In questo articolo proverò ad analizzare in che modo la rappresentazione del male commesso da parte di un personaggio finzionale possa esercitare un influsso etico sullo spettatore di un film. L’approccio metodologico che intendo utilizzare è dunque quello dell’etica narrativa, ossia del modo in cui le narrazioni di storie possono avere un impatto sulla costruzione dell’identità morale della soggettività (cfr. Mori 2010, 53-55).
L’empatia e il male
La trasmissione valoriale oggetto dell’etica narrativa non farà riferimento alla morfologia classica focalizzata sull’arco evolutivo dell’eroe, ma appunto dell’antieroe. Infatti, negli ultimi anni si è assistito a una riabilitazione della dignità dell’antieroe (villain) su cui si sono concentrate monograficamente intere opere filmiche e seriali (es. Hannibal, Maleficent, Joker, Cruella). L’investimento etico dello spettatore si trova dunque capovolto non su chi agisce in virtù del bene, ma su chi compie il male, e soprattutto sul perché decida di compierlo. La tesi è dunque se e come funzioni l’immedesimazione empatica con l’antieroe.
Per sostenerla è necessario mettere a fuoco due processi fondamentali:
a) L’empatia negativa, partendo dalla tesi di Theodor Lipps (Lipps 2020);
b) Il conflitto del personaggio e il delinearsi della ‘figura satanica’ miltoniana (Milton 2016).
L’empatia costituisce uno strumento cognitivo ed etico, combinatamente con l’immaginazione e il ruolo che oggi i neuroni specchio giocano in riferimento alla embodied simulation (Gallese & Guerra 2015). Senza voler entrare troppo nel merito né delle questioni teoretico-estetiche di Lipps e degli autori successivi, né tantomeno in discussioni di carattere neuroscientifico, gli assunti di entrambe le discipline verranno utilizzati a supporto della tesi sostenuta: la narrazione come simulazione contribuisce alla costruzione dell’identità morale, permettendo di riprodurre esperienze etiche che:
- sul piano pratico l’agente morale potrebbe trovarsi ad affrontare nella propria vita;
- sul piano epistemologico garantiscono un’esperienza assiologica eterogenea, ampliando la prospettiva etica.
Per affermare il valore etico della narrazione, bisogna partire dall’idea che la rappresentazione ritorni sul piano della vita, ossia che l’estetica abbia un effetto sull’etica, qui soprattutto riferita all’empatia negativa che, con Ercolino e Fusillo è così definibile:
«un’esperienza estetica consistente in un’empatizzazione catartica di personaggi, figure, performance, oggetti, composizioni musicali, edifici e spazi connotati in maniera negativa e seduttiva in modo disturbante, o che evocano una violenza primaria destabilizzante, capaci di innescare una profonda angoscia empatica nel fruitore dell’opera d’arte, di chiedergli insistentemente di intraprendere una riflessione morale, e di spingerlo ad assumere una posizione etica (non sempre determinabile a priori, perché largamente dipendente dalle diverse e soggettive reazioni dei fruitori). L’empatia negativa può essere, inoltre, caratterizzata come un’esperienza estetica variabilmente aperta o neutra in termini di agency; un’esperienza estetica, cioè, che può condurre indifferentemente a comportamenti sia pro sia antisociali, o che può rimanere confinata nella vita interiore del soggetto empatizzante» (Ercolino & Fusillo 2022, 70-71)
L’empatia permette al soggetto di plasmare la propria identità morale mediante la simulazione di esperienze etiche, passando dai processi di comprensione, immedesimazione e allineamento. Tale allineamento avviene grazie alla facoltà dell’immaginazione (Smith 2016) mediante cui il soggetto riproduce stati emotivi di gioia e di sofferenza. L’impiego dell’immaginazione riproduttiva, grazie alla narrazione, passa dal livello emozionale a quello di simulazione di un intero processo etico che include: movente, deliberazione, giudizio e azione. L’innesco proprio dell’empatia è favorito dalla durata del tempo della narrazione, che permette al soggetto/fruitore l’identificazione anche con il personaggio che commette il male.
Il livello di analisi etica qui proposto non è dunque sul conflitto e la sua rappresentazione qualitativa e quantitativa, nel tempo e nello spazio della narrazione, ma su tre momenti specifici e consequenziali:
- il male subìto che carica il personaggio/antieroe di un vissuto di sofferenza;
- la distorsione psicologica ed etica causata dal male subìto;
- il male agito in base al percorso di sofferenza.
Dal passaggio (1) al passaggio (3), il percorso che segue lo spettatore è:
- allineamento;
- comprensione;
- distanziamento.
Mentre nel soggetto/fruitore l’allineamento e la comprensione sono processi che comportano l’identificazione, nel terzo passaggio, nonostante le traversie dell’antieroe, il male commesso non è giustificato, né premiato dall’approvazione, né esaltato nella narrazione, generando disapprovazione nello spettatore. È qui che lo spettatore diviene soggetto morale, quando passa alla fase etica attiva mediante l’esercizio del giudizio morale sull’azione malvagia, da cui si origina il distanziamento (3).
L’innesco empatico: dal corpo alla psiche
L’empatia costituisce uno strumento cognitivo ed etico di fondamentale importanza (cfr. Hume 2001; Donise 2020). Nella Teoria dei sentimenti morali Smith rivendicava il valore etico ed epistemologico dell’immaginazione e i successivi studi di neuroscienze (Rizzolatti & Sinigaglia 2005) hanno dimostrato come vivere direttamente un’esperienza e riprodurla indirettamente, immaginarla, attivino gli stessi circuiti neurali (Pulvirenti & Gambino 2018); i neuroni cioè agiscono ‘come se’ l’esperienza fosse reale. Un meccanismo che si amplifica molto di più nel caso di una pluristimolazione come avviene nella narrazione filmica che, a differenza di quella letteraria, include anche percezioni uditive e visive. Ercolino e Fusillo, ad esempio, riportano il caso dell’arte pittorica: «come un’esperienza estetica tensiva, euforica e di carica, piacevole e angosciosa allo stesso tempo, consistente nell’identificazione ambivalente dello spettatore con una figura negativa rappresentata, o nell’empatizzazione da parte sua di una certa atmosfera – Stimmung – caratteristica dell’opera, associata a emozioni negative primarie (tristezza, paura, rabbia, disgusto), sociali (imbarazzo, colpa, ecc.), o di fondo (malessere, tensione, agitazione, instabilità, mancanza di equilibrio o armonia)» (Ercolino & Fusillo 2022, 218).
L’allineamento empatico prevede i due momenti di empatia primaria “somatica” (Gallese & Guerra 2015) ed empatia secondaria “ricostruttiva”. Questa successione restituisce il rapporto fra pensiero primario e pensiero secondario, ossia fra una forma basilare di cognizione legata alla dimensione corporea e pulsionale a una secondaria legata invece ai processi più astratti. Nello spettatore si verifica una ricapitolazione di processi che abitualmente avvengono nella relazione con l’ambiente: una prima reazione emotivo-fisiologica, preriflessivo-imitativa, e una seconda legata a processi astratti che permettono di riprodurre l’unità degli atti intenzionali del protagonista della narrazione, quindi di tipo riflessivo-simulativa. In questo gioco di proiezione, fondamentale è il ruolo svolto dal narratore/autore nel conferire il giusto ritmo, soprattutto per entrare nei due meccanismi necessari all’allineamento: il male subìto e il conflitto.
Nella teoria di Lipps, come specificato nell’Introduzione dal curatore Ivan Rotella:
«Simpatia e antipatia, dunque, corrispondono, dal punto di vista lippsiano, all’empatia positiva e all’empatia negativa, ma, in quanto caratterizzazioni di accettazione o rifiuto, sono entrambe possibilità di uno stesso vissuto empatico. Se empatia e simpatia sono spesso stati utilizzati come sinonimi, l’originalità dell’impianto lippsiano risiede nel considerare anche l’antipatia come una forma e una possibilità dell’empatia, sebbene nella sua forma negativa e, di conseguenza, nel rimodulare la sinonimicità di empatia e simpatia, restringendola alla sola forma positiva dell’empatia» (Lipps 2020, 40)
Dunque, per Lipps, l’empatia negativa comporta un distanziamento. Distanziamento che, tuttavia, costituisce un passaggio conclusivo dopo una prima fase di immedesimazione. Di fatto, quello che avviene, ad esempio, in Joker di Todd Phillips (2019) è un iniziale avvicinamento causato dal male subito dal protagonista (empatia positiva) e una fase successiva di distanziamento (empatia negativa), quando Arthur Fleck (alias Joker) commette il male, trascinando con sé il fruitore nel vortice di follia e immoralità fino all’omicidio a sangue freddo. Il caso di Joker è significativo per comprendere il passaggio dall’allineamento al disallineamento con il personaggio, che avviene quando raggiunge l’apice in un processo in cui il male subìto, la sofferenza, diviene negativamente trasformativa. Quello di Joker è anche un caso-limite, in quanto subentra un’evidente componente psico-patologica, ma comunque non esenta il fruitore dalla sua responsabilità attiva di disapprovazione morale.
Eventi narrativi di questo genere permettono il raffinamento della sfera del giudizio morale, in quanto il fruitore, per l’appunto, si trasforma in un agente morale, la cui azione si esplica nel giudizio sul personaggio: «Siamo ben felici di guardare i cattivi, magari ogni tanto distogliendo lo sguardo per il troppo orrore, mentre nella finzione narrativa torturano, ammazzano e stuprano. Ma il narratore non ci chiede mai di approvare. Gli atti moralmente ripugnanti possono pure essere il pezzo forte del racconto, ma allo stesso modo lo è la condanna espressa dall’autore» (Gottschall 2018, p. 146). Da Hume in avanti, come ricostruisce Gottschall, gli individui manifestano una ‘resistenza immaginativa’ (Gendler 2000) rispetto al male commesso, prendendone le distanze. Il dato interessante è che, oltre la fase del distanziamento e del giudizio morale, quello che il lettore si aspetta quando il male è brutalmente commesso è che il ‘cattivo’ venga punito, anche se protagonista.
Sempre in Joker – nonostante l’affetto che lo spettatore prova nei confronti di un personaggio tormentato e che necessita di compassione – l’aspettativa è che quel male venga punito; un male che sul finale esplode in forma anarchica e che arriva a divinizzare Arthur Fleck . Un modello su cui si attua un processo di comprensione empatica, perché riflette il disagio di una minoranza della popolazione, ma che necessita di essere fermato e giustamente punito: la ‘comeuppance’ (Flesch 2007).
L’interessante meccanismo meta-filmico di Todd Phillips è che non solo lo spettatore assiste alla violenza, ma la violenza è estetizzata sia sul piano reale, sia nel film stesso, in quanto l’omicidio avviene in una scena che è anche una diretta televisiva. L’omicidio a sangue freddo è una scelta che il protagonista Arthur Fleck prende apparentemente con impulsività, ma che in realtà è il risultato finale di due ore di sofferenza accumulata durante l’intero film. Questo tipo di estetizzazione del male attraverso un omicidio che nasce da una lenta sofferenza è performativo sul piano etico, poiché non è un male banalizzato, ma prodotto da una lunga agonia. Un’interessante modalità di rappresentazione che ironicamente rivendica Nanni Moretti in una scena de Il Sol dell’Avvenire (Nanni Moretti 2023): l’impossibilità di deliberare facilmente e velocemente su un atto tanto immorale, a meno che non si sia preda della follia. Commettere il male non è mai semplice e veloce, ma è il risultato di un processo tormentato.
Il rapporto tra forme dell’empatia, male e follia, lo si trova anche nella versione live action del film Disney Cruella (Craig Gillespie 2021). Anche in questo caso, il distanziamento si attua a causa di una condizione psico-patologica che rende impossibile l’approvazione morale del gesto da parte dello spettatore, in linea con il modello proposto da Gottschall. Sia nelle figure in cui si attua il distanziamento (empatia negativa), sia in quelle in cui si attua l’approvazione, si parte da un caso di allineamento e immedesimazione generata da due elementi: il conflitto e il male subìto. Non necessariamente le due dinamiche convivono nell’antieroe. In entrambi i casi la narrazione stessa diviene una sorta di agente morale, incarnata, vivificata che possiede una propria intenzionalità infusa dall’autore. Lo spettatore non fa altro che attivare tale dispositivo, rianimare l’oggetto artistico nell’incontro con esso. La narrazione come oggetto riattiva la propria agency (Ercolino & Fusillo 2022, 188-189) nell’incontro con il soggetto, così che tale incontro renda l’oggetto narrato un dispositivo morale vivo e il soggetto un agente morale che opera mediante empatia (allineamento) e giudizio (approvazione/disapprovazione).
La legge del tormento: quando Satana è meglio di Machiavelli
Tuttavia, perché la dialettica etica tra dispositivo narrativo e agente morale si attui, c’è bisogno di almeno una delle due condizioni di sofferenza citate:
- il conflitto morale nel personaggio come figura satanica;
- il male subìto.
Per quanto riguarda il conflitto, questo rinvia alla ‘figura satanica’ (Morton 2011) che non è una figura che incarna il male in senso assoluto, ma è propriamente rappresentativa di un tormento e di un conflitto interiore che permettono uno scavo psicologico sul personaggio, facendone emergere l’intrinseca complessità. Per empatizzare e allinearsi con il personaggio occorre una forma di esercizio del pensiero come ‘dialogo interno’, ossia recupero del male commesso e subìto, funzionale allo sviluppo della coscienza morale: «Il miglior modo di non farsi scoprire, per un criminale, è infatti quello di dimenticarsi ciò che ha fatto e non pensarci più. Viceversa, il pentimento è proprio un modo di non dimenticare ciò che si è fatto, è un modo di ‘tornarci su’, come indica il verbo ebraico shuv. E questa connessione tra pensare e ricordare è particolarmente importante dal nostro punto di vista. Non si può ricordare qualcosa a cui non si è pensato e di cui non si è parlato con sé stessi» (Arendt 2010, 80).
Se il dialogo interno del personaggio non si attiva, originando sofferenza, non si innesca l’empatia. Qui è fondamentale il rapporto fra dimensione epistemologica (conoscenza dell’esperienza del personaggio), etica (conflitto), estetica (rappresentazione):
«Nelle forme d’arte narrativa, complessi spaccati storico-sociali e motivazionali possono essere ricostruiti con un elevato grado di precisione, offrendo un contesto ben definito per le azioni di personaggi negativi con cui spesso ci scopriamo in grado di stabilire una profonda relazione empatica (talvolta perfino compassionevole). Tale relazione empatica può essere tanto intensa, quanto difficilmente provocata da un’identificazione piena con un personaggio negativo. Infatti, l’identificazione con i personaggi d’invenzione, specie con quelli negativi, generalmente non è né costante nell’arco temporale della fruizione, né completa, bensì discontinua e aspettuale: limitata, cioè, a certi momenti e ad alcuni lati soltanto della loro personalità» (Ercolino & Fusillo 2022, 56)
In Arendt, il riferimento è chiaramente ad Eichmann e a quelle figure grigie completamente deficitarie di capacità di pensiero come dialogo con la propria coscienza. Tornando sul piano finzionale, emblematico è Riccardo III che rientra nell’alveo dei personaggi folli e in cui non esiste conflitto interiore e dialogo interno, o questo è assolutamente minimizzato. Nella narrazione seriale si trova un corrispettivo contemporaneo del personaggio shakesperiano nel Francis Underwood in House of Cards (2013-2018). In questi casi non esiste conflitto morale e si verificano forme di distanziamento dagli atti immorali commessi dai personaggi e dalla loro evidente follia. Queste sono in realtà figure machiavelliche, la cui posizione è amorale anziché morale o immorale. I personaggi conflittuali, invece, permettono allo spettatore di empatizzare in quanto il conflitto è sofferenza. Fra questi, sempre rimanendo su Shakespeare, è il caso di Macbeth, mentre perversa rimane la contro-parte femminile e machiavellica di Lady Macbeth la cui battuta si trova nella citazione qui di seguito e che rinvierebbe a una più dettagliata lettura psicoanalitica del conflitto fra ‘I dare not’ e ‘I would’. In questo caso la pulsione istintuale inconscia amorale di Macbeth (non della moglie machiavellica) è rappresentata da ‘I would’ (io vorrei) che risponde al principio di piacere, di contro all’imperativo del Super-io, istanza morale, che vincola la forza pulsionale con ‘I dare not’ (io non oso) e che riporta il soggetto sul principio di realtà.
As thou art in desire? Wouldst thou have that
Which thou esteem’st the ornament of life,
And live a coward in thine own esteem,
Letting ‘I dare not’ wait upon ‘I would,’
Like the poor cat i’ the adage?
Williams Shakespeare, Macbeth
Nella narrazione filmica, questo tipo di conflittualità è più evidente nel caso di un altro live action: Maleficent (Robert Stromberg 2014). Il caso dei villain appartenenti alla narrazione filmica della produzione disneyana degli ultimi anni è di estremo interesse etico e anche pedagogico. L’idea, proprio partendo da film come Maleficent o Into the Woods è propriamente quella di riabilitare la figura dell’antieroe mettendone a nudo il vissuto traumatico o sofferto per innescare il dispositivo dell’allineamento morale (cfr. Pisano 2019). Malefica, personaggio che viene per la prima volta presentato nel classico La bella addormentata del 1959, è il villain per antonomasia. Nel live action Disney del 2014 il modello viene capovolto, in quanto Malefica diviene una figura profondamente sofferente e conflittuale, annullando quella distinzione assolutizzata fra il bene e il male: una polarizzazione fondamentale nella prima fase dell’età evolutiva, perché il bambino possa formarsi idee chiare dei due principi (Bettelheim 2016).
Al di là delle potenziali implicazioni psico-pedagogiche di una tale resa del personaggio, vale anche qui il principio dell’identificazione che parte dalla ‘legge del tormento’, come legge che innesca quella che si può definire ‘empato-genesi’ nello spettatore, passando dalla sofferenza e dal conflitto. Il valore dell’etica narrativa risiede nella possibilità che la narrazione offre in quanto dispositivo di simulazione di azioni e giudizi, nonché di ampliamento dell’esperienza assiologica per il soggetto/fruitore che potrà riattualizzare sul piano pratico dell’agire morale. In quel caso, la narrazione funziona come rafforzamento di uno schema di azione etica, come raffinamento della sfera del giudizio, ma anche come possibilità di comprensione inter-soggettiva grazie al rafforzamento dell’empatia.
Riferimenti bibliografici
- Arendt, H. (2010). Responsabilità e giudizio. Torino: Einaudi.
- Bettelheim, B. (2016). Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. (A. D’Anna, A cura di) Milano: Feltrinelli.
- Donise, A. (2020). Critica della ragione empatica. “Fenomenologia dell’altruismo e della crudeltà” Passi di Critica della ragione empatica. Fenomenologia dell’altruismo e della crudeltà . Bologna: Il Mulino.
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- Flesch, W. (2007). Comeuppance: Costly Signaling, Altruistic Punishment, and Other Biological Components of Fiction. Cambridge: Harvard University Press.
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- Gottschall, J. (2018). L’istinto di narrare. come le storice ci hanno reso umani. (G. Olivero, A cura di) Torino: Bollati Boringhieri.
- Hume, D. (2001). Trattato sulla natura umana. (P. Guglielmoni, A cura di) Milano: Bompiani.
- Lipps, T. (2020). Scritti sull’empatia. (I. Rotella, A cura di) Napoli-Salerno: Orthotes.
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- Mori, M. (2010). Manuela di Bioetica. Verso una civlità biomedica secolarizzata. Firenze: Le Lettere.
- Morton, A. (2011). Empathy for the Devil. In A. Coplan, & P. Goldie, Empathy: Philosophical and Psychological Perspectives (p. 318-330). Oxford: Oxford University Press.
- Pisano, A. (2019). Dal Reale alla fiaba, dalla fiaba al Reale. Etica e dialettica dell’immaginario contemporaneo. Segni e Comprensione, 321-339.
- Pulvirenti, G., & Gambino, R. (2018). Storie menti mondi. Approccio neuroermeneutico alla letteratura. Milano-Udine: Mimesis.
- Rizzolatti, G., & Sinigaglia, C. (2005). So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Milano: Raffaello Cortina.
- Smith, A. (2016). Teoria dei sentimenti morali. (S. D. Pietro, A cura di) Milano: BUR.
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