ragionamento del vecchio massone: vuole forse Falk fargli odiare il vivere civile al punto da preferirgli uno stato di natura? La replica di Falk non tarda: «se la società civile avesse di buono anche solo il fatto che soltanto in essa possa costituirsi la ragione umana, io continuerei a benedirla anche se i suoi mali fossero molto maggiori». Con un argomento di matrice indubbiamente socratica, il vecchio massone ricorda a Ernst che solo nel vivere associato può affermarsi la morale umana e vigere la legge di ragione; al di fuori della città vige solo la legge del più forte e la violenza è sua norma. Perciò quei mezzi così fallibili e così necessari per la società non vanno annientati col rischio di annientare con essi anche l’unico vivere civile possibile all’uomo. Falk esorta Ernst a chiedersi invece se questi mezzi, se queste separazioni necessarie per tenere uniti gli uomini debbano per ciò stesso essere considerate buone o sacre e non piuttosto dei mali mitigabili.

Quali siano in concreto i mali inevitabili che affliggerebbero qualsiasi Stato dato è chiarito da un serrato ragionamento geopolitico di matrice platonica riproposto con estrema abilità dal vecchio Falk che restituiamo nella sua triplice deduzione. Si immagini uno Stato universale in cui vivano tutti gli uomini; per poter gestire uno Stato di tali dimensioni si dovrà suddividerlo in Stati più piccoli, ognuno dei quali perseguirà un suo interesse peculiare, che porrà i membri di uno Stato gli uni contro gli altri. Ogni Stato inoltre avrà un clima, dei bisogni e dei costumi determinati dalla posizione geografica che comporteranno delle abitudini, delle cerimonie e delle religioni diverse tra una popolazione e l’altra. All’interno di ogni Stato infine si formeranno delle gerarchie sociali, conseguenza della capacità di ogni appartenente al corpo civile di partecipare alla vita politica e di far fruttare le proprietà possedute. Sono dunque le condizioni materiali, geografiche e amministrative a determinare quelle divisioni.

Merita a questo punto di essere riportato per intero uno dei brani più illuminanti e memorabili dell’intero scritto: il passo in cui il vecchio Falk auspica l’avvento di una élite saggia e cosmopolita: «È da auspicare davvero molto che in ogni Stato ci siano uomini liberi dai pregiudizi nazionalistici e che sappiano esattamente quando il patriottismo cessa di essere una virtù. È da auspicare davvero molto che in ogni Stato ci siano uomini che non soggiacciano al pregiudizio della loro religione innata; che non credano che debba essere necessariamente buono e vero ciò che essi riconoscono come buono e vero. È da auspicare davvero molto che in ogni Stato ci siano uomini che non siano accecati dai ceti borghesi elevati e disgustati da quelli inferiori, e alla cui compagnia i ceti superiori si abbassino volentieri e quelli inferiori si elevino senza esitazione». Si tratta di un auspicio con cui Falk indica a Ernst il triplice tacito scopo di ogni azione compiuta da un vero filosofo che sia massone.

Il lampionaio della città

Ma quali sono le vere azioni dei massoni, in cosa consistono concretamente e come si riconoscono? Il giovane Ernst prova a individuare come opera della massoneria illuminata una serie di buone azioni sociali compiute da noti filantropi dell’epoca. Ma il vecchio Falk lo sorprende con un indovinello: «Le vere azioni dei massoni sono talmente grandi, talmente appariscenti che dovranno passare secoli interi prima che si possa dire: hanno fatto questo! Parimenti essi hanno fatto tutto il bene che ancora c’è nel mondo – bada bene: nel mondo! E continuano a lavorare a tutto il bene che ancora ci sarà nel mondo – bada bene, nel mondo». E alla reazione meravigliata del buon Ernst aggiunge: «Le vere azioni dei massoni mirano a rendere superflua la maggior parte di quelle che comunemente si ha cura di chiamare buone azioni». L’enigma non viene sciolto subito, ma dopo un lungo discorso sui mali inevitabili dello Stato, che dividono gli uomini per tenerli uniti, come ben sanno i filosofi massoni.

Ma alla fine della sua lunga dimostrazione teologico-politica dell’inevitabile imperfezione di qualsiasi costituzione politica il vecchio massone eretico non fa mancare un prezioso indizio: «E se fossero i massoni coloro che, tra i loro compiti, avessero quello di ricondurre quanto più possibile ad unità quelle divisioni per mezzo delle quali gli uomini diventano così estranei l’un l’altro?». Il buon Ernst comincia a capire il senso del discorso massonico e replica a Falk: «Mi figuro i massoni come gente che si è volontariamente assunta l’onere di opporsi ai mali inevitabili dello Stato». Ma questi lo corregge immediatamente: «Opporsi! La parola dice un po’ troppo. Forse per eliminarli del tutto? Questo non può essere. Con loro infatti si annienterebbe lo Stato stesso». E aggiusta il tiro chiarendo con una metafora più appropriata: «Al massimo, opporsi qui può voler dire preparare alla lontana questo sentore nell’uomo, favorirne il germogliare, trapiantarne, curarne e sfoltirne le pianticelle».

Fuor di metafora, si potrebbe dire che i veri massoni, ovvero i filosofi di ogni epoca e provenienza, siano coloro che preparano il terreno perché vi sia una società aperta al miglioramento, perché i mali inevitabili delle costituzioni politiche siano mitigati dalla ragione e perché i miti fondativi, le religioni o le ideologie che tengono uniti i membri di uno Stato siano considerati sacri finché non nuocciano. L’élite del pensiero che Lessing lascia descrivere obliquamente al suo massone eretico è una comunità di intellettuali di tutti i tempi che, sin dal tempo di Socrate, ha inteso migliorare la propria società mediante l’educazione filosofica del genere umano, consapevole del fatto che compito del filosofo non è quello di compiere rivoluzioni sociali violente, ma cambiare tacitamente la morale della città. Come un buon vecchio sapiente lampionaio, il filosofo massone di Lessing si prende cura dei lumi della città, accendendoli al tramonto o ridestandone la fiamma affievolita nei tempi bui della storia.

A concludere questa nostra disamina dei Discorsi per massoni lessinghiani si riporta l’esortazione lungimirante del vecchio Falk al buon Ernst: «Stai tranquillo, il massone attende calmo il sorgere del sole e lascia ardere i lumi finché vogliono e possono. Non è affare del massone spegnere i lumi e, appena siano spenti, accorgersi immediatamente che si devono riaccendere i mozziconi o forse persino applicare nuovamente altri lumi». Questa volta il giovane Ernst sembra capire perfettamente il senso delle parole del massone eretico e il suo monito antiutopico e certamente antirivoluzionario e chiosa pensoso, ma davvero persuaso: «Ciò che costa sangue certamente non è degno di sangue». Con questo motto, che Lessing sembra aver ripreso da una frase realmente pronunciata dall’allora celebre massone d’oltreoceano, l’americano Benjamin Franklin, si chiude sostanzialmente le serie dei cinque discorsi per massoni filosofi messi in scena dal più illuminato pensatore del secolo dei Lumi.

 

Riferimenti bibliografici
E. Lessing, Ernst e Falk. Dialoghi per massoni, tradotto in italiano nella edizione delle Opere filosofiche curata da Guido Ghia, Utet, Torino 2008.

Eleonora Travanti si è laureata in Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Macerata, discutendo una tesi dal titolo "Gli scritti teologici dell’ultimo Lessing (1773-1778)", relatore Prof. Omero Proietti, correlatore Prof. Filippo Mignini. Ha frequentato per due semestri la Freie Universität di Berlino. È stata borsista della Dr. Günther Findel-Stiftung presso la Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel, dove ha condotto ricerche sull’attività bibliotecaria, pubblicistica e filosofica di Lessing.

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