Il ritorno su grande scala del teologico politico

Nella biografia pubblicata nel 2021 è stato definito The Contrarian, l’anticonformista. Non ha scritto libri di teoria politica ma per promuovere le sue tesi si affida soprattutto ai colloqui, più o meno accomodati e visibili su YouTube, che rilascia alla Hoover institution, un ente di politica pubblica americano. In un articolo apparso nel 2009 si definiva un libertario che «ha smesso di credere che democrazia e liberalismo siano compatibili»

Si tratta di Peter Thiel, 58 anni, brillante intellettuale e multimiliardario, fondatore di Paypal, presidente di un’azienda di intelligenza artificiale, sostenitore convinto dell’amministrazione Trump, verso la quale ha fornito numerosi uomini di sua fiducia, tra cui il vicepresidente Vance e l’inventore miliardario Elon Musk. Laureato in Filosofia a Stanford, Thiel è prima di tutto un imprenditore, un businessman, il cui successo ha aperto la strada alle sue idee filosofiche. In realtà si dovrebbero dire idee teologico politiche in quanto esse fanno riferimento in modo prevalente a quel lessico: bibbia, anticristo, apocalisse, katechon. 

Thiel concentra in modo esemplare il suo credo teologico politico in un saggio del 2007 dal titolo The Straussian Moment. Nato come riflessione filosofica sul tema della violenza, l’articolo esamina lo sviluppo della civiltà occidentale in due direzioni: una filosofico- razionale e un’altra apocalittico-religiosa.  Continue Reading

La duplice radice del principio di guerra

Il volume dedicato agli scritti sulla guerra di Simone Weil, di recente uscito nella collana Filosofi del Novecento a cura di Carlo Sini, è una fresca boccata d’ossigeno e di intelligenza per comprendere il fenomeno della guerra. Troppi i parvenu intellettuali e i sedicenti esperti universitari di politica internazionale apparsi recentemente sui giornali e sugli schermi per commentare la guerra della Russia contro l’Ucraina. Per capire, servono piuttosto i classici e soprattutto chi la guerra l’ha vissuta in prima persona.  È il caso dell’intellettuale francese di origine ebraica la quale, animata da autentici ideali di rinnovamento sociale e politico, prese parte alle lotte di rivendicazione operaie e alla guerra civile spagnola. La Weil, spirito inquieto come attestano ampiamente i suoi scritti, morì a soli 34 anni durante la seconda guerra mondiale, mentre era impegnata nella resistenza a fianco del governo francese in esilio in Inghilterra. Continue Reading

Baudrillard e la metafisica del terrorismo

In Téchne. Le radici della violenza, uno dei suoi scritti più lungimiranti pubblicato nel 1979, Emanuele Severino dedicava al terrorismo il capitolo d’apertura del suo libro. “Il problema fondamentale – scriveva il filosofo bresciano – non è scoprire le basi del terrorismo, ma comprendere la situazione reale che lo rende possibile”.  Si trattava cioè di capire le determinanti storico-politiche che permettevano questo particolare scatenamento della violenza. Molti filosofi, soprattutto a partire dalle guerre del Golfo degli anni novanta dello scorso secolo e dagli attentati dell’11 settembre a New York, hanno cercato in vari modi di rispondere alle sfide poste da un fenomeno che appare svilupparsi su scala sempre più su vasta. Uno di questi è sicuramente Jean Baudrillard, filosofo francese scomparso nel 2007 all’età di 78 anni, che del fenomeno terrorismo ha fatto uno dei capisaldi più interessanti della sua speculazione. Il fulcro della sua tesi è che l’origine del terrorismo deve essere cercata nel monopolio esercitato dal sistema politico-economico occidentale sul resto del mondo. Ma non solo. Continue Reading

La terribile lotta fra bene e male

In un passo splendido di Genealogia della morale Nietzsche afferma che «I due valori antitetici “buono e cattivo”, “buono e malvagio” hanno sostenuto sulla terra una terribile lotta durata millenni». Ed è innegabile come si sia ancora prolungata questa lotta, che ancora oggi – ahimé – genera morti. In ogni TG veniamo a conoscenza di lotte e rivendicazioni religiose nei confronti di un oltraggio ad un dogma.
Partendo da questo spunto di cronaca vorrei porre una riflessione più generale: qual è il limite oltre il quale non si può e non si deve oltrepassare l’imposizione, ferma ed immobile, di un dogma? O meglio, a mio avviso, vi è un limite alla libertà di parola e d’espressione? Il dogma può essere il limite alla libertà più preziosa che la società civile e politica ci ha riconosciuto? Possiamo permettere che un dogma (qualcosa di inspiegabile, oggetto di fede e non di ragione, qualcosa di non migliorabile, ma una verità che non possiamo interrogare, quindi una non-verità!) detti le regole della civiltà?

Tutto ciò, ovviamente, contiene una premessa che è bene ricordare: qualsiasi oltraggio ad una differenza culturale, etnica, religiosa, politica e antropologica è cosa da condannare e che anzi eccede la libertà di espressione.
Sì: perché libertà d’espressione non significa avere la possibilità di dire tutto, anche calpestando i sentimenti di intere culture, anche religiose. La libertà di pensiero e di parola sono la manifestazione più autentica della razionalità. E la razionalità non pone limiti inspiegabili. La razionalità vuole la ricerca, non il dogma, che intende dirci – a priori – cosa è bene e cosa è male.
Come ha detto Emanuele Severino alla conferenza del 15 settembre 2012, tenutasi a Modena al FestivalFilosofia: «ogni fede, in contrasto con altre, genera inevitabilmente una guerra». [A breve pubblicheremo un riassunto della sua lectio magistralis]