Averroismo, esegesi biblica ed «estatutos perpetuos». Il caso Uriel da Costa.

Uriel da Costa (Porto 1583 – Amsterdam 1640) è famoso a causa di un falso scritto autobiografico, l’Exemplar humanae vitae, del quale si sono occupati anche studiosi del calibro di Leo Strauss. Nel 1993 venne scoperto e pubblicato nel suo originale testo portoghese, l’Esame delle tradizioni farisee. Un testo che adesso Omero Proietti (il quale insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea all’Università di Macerata) pubblica in versione originale, traduce e introduce per le edizioni EUM. Con questa aggiornata e minuziosa edizione si intende certamente correggere una lunga serie di dati biografici di Da Costa, i quali però – necessariamente – fanno anche chiarezza sul percorso delle sue idee e dei suoi scritti.

Nel prezioso saggio introduttivo Proietti mostra come l’itinerario “marrano” di Da Costa, condotto nel 1614, non sia stato quello sulla direttrice “Porto – Amsterdam”, ma si indirizzò inizialmente verso Amburgo; da dove poi, nel luglio del 1623, Da Costa si spostò effettivamente verso la capitale olandese. Commerciante di zucchero, collegato commercialmente e non solo alla sua base portoghese-ispanica, Da Costa non è certamente l’autore dell’Exemplar, il quale viene definito da Proietti «uno spregevole scritto dal titolo classico-oraziano» ((p. 27.)), che «ad un’analisi fredda e disincantata si rivela un testo cristiano-antisemita, che si inserisce agevolmente nella tematica “proto-nazista” degli “ebrei come stato nello stato”. Esso aveva il fine – dichiarato testualmente per ben cinque volte – di togliere ogni giurisdizione penale alla comunità ebraico-portoghese di Amsterdam» ((Ibidem.)).

Uriel da Costa liberato dal fardello, posticcio, di questo scritto può finalmente essere letto senza alcun pregiudizio. Così, allora, è possibile analizzare il suo studio più rilevante, l’Esame delle tradizione farisee appunto. Il testo viene scritto da Uriel a partire dal 1623, in seguito ad una denuncia che un altro portoghese, residente ad Amburgo, tale Semuel Da Silva, aveva mosso contro Da Costa. Con questo testo Uriel pertanto «intende rispondere alle accuse e al “plagio” di Da Silva, che sono divenute un atto giuridico, pubblico e ufficiale, di condanna e di censura» ((p. 38.)). Ma soprattutto con l’Esame si esprime la necessità di sostenere alcune tesi “scandalose”, e «attraverso una serrata critica delle “adulterazioni farisee”, Da Costa è giunto alla conclusione che la Torah, il nucleo originale della tradizione ebraica, esclude ogni concetto di retribuzione ultraterrena, nega ogni dottrina dell’immortalità dell’anima» ((Ibidem.)). L’opera dunque si iscrive all’interno di una disputa non solo filosofica, ma anche di accusa vera e propria verso i farisei e le loro “adulterazioni”, e sottotraccia una mirata critica nei confronti della loro capacità politica di utilizzo del testo sacro.

La Scrittura diventa il terreno sul quale confrontarsi, e nella sua rilettura e vera interpretazione Da Costa intende mostrare la falsità di ciò che i farisei e i cristiani professano alle masse. Anticipando Spinoza (e si trova qui uno dei motivi di maggiore interesse di questo testo, ovvero nella possibilità di rintracciare una certa tradizione averroistica, legata ad una certa esegesi biblica, potremmo dire anche qui disincantata, di cui fa parte evidentemente anche l’autore dell’Etica), Da Costa descrive un mondo, o più propriamente un universo, infinito ed eterno, dove «la perfezione di Dio si esplica con estatutos perpetuos, decreti eterni e immutabili in cui le cose esistono “eternamente”» ((p. 40.)).

In un orizzonte di eternità, in un mondo che altro non è se non un’opera eterna di Dio, Da Costa espone la sua “condanna” ai farisei antichi – valida anche per quelli moderni – rifiutando e abbandonando ogni dottrina e testo cristiano. Fariseismo e cristianesimo sono infatti le «deviazioni messianiche dell’autentica Legge di Mosè» ((p. 49.)) secondo Da Costa. Il percorso di libertà fondato sulla luce naturale della ragione è ciò che Uriel invece propone come alternativa, precedendo così temi e tesi che di lì a pochi anni saranno professate a gran voce e condannate in tutta Europa con ancora maggiore violenza ((Non dimentichiamo comunque che già una ventina di anni prima, il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno, ricercato in tutta Europa, venne bruciato in Campo de’ Fiori a Roma, proprio perché empio e sostenitore di tesi affini a queste di Da Costa. E in Spagna, nel 1619, anche Giulio Cesare Vanini fu condotto alla medesima fine. Da Costa quindi appare pienamente dentro una possibile sacca di pensiero che si è opposta sia alla tradizione religiosa in quanto tale, ma soprattutto alla sua valenza e forza politica.)).

L’esegesi biblica di Da Costa approda a conclusioni completamente diverse rispetto a quelle che le religioni rivelate traggono dalla Scrittura, e – in opposizione a ciò che si dice nel falso Exemplare – «non è la “paura della morte”, né un qualsiasi tipo di epicureismo […] a condurre Da Costa alla scoperta dell’autentica “tradizione ebraica”. Senza che vi sia mai paura della morte o terapia scientifico-epicurea dei suoi terrori, l’idea della “creazione eterna” (che Spinoza tradurrà nel concetto di ordo naturae) guida tutto il percorso dacostiano, orienta la stessa “interpretazione averroistico-allegorica” dei testi sacri, spinge al conseguente ripudio di tutte le religione positive» ((pp. 41-42.)).

L’intreccio di motivi averroistici e serrata esegesi fanno di Da Costa uno dei personaggi centrali di una certa tradizione filosofica che si è decisamente opposta ad ogni rivelazione. Di questa tradizione Spinoza appare come il terminale più avanzato, ma l’olandese trova argomenti e una sponda filosofica nell’Esame, del quale egli, come mostra Proietti, era a conoscenza.

Poster_Convegno_Da_Costa

Il lavoro introduttivo di Proietti dà infine sostanza a questo nesso Da Costa-Spinoza, evidenziando non solo la continuità filosofica fra i due, ma ponendo in relazione passi del TTP e del TP spinoziani pienamente congruenti con alcuni dell’Exame. In una granitica negazione del miracolo, nell’affermazione di un ordine eterno della natura, sia l’Exame che i testi spinoziani, colpiscono al cuore le argomentazioni (fallaci) che tengono in piedi i monoteismi, e la loro “auto-legittimazione” politica.

Il parallelo con Spinoza ovviamente non si esaurisce nell’introduzione, ma prosegue lungo tutto il testo dacostiano, all’interno di uno spaventoso apparato di note il quale riesce ad aprire varchi in luoghi che, a primo impatto, sembrano gineprai inestricabili. In questa “maniacale” ricerca e nella sua estrema fruibilità sta certamente uno dei grandi meriti del lavoro di curatela. La rinnovata edizione portoghese e la relativa traduzione sono infatti corredate da oltre 700 note a piè pagina, con una serie di rimandi infra-testuali ed esterni che permettono al lettore di incamminarsi su moltissime strade di ricerca. Il lavoro di Proietti sull’Esame delle tradizioni farisee di Uriel da Costa ha infatti il pregio, e l’onere, di condurre verso innumerevoli vie di indagine. Ne è ulteriore testimonianza il convegno internazionale organizzato per il prossimo 29 e 30 settembre all’Università di Macerata, nel quale si cercherà di dare voce ai molteplici aspetti tematici sul piano storico, esegetico e strettamente filosofico, che l’Esame delle tradizioni farisee pone in questione.

 

Exame das tradiçoes phariseas
Esame delle tradizioni farisee (1624)
saggio introduttivo, testo critico, traduzione e commento a cura di Omero Proietti.
EUM, Macerata, 2015, pp. 723, €30.

 

 

Laureato in filosofia, lavora nel mondo della comunicazione e dell'organizzazione culturale. Coordinatore della redazione di questa rivista, ha pubblicato il saggio filosofico "Bergson oltre Bergson" (ETS, Pisa, 2018) e "La spedizione italiana al K2" (Res Gestae, Milano, 2024)

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