Soggettività e oggettività della percezione (III)

Nella speranza di avere chiarito la ragione per la quale assumiamo la percezione solo in quanto cosciente (affronteremo di nuovo il tema tra poco, quando parleremo del ciclo percettivo-inferenziale), torniamo all’obiezione legata al fatto che non sono soltanto gli uomini a rilevare presenze, giacché anche gli animali lo possono fare. Ebbene, anche ammettendo ciò, non si può non riconoscere che il tema del rilevamento continua comunque a riproporsi, nel senso che senza un rilevamento, magari compiuto da un animale, non si potrebbe cogliere l’esistenza di alcuna cosa.

Intendiamo dire che il rilevamento delle cose, ancorché non compiuto da uomini ma da animali, vale come la condizione della presenza delle cose stesse né il discorso cambierebbe se si dicesse che il rilevamento è frutto di dispositivi automatici: in tutti i casi, senza un rilevamento non si configurerebbe presenza alcuna. Naturalmente, nel caso degli animali e dei dispositivi automatici si riproporrebbe il problema se si possa parlare di “rilevamento” e di “presenza” in assenza della coscienza del loro significato (valore), ma qui questo aspetto non lo consideriamo.

Senza la presenza, dunque, non si può affermare l’esistenza della “cosa”, sempre che si tratti di una cosa che appartiene all’universo dell’esperienza percettivo-sensibile. Il discorso svolto ci porta alla seguente conclusione: l’esistenza di una cosa può venire definita come la sua presenza all’interno di un qualche sistema o campo di altre presenze.

Siamo così al punto: se si parla di esistenza delle cose, non si può evitare di ammettere che tale esistenza è vincolata ad un qualche sistema di rilevamento. L’esistenza, insomma, non è una realtà che possa venire considerata assoluta, proprio perché è vincolata, cioè perché dipende da ciò che la rileva.

Del resto, quelle che noi uomini chiamiamo “cose”, ossia quelle presenze che incontriamo nel corso della nostra esperienza, sono le “nostre” cose, cioè sono le cose che noi uomini percepiamo e rileviamo.

Affermare che sono le stesse cose percepite o rilevate dagli animali (dispositivi automatici o quant’altro) risulta, pertanto, privo di senso. Le “nostre” cose non possono essere le stesse percepite dagli animali, i quali sono dei “rilevatori di presenze” dotati di una struttura percettiva diversa dalla nostra. E il medesimo discorso vale per i dispositivi automatici, che sono tarati per rilevare solo determinate presenze.

Quando noi esseri umani parliamo di cose che esistono, pertanto, non possiamo non riferirci alle cose che noi rileviamo in virtù del nostro sistema di rilevamento, ossia dei nostri canali sensoriali.

Il sistema di rilevamento di noi uomini implica innanzi tutto uno specifico sistema di ricezione degli stimoli che provengono dall’ambiente. In secondo luogo, implica un altrettanto specifico sistema di elaborazione delle informazioni in essi contenute. In terzo luogo, implica l’inscrizione del prodotto della sintesi del processo ricettivo e del processo elaborativo in un contesto o sistema di riferimento che ha valore teorico e culturale.

Per questa ragione si parla di “elaborazione guidata dai dati” (bottom-up) e di “elaborazione guidata dai concetti” (top-down), che sono processi fra loro connessi e tali da produrre il cosiddetto “ciclo percettivo-inferenziale”. Ciò comporta che il “rilevato” (ciò che alla fine dell’articolo precedente abbiamo definito il “percetto”) è intrinsecamente vincolato al nostro modo di configurarlo e solo in riferimento a quest’ultimo è pensabile.

Non basta. Poiché ogni presenza ha forma determinata, essa si pone solo perché si rapporta ad altre presenze: una presenza “unica” non è pensabile, perché non potrebbe venire identificata come “quella” presenza, diversa da ogni altra. Ogni presenza, dunque, entra a far parte di un campo di presenze, parimenti rilevate da un determinato sistema di rilevamento, così che parlare di esistenza equivale a postulare un sistema di esistenti.

Al discorso fatto intendiamo rivolgere di nuovo la tipica obiezione realistica, per rendere più chiaro il nostro punto di vista. Si potrebbe sostenere che non ha senso dire che le cose esistono perché le rilevo, ma invece si deve dire che rilevo le cose perché esistono, a prescindere dal fatto che io le rilevi o meno. Questa obiezione, di primo acchito, potrebbe sembrare del tutto sensata: non a caso è quella del senso comune ed è volta ad affermare che il mondo esiste indipendentemente dal soggetto che lo rileva.

Se non che, non si può dimenticare qual è il punto da cui prende avvio tutto il discorso sull’esistenza delle cose. Il punto fondamentale è questo: le cose esistono perché io ne rilevo la presenza. Se non rilevassi tale presenza, non potrei neppure chiedermi se le cose che rilevo esistevano anche prima che le rilevassi, cioè se esistevano a prescindere dal mio averle rilevate. Il fatto di averle rilevate è, dunque, il fatto fondamentale, quello da cui traggono origine la domanda e ogni possibile risposta.

D’altra parte, però, se questo è vero, è altrettanto vero che, a sua volta, il rilevamento si fonda sul fatto che qualcosa deve pur essere, perché io ne possa rilevare la presenza. Se nulla fosse, insomma, nessuna presenza verrebbe rilevata. Ciò dimostra che l’esistenza delle cose non richiede soltanto il vincolo a un sistema che ne rilevi la presenza, ma richiede anche un vincolo che potremmo definire “oggettivo”.

L’esistenza sensibile, pertanto, richiede un duplice ordine di fattori che la giustifichino. Da un lato, richiede un sistema di rilevamento, che potremmo definire come il “fattore soggettivo”: anche se si tratta di un dispositivo automatico, infatti, la presenza, per essere riconosciuta come tale, implica comunque un soggetto che intenda il significato delle espressioni “presenza” e “esistenza”; dall’altro, richiede l’essere delle cose, che potremmo definire come il “fattore oggettivo” o, meglio, come il fondamento degli esistenti rilevati.

Non è sufficiente, pertanto, un sistema di rilevamento per configurare la presenza di una cosa. Si impone altresì che la cosa, di cui si rileva la presenza, sia, cioè poggi su un fondamento oggettivo, indipendente dal sistema soggettivo che la rileva.

Ciò con cui noi entriamo in rapporto, dunque, sono le cose che si presentano, ossia le cose che sono modellate dal nostro sistema di rilevamento e delle quali rileviamo l’esistenza allorché giungiamo ad esserne consapevoli.

Non di meno, se l’esistenza dipendesse solo dal fatto che noi la rileviamo, allora il soggetto varrebbe come l’unica condizione dell’esistenza del mondo. Ma così non è: parliamo di rilevamento dell’esistenza delle cose, e non di creazione delle cose stesse, perché ci rendiamo conto che il rilevamento non produce le cose.

Se il rilevamento producesse le cose, noi potremmo creare il mondo che più ci piace, ma purtroppo sappiamo bene che così non è. Il rilevamento, quindi, modella le cose e dà loro una forma.

Proprio con questa forma esse si presentano a noi e ci appaiono come esistenti. Tuttavia, la forma deve applicarsi a ciò che potremmo definire la “sostanza” delle cose medesime. Ebbene, la sostanza delle cose coincide precisamente con quel fondamento che deve venire richiesto come indipendente dal soggetto o, più in generale, da ogni sistema di rilevamento.

Nel dire che tale fondamento deve essere indipendente da ogni fattore soggettivo, stiamo sottolineando la necessità che valga come “oggettivo”, cioè come autonomo e autosufficiente. Si postula, insomma, che il fondamento sia e sia indipendentemente da ogni vincolo ad altro, a prescindere da ogni relazione. Se anche il fondamento fosse vincolato, cioè dipendesse dal soggetto, allora non soltanto non potremmo definirlo oggettivo, ma inoltre non potremmo pensarlo come se fosse senza la necessità di riferirsi ad altro per essere. Non potremmo pensarlo come sufficiente a sé stesso.

La concezione naturalistica assume le cose come realtà assolute, perché le considera autonome e autosufficienti, senza avvedersi che declinare l’assoluto al plurale non può non configurare una contraddizione.

La concezione metafisica, invece, richiede un fondamento delle cose che emerga oltre le cose stesse proprio per il valore assoluto che si richiede esso abbia.

 

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Foto di Jr Korpa su Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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