Il discorso che è stato svolto nei precedenti articoli ha inteso vincolare esistenza e rilevamento. Il rilevamento, a sua volta, inscrive la presenza rilevata (l’esistente, l’ente) all’interno di un sistema o campo nel quale si dispongono le esistenze rilevate. In tal modo, il sistema di rilevamento e il sistema di riferimento si traducono in un sistema o campo di presenze rilevate e, più in generale, riferite a ciò che ad esse si riferisce.
In effetti, anche Carnap e Quine hanno subordinato l’esistenza delle cose a un qualche sistema di riferimento (framework), nel senso che essi hanno definito l’esistente relativamente a un sistema nel quale compare o viene espresso.
Scrive Carnap, a questo proposito: «Se qualcuno desidera parlare nel suo linguaggio di un nuovo tipo di entità, deve introdurre un sistema di nuovi modi di parlare, soggetto a nuove regole; chiameremo questa procedura la costruzione di un framework per le nuove entità in questione» (trad. it., 1976, p. 201).
Egli distingue due «tipi di questioni di esistenza: primo, le questioni di esistenza di certe entità all’interno del framework, le chiamiamo questioni interne; e, secondo, le questioni che hanno a che fare con l’esistenza o la realtà del framework stesso, le chiamiamo questioni esterne» (ibid.).
Quine si confronta con la concezione di Carnap, paventando che le questioni ontologiche possano venire ridotte a questioni empiriche o a questioni linguistiche. Egli, infatti, avverte che molto spesso il progresso scientifico è determinato da uno slittamento semantico, nel senso che ciò che prima era considerato una teoria del mondo viene ricostruito poi come una convezione linguistica (cfr. 1936, pp. 90-124).
In tal modo, non infrequentemente si produce uno slittamento da questioni esterne a questioni interne al sistema: si passa, cioè, dal discorso sugli oggetti di una teoria, ossia sugli enti che essa riconosce come esistenti, al discorso sulla teoria stessa (trad. it., 1970, pp. 331-332).
La questione fondamentale, tuttavia, concerne il tema della realtà, ovverosia cosa esista effettivamente in essa.
Ordinariamente, viene assunta come realtà quella rappresentata dall’universo percettivo-sensibile: la “realtà esterna”, cioè il mondo fisico che circonda le persone, viene assunta come un sistema privilegiato rispetto agli altri, l’unico veramente reale.
Il punto di vista che abbiamo cercato di esprimere, invece, è volto a sostenere che il “campo” degli esistenti non soltanto è vincolato a un determinato sistema di rilevamento sensoriale, ma anche a un determinato sistema di riferimento teorico e culturale.
Ciò comporta non soltanto che il campo delle presenze sensibili può variare, a seconda della raffinatezza del sistema di rilevamento di ogni soggetto e dell’ampiezza e profondità del suo sistema di riferimento, ma altresì che accanto al campo delle presenze sensibili possono configurarsi altri campi di esistenza: il campo dei concetti, il campo dei numeri, il campo delle fantasie, tanto per citarne alcuni, essi stessi vincolati al sistema che contribuisce a configurarli.
Privilegiare il campo percettivo-sensibile significa, a rigore, assumere quest’ultimo come quello autenticamente reale e la ragione che viene offerta è duplice: innanzi tutto, esso manifesta una significativa indipendenza dal soggetto; inoltre, è condiviso da una molteplicità di soggetti. Queste sono le due caratteristiche fondamentali, che inducono a identificare la realtà con quella che viene attestata dai sensi.
A proposito della definizione del concetto di “realtà”, dunque, non si può non rilevare il fatto che nella filosofia contemporanea si va progressivamente imponendo proprio quella concezione naturalistica, che invece era stata fortemente discussa nella filosofia classica.
Già Parmenide, vale la pena ricordarlo, distingueva la vera realtà, cioè la realtà “in sé” (kata physin, in se), dalla realtà apparente, la realtà “per noi” (pros hemas, quoad nos), che è una realtà fenomenica. Secondo la concezione parmenidea, che è stata condivisa in qualche modo da tutti i filosofi di impostazione classica, conoscere, a rigore, significa essere mossi proprio dall’intenzione di cogliere l’autentica realtà, dunque la realtà oggettiva, andando oltre la realtà che appare.
Lo stesso Bacone affermava che anche lo scienziato, se intende davvero cogliere la realtà oggettiva, si deve liberare di tutti i suoi presupposti (pregiudizi, anticipazioni, idola). Solo dopo questa expurgatio intellectus – indicata nel Novum Organum (1620) – diventa possibile accogliere la realtà come è in sé, senza alterarla, cioè senza nulla aggiungere e nulla togliere ad essa. Che è come dire: senza che l’importo soggettivo ne pregiudichi l’oggettività.
Se non che, il problema concerne proprio la possibilità di effettuare questa eliminazione di tutte le anticipazioni, che consenta di accogliere la realtà per come essa è in sé, cioè di restituirla nel suo essere autentico, senza alterarla nell’accoglierla.
Che sia un problema lo aveva già intuito anche un realista come Tommaso d’Aquino, il quale, soffermandosi sul processo del ricevere le forme provenienti dal mondo esterno, aveva evidenziato che l’accogliere la realtà può venire definito un “recepire”.
Tuttavia, il recepito, cioè il receptum, è recepito – questa la grande intuizione di Tommaso, che compare nel De veritate (trad. it., 1992) – nei modi e nelle forme di chi lo riceve: il receptum è recepito per modum recipientis, in modo tale che il soggetto in qualche modo modella la realtà nel recepirla.
La distinzione kantiana di “fenomeno” e “noumeno”, del resto, non fa che riproporre la medesima tematica: ciò con cui noi entriamo in contatto non è la realtà in sé, ma solo quella realtà fenomenica che è modellata dagli a priori della sensibilità (spazio/tempo) e dell’intelletto (categorie). Per questa ragione, ciò che costituisce il mondo della nostra esperienza è rappresentato da un insieme di fenomeni e sarebbe un errore assumere i fenomeni come se fossero realtà in sé, cioè come realtà autonome, autosufficienti e indipendenti dal soggetto.
Non di meno, la posizione di Kant non comporta una valorizzazione del soggetto al punto tale che l’oggetto risulti soltanto una sua “produzione”. Egli, anzi, critica sia l’«idealismo empirico di Descartes» sia l’«idealismo mistico e fantastico di Berkeley» – che nei Prolegomeni (trad. it., 1979³, p. 49) contrappone al proprio «idealismo trascendentale», il quale non mette in discussione l’esistenza delle cose esterne –, perché ritiene che nella concezione propria dell’idealismo «materiale o comune», come scrive nella Critica della ragion pura (trad. it., 19777, p. 401), il soggetto finisca per produrre la realtà, la quale viene in tal modo assunta come una sua oggettivazione.
Da un tale idealismo Kant intende prendere le distanze, perché nella sua concezione il fenomeno si costituisce in forza dell’incontro della realtà oggettiva (la realtà noumenica) con gli a priori della soggettività.
Dietro ogni fenomeno, questo è ciò che afferma Kant, è presente un noumeno che lo fonda, ossia una realtà oggettiva che è irriducibile alle forme del soggetto. Non per niente, Kant parla di «cose in sé» al plurale: spesso nella Critica della ragion pura, quasi sempre nei Prolegomeni. Tale realtà oggettiva, allorché viene modellata dal soggetto, si trasforma in fenomeno e acquista la forma che contraddistingue gli oggetti dell’esperienza ordinaria.
La posizione di Kant evidenzia in modo chiaro e inequivocabile che non si può prescindere dal ricorso a una realtà oggettiva. Se il riferimento alla realtà oggettiva viene meno, infatti, allora i dati di esperienza diventano mere creazioni del soggetto, così che è possibile riscontrare anche in Kant quel duplice ordine di fattori che abbiamo indicato nel paragrafo precedente.
Usando una diversa modalità espressiva, pertanto, potremmo dire che il dato (d) è funzione tanto del sistema con cui lo si rileva (S1) e del sistema con cui lo si categorizza (S2), quanto dei vincoli imposti dalla realtà oggettiva (R), così che si potrebbe proporre la seguente formula: d = f (S1, S2, R).
La vera questione, a nostro avviso, concerne proprio la determinazione dei vincoli imposti dalla realtà oggettiva.
A questo proposito, ci sembra di poter rilevare che la soluzione kantiana lascia aperto il problema di una realtà che, da un lato, si afferma come in sé, dunque come appartenente a un livello pre-categoriale (ante-predicativo) e poi, dall’altro, viene intesa nella forma di una pluralità di noumeni (noumena): si darebbero tanti noumeni quanti sono i fenomeni, perché solo così si giustificherebbe la varietà dell’esperienza. Se non che, in tal modo si finisce per applicare la categoria di “molteplicità” a ciò che, di contro, si è postulato come pre-categoriale.
Come conciliare, dunque, l’oggettività del reale, richiesta come fondamento autentico del processo conoscitivo, con la possibilità di entrare in un qualche rapporto con essa?
Questa è la domanda da porre, per la ragione che, se si rinuncia al riferimento alla realtà oggettiva, allora si finisce nell’idealismo assoluto; se, però, si determina in qualche modo tale realtà, allora si nega il postulato, cioè quell’oggettività che la pone oltre ogni punto di vista soggettivo, oltre ogni sistema di rilevamento o di riferimento e, dunque, oltre ogni determinazione.
Riferimenti bibliografici
- Bacone, Francis. 1620. Novum Organum, sive indicia vera de interpretatione naturae. London (trad. it. in Opere filosofiche, Roma-Bari, Laterza 1965)
- Carnap, Rudolf. 1950. Empiricism, Semantics and Ontology, «Revue Internationale de Philosophie», 4, pp. 20-40 (ristampato in appendice alla seconda edizione di Meaning and Necessity. Chicago: University of Chicago Press, pp. 205-221; trad. it. 1976. Significato e necessità. Firenze: La Nuova Italia)
- Kant, Immanuel. 1781. Kritik der reinen Vernunft (1781-1787), in Gesammelte Schriften, hrsg. V. der Königlich Preuβische Akademie der Wissenschaften, Reimer-de Gruyter, Berlin 1910-1917 (trad it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice. 19777.Critica della ragion pura. Roma-Bari: Laterza 19777)
- Kant, Immanuel. 1979³ Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik die als Wissenschaft wird auftreten können, in Gesammelte Schriften (trad. it. Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza. Roma-Bari: Laterza)
- Quine, Willard Von Orman. 1936. Truth by convention, in O.H. Lee (a cura di), Philosophycal Essays for A.N. Whitehead. New York: Longmans (ristampato in The Ways of Paradox and Other Essays, 1976²)
- Quine, Willard Von Orman. 1960. Word and Object. Cambridge: Mit Press (trad. it. Parola o oggetto, Il Saggiatore, Milano, 1970)
- Tommaso d’Aquino, De veritate, q. 1, a. 1-9 (trad. it. 1992. La verità. Napoli: Guida Editori).
Articoli di questa serie già pubblicati
- Il realismo contemporaneo (I) (10 settembre 2023)
- Percezione e coscienza (II) (8 ottobre 2023)
- Soggettività e oggettività della percezione (III) (5 novembre 2023)
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