Nella nostra serie di articoli dedicati all’individuo, riceviamo e pubblichiamo il primo paper esterno alla redazione. Si tratta di un contributo che coniuga prospettive filosofiche, mitiche e psicanalitiche nel tentativo di giungere ad una sintesi unitaria con l’aspetto sociale.
Nel procedimento di chiarificazione filosofica del concetto di individuo non si può non tener conto dei contingenti aspetti storico-sociali che sono intrinseci ad ogni concreta individualità e che, in una certa misura, permettono la definizione stessa di individuo in quanto tale. Da questo punto di vista, Giovanni Gentile (1945) affermava che l’individuo non esiste in se stesso nell’immediatezza naturale, quale entità astratta e a-storica, quanto piuttosto come autocoscienza, cioè concreto (storico) rapporto di interazione reciproca in seno alla comunità sociale di riferimento: «non la comunità contiene l’individuo; ma al contrario, l’individuo contiene o piuttosto realizza, nell’atto della autocoscienza, la comunità» ((Ivi, p.20)). A partire da tale intrinseco rapporto intercorrente tra individuo e società si definisce lo statuto etico dell’individualità medesima: «una legge interiore, alla quale ogni parola, ogni atto dell’individuo si commisura in quel punto in cui viene all’essere; onde ognuno dice la parola, che, nel pronunciarla, egli sente di dover dire, e compie l’atto che nel suo compiersi è da lui avvertito come conforme a una legge che è legge per lui in quanto legge è per tutti; per tutti gli appartenenti alla comunità a cui egli a volta a volta si può riferire» ((Ivi, p. 16)).
L’essenza umana non è dunque analizzabile di per sé, se non in diretto rapporto con la più ampia dimensione sociale. Del resto, se si definisce individuo il singolo soggetto che riconosce la propria singolarità in un Sé, tramite il linguaggio ((Mead, 1934, p. 200)), ciò è possibile, logicamente, per via del riconoscimento di un “altro- da-sé”, ovvero di un’alterità che con la sua differenza definisca l’identità del singolo ((Ivi, p. 233)).
Ciò che definisce l’individualità umana
L’individuo umano è soggetto autocosciente: l’ente cosciente di sé, nella propria unicità, all’interno della reciproca relazione sociale di riconoscimento tra autocoscienze. Ciò definisce l’individuo uomo differenziandolo da quello animale. Quest’ultimo infatti è individuo in quanto organismo che risponde agli stimoli fisiologici determinati da un sistema di bisogni innati predefinito. Al contrario, l’uomo è essenzialmente tale a partire dal riconoscimento di sé per il riconoscimento di un’altra autocoscienza ed è mosso da una mancanza fondamentale che ne determina il desiderio. Il suo esser individuo comporta così qualcosa di più che la semplice azione finalizzata all’autoconservazione, ed anzi la sua è un’azione diretta ad essere riconosciuta, in quanto desiderio del desiderio dell’altro ((Kojéve, 1947, p. 7)). Per questa ragione il desiderio umano prende una consistenza radicalmente differente da quello animale, superando il semplice principio di conservazione biologica e definendosi come «antropogenico». Il desiderio umano si articola su un piano che supera quello animale e si realizza nel «trionfo» del riconoscimento di sé come individuo assoluto da parte di un Altro ((Ivi, p. 8)). Lo scarto tra uomo e animale pone dunque una distinzione radicale tra bisogno animale e desiderio umano: l’animale è guidato dall’appetito che ricerca un oggetto nella sua immediatezza; l’uomo, avendo anche desideri animali, è mosso da un desiderio che si nutre di altri desideri anziché di “cose reali”. In ciò la sua individualità si costituisce come «libera e storica», realizzandosi come desiderio del desiderio dell’altra Autocoscienza ((Ivi, p. 173)). Il desiderio descrive la radicale libertà dell’individuo-uomo, che però è destinato alla non piena risoluzione della mancanza, proprio perché si tratta di un desiderio di nulla di concreto ed immediato.
Dal punto di vista dell’antropologia filosofica si potrebbe dire che la condizione umana è intrinsecamente caratterizzata da quell’indeterminatezza rispetto alla quale l’uomo deve regolare, di volta in volta, il proprio agire in funzione del progetto d’azione. Tale condizione lo pone in “svantaggio” rispetto all’animale, il quale è fornito di schemi di comportamento rigidi ed è direzionato in maniera univoca verso l’adattamento all’ambiente ((Gehlen, 1961, p. 34)). Si tratta di una distinzione che è ripresa in ambito psicoanalitico, in cui il bisogno animale viene definito come una spinta rigida e biologicamente determinata dagli istinti, mentre la pulsione umana come variabile per oggetto, meta e direzione ((Colombo et al., 2001, p. 82)).
L’individualità e il terzo simbolico
L’essenza dell’uomo differisce da quella animale per la costitutiva condizione di indeterminatezza e di precarietà rispetto agli impulsi naturali, i quali sono pure presenti ma non direzionati rigidamente in schemi istintuali innati. A partire da tale scarto che pone l’uomo in una condizione di carenza e precarietà ((Gehlen, 1961, 54)) la realtà umana si storicizza in un ordine sociale e in istituzioni che fungono da “protesi”, offrendosi all’uomo stesso come mediazione simbolica con il mondo naturale ((Ivi, p. 74; Berger, Luckmann, 1966, p. 81)). La realtà sociale ordinata in istituzioni funge, così, da cornice entro cui l’individuo può direzionare il proprio agire, garantendo la possibilità stessa della relazione di riconoscimento tra autocoscienze. Egli è:
il singolo nella ‘polis’ come titolare del diritto a ricevere l’essere riconosciuto nella soggettività, esercitata nell’opera di trasformazione del senso di quanto ambienta il coesistere regolato dalla terzietà. […] La terzietà costituisce il luogo del reciproco riconoscersi nel compito di differenziazione esistenziale di ciascun singolo, nella formazione dell’identità mediante l’alterità, esistendo entrambi, l’io e l’altro, nel non-essere-sempre, specifico della mancanza e distinto dal non-avere-ancora, formativo del bisogno ((Romano, 2002, pp. 37)).
Il desiderio trova in questo modo nella dimensione istituzionale la garanzia da parte di un Altro-terzo simbolico che funga da medio del riconoscimento. Qui l’individuo è autocoscienza in quanto riconosciuto come soggetto a partire dalla dimensione terza della dimensione simbolica che regola i rapporti con l’altro-da-sé e con il desiderio del desiderio dell’altro. L’ordine sociale assume perciò la funzione di garante del desiderio, in quanto sostegno, nella mediazione simbolica, del legame sociale: l’istituzione, il diritto, in quanto Altro medio della relazione, custodiscono il riconoscimento quale “oggetto” di desiderio ((Ivi, p. 38)).
L’individuo alienato e l’ordine sociale
L’essenza dell’individuo-uomo è intrinsecamente sociale. Dalla dimensione collettiva l’individuo reperisce il riconoscimento di sé quale ente singolare, essendo mosso dall’intenzionalità, dalla progettualità del desiderio. Tuttavia la condizione esistenziale dell’individuo nella civiltà occidentale ((Ehrenberg, 1998)) mette in crisi il modello dell’individuo come autocoscienza ((Gentile, 1945)) e propone una concezione atomistica dell’individuo-uomo. Il soggetto non articola una dialettica di riconoscimento, mediata dagli ordinamenti sociali e simbolici (la terzietà dell’istituzione), e rischia di essere esiliato in una condizione di alienazione, nella quale rinnega la mancanza e precipita nell’autosufficienza narcisistica ((Borgna, 1999, p. 114-115)).
In ambito psicoanalitico il narcisismo è riconosciuto come un’esacerbazione dell’individualità, in cui il soggetto considera l’immagine di sé come realizzazione di una completezza ideale nell’obnubilamento della mancanza fondamentale e nell’illusione dell’autosufficienza ((Colombo et al., 2001, p. 100)). A partire da tale posizione di aderenza all’immagine ideale di sé l’individuo rischia di ammalarsi, condensando il misconoscimento del proprio desiderio, quale apertura verso l’altro, in formazioni sintomatiche ((ibidem)). L’Io è considerato, in psicoanalisi, già di per sé il risultato di una costruzione immaginaria del soggetto a partire dalla propria immagine corporea, introducendo così un nucleo narcisistico all’interno soggettività. Eppure tale narcisismo, se esacerbato, può comportare manifestazioni di sofferenza psichica nevrotica, oppure a forme di disregolazione degli impulsi come nel caso della sociopatia ((Galimberti, 2010, p. 104)). Tale condizione è inevitabilmente legata alla dimensione sociale e alla funzione simbolica dell’ordine istituzionale.
Narciso oscilla tra il non-riconoscimento e il riconoscimento della propria immagine, l’alterità è rimossa, e conseguentemente la regola terza del diritto misurata dall’alterità […]. Il rapporto tra l’io e l’altro è una relazione mediata dal principio di alterità […]. L’Altro assoluto, garante della divisione, quindi dell’écart, è l’altro Terzo; l’Altro posto oltre qualsiasi considerazione fattuale, garante, ma anche fondatore di legami, quindi di relazione. […] La differenza non viene recepita da Narciso, che in questo modo resta privo di un’alterità regolante ((Avitabile, 2004, pp. 213-214)).
Rispetto alla posizione di Narciso, alienante per l’individuo, che pone le premesse per l’espressione dell’aggressività criminale ((Romano, 2002, p. 57)), l’istituzione sociale, come terzietà, cede alla sua funzione di garanzia per il mantenimento del legame sociale stesso. Il Terzo mostra all’uomo quanto questi sia più che il proprio stato di identificazione narcisistica nella ricezione del riconoscimento da parte dell’altro. Nel superamento del rapporto narcisistico la relazione si svolge su un piano che si pone al di fuori dell’aggressività reciproca: «nell’ordine dell’identificazione immaginaria, il rapporto si risolve infatti in una condizione di aggressività, poiché lo stato di imprigionamento in un’immagine univoca ed escludente produce quanto Lacan descrive come “lo scarico della più intima aggressività”: o io o l’altro» ((ibidem)). L’ordinamento simbolico di relazioni intersoggettive, che sanciscono la terzietà della legge e dell’istituzione, custodi del legame sociale, vede il proprio declino nel mondo contemporaneo e ne determina la crisi della funzione simbolica stessa. Crisi rinvenibile in ogni ambito della soggettività umana ((Cosenza, 2012)).
Riferimenti bibliografici
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