Il parricidio necessario: la meccanica quantistica tra epistemologia e antropologia (II)

Questo articolo è frutto del lavoro congiunto di Alessandro Lattuada e Aldo Pisano  entrambi componenti della Redazione di Ritiri Filosofici. L’articolo è il secondo di una serie di tre contributi che intendono prendere ad esame il rapporto tra filosofia e fisica seguendo le tracce del lavoro del fisico Carlo Rovelli.

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«La gravità può attraversare le dimensioni. Compreso il tempo».
Joseph Cooper, Interstellar, 2014

Natura facit saltus: contesto e profilo storico della meccanica quantistica
Riuscire ad esprimere con estrema linearità e chiarezza lo sviluppo della meccanica quantistica è di fatto un’impresa ardua. Fondamentalmente per due ordini di motivi: il primo è che essa segue uno sviluppo storico-cronologico di più di un quarto di secolo, in cui è coinvolta una buona parte dei grandi fisici e scienziati dei primi trent’anni del ‘900; il secondo motivo è che la meccanica quantistica rimane tutt’ora difficile da comprendere nei suoi processi fondamentali. Tale irrimediabile constatazione deriva dal fatto che, quando prese avvio lo studio delle particelle e quindi del mondo microscopico, il risultato fu quello di un sempre maggiore e successivo scandaglio delle componenti prime della realtà fisica, quindi della struttura stessa della materia. Da questi successivi e continui svisceramenti della struttura fisica del reale, tutt’ora in atto, si è tentato di derivare un formalismo matematico che potesse mettere insieme una teoria quantistica in uno strutturato sistema di leggi. Ciò non è stato possibile. Ancora oggi, più si va in profondità e più i meccanismi sfuggono, più si ricerca, più si assiste all’affermarsi del caso sulla necessità. Tuttavia, l’effetto sorprendente di tutto ciò è che, sebbene non esista un modo per sistematizzare in senso definitivo il comportamento delle particelle quantistiche, gli effetti pratici e tecnologici che da esse derivano sono paradossalmente funzionanti. In sintesi: la meccanica quantistica è una teoria che funziona, ma che ancora non si riesce a comprendere, e che tutt’oggi continua ad essere indagata, ridefinita in una vasta pletora di interpretazioni. Esistono dei naturali limiti storici e intellettuali nella possibilità di una ricostruzione complessiva della teoria, che spesso e volentieri si nutre delle biografie e degli scritti diretti di coloro che svilupparono la teoria agli inizi del ‘900 (Kumar 2010).

Nonostante ciò, la teoria dei quanti è una realtà assodata ed evidente tanto che sia dal punto di vista della strumentalità tecnica, sia dal punto di vista della struttura fisico-chimica degli organismi inizia a serpeggiare l’idea di un Homo quanticus (Ortoli, Pharabod, 2012): nel primo caso per descrivere l’influenza dell’uomo sulla produzione tecnica mediante l’utilizzo delle conoscenze derivate dalla quantistica, nel secondo caso proprio perché la stessa costituzione biologica dell’uomo, al pari degli altri esseri viventi, almeno a livello micro-fisico si regge sulle basi delle leggi quantistiche. Scrivono Ortoli e Pharabod, nel testo Metafisica quantistica:

Il nostro mondo è quantistico. La prova? Guardatevi attorno, sopra una scrivania, ad esempio, dove troneggia un computer scintillante extrasottile dotato di un processore più rapido di Atlanta e di una scheda grafica da far impallidire un miniaturista. […] Tuttavia non è di questo che vogliamo parlare, ma di voi, di noi, dell’ Homo quanticus del Ventunesimo secolo. L’uomo che a partire dal Big Bang dell’informazione del secolo precedente non ha smesso di vedere la sua «infosfera» – termine coniato dal futurologo Alvin Toffler – gonfiarsi come un universo in espansione (Ivi, 9).

L’emergere di una realtà scientifica di questo livello e con tali derivazioni determina una conseguente riflessione filosofica sui risvolti della meccanica quantistica, che si modulano su diversi livelli: ontologico, epistemologico, gnoseologico, antropologico, etico. Per tentare di individuare i risvolti filosofico-antropologici, come per la teoria della relatività, è bene quindi iniziare con la ricostruzione storica della meccanica quantistica alla quale è naturalmente connesso un potente impatto culturale e filosofico. In particolare, è utile delineare la differenza rispetto alla teoria di Einstein, con cui era iniziata la rivoluzione degli assiomi classici e che adesso trova un forte limite e contrasto con i principi filosofici estrapolati dai risultati della meccanica quantistica. Due teorie che nascono da uno stesso processo di pensiero, che è quel procedimento dialettico a cui sono sottoposti i paradigmi scientifici, ossia sviluppo e integrazione successiva e relativo ampliamento delle teorie, man mano che si procede all’assimilazione di nuovi dati sperimentali. Scrive Rovelli: 

La relatività generale è una gemma compatta: concepita da una sola mente, basata sullo sforzo di combinare le scoperte precedenti, è una visione semplice e coerente, concettualmente limpida, di gravità, spazio e tempo. La meccanica quantistica, o “teoria dei quanti”, al contrario, nasce direttamente da risultati sperimentali, come misure di intensità di radiazione, effetti della luce su metalli e studi sugli atomi, attraverso una gestazione durata un quarto di secolo, alla quale hanno partecipato in molti. La teoria ha ottenuto un successo sperimentale che non ha uguali, portando ad applicazioni che hanno nuovamente cambiato la nostra vita quotidiana (il computer con cui sto scrivendo per esempio), ma, a un secolo dalla sua nascita, è ancora avvolta da un velo di oscurità e incomprensibilità (Rovelli, 2014, 97).

Fu l’incontro fra le più illustri menti del ‘900 a scandire i passaggi di una formulazione scientifica che potesse raccogliere le nuove scoperte e verifiche sperimentali (dal corpo nero di Planck al nucleo atomico di Ruthenford), al fine di creare un progredito modello con cui filtrare la realtà. Il tutto fu ritmato da contrasti che diedero del filo da torcere al vecchio “realismo dogmatico”, imponendo la necessità di un “realismo pragmatico” (Cappelletti, 2001, 48), che dovette accantonare l’ormai antiquato modello deterministico, nonché la possibilità di fornire una descrizione oggettiva degli eventi fisici. Qui emerge un primo passaggio di valore filosofico, alla luce di due elementi: (a) dimostrazione dell’esistenza dell’atomo; (b) la sua successiva e continua revisione, fino ad arrivare alla LQG, in cui la realtà non è più ulteriormente divisibile al di sotto di un certo livello, che è appunto fissato alla scala di Planck (h). Assumendo dunque l’atomo dal punto di vista di una fruizione linguistico-concettuale è noto che esso descriva un fenomeno o una porzione-limite del reale, non ulteriormente divisibile. Atomo, dunque, come un significante linguistico che assume il significato concettuale di “elemento del reale non suscettibile di ulteriori divisioni”. Di fatti, per Democrito, l’atomo è la realtà ultima che non è passibile di una conoscenza empirica diretta:

Democrito, d’altronde, per primo circoscrive con chiarezza un livello di realtà oggettivo (gli atomi) distinto da quello della realtà sensibile, privando le qualità sensibili (che ancora appartenevano tanto agli elementi di Empedocle quanto ai semi di Anassagora) di esistenza oggettiva e riducendole a risultanza secondaria dell’incontro fra il soggetto e gli effluvi atomici che si distaccano dalla superficie delle cose e ne rendono le immagini agli organi di senso. […] Democrito distingue quindi due forme di conoscenza: una forma inferiore (detta “conoscenza oscura”), quella data dai sensi, e una forma “genuina” o “autentica” che giunge dove la prima non riesce. […] Su questo punto Democrito si ricongiunge ad Anassagora, poiché entrambi ritengono che dal modo in cui le cose si presentano ai sensi si possa comunque derivare un’idea della struttura sottostante (Sassi, 2014, 51).

Questo passaggio della Sassi è estremamente delucidativo, per delineare come in Democrito (a) l’atomo e il vuoto come sostanza della realtà e (b) la conoscenza del mondo atomico, non avviene per esperienza percettiva diretta, bensì per opera di un processo inferenziale, al pari di quello adottato per esempio da Planck nella sua “scoperta” dei quanti. L’idea di maggiore interesse è che quello stesso atomo che rappresenta l’ultimo limite fisico, viene oggi riproposto dalla LQG al pari di come veniva assunto nell’antichità, dimostrando ancora l’impossibilità di una divisione ulteriore della realtà al di sotto della scala di Planck. Ovviamente, la valenza dell’atomo fra il periodo antico e quello moderno è di ordine concettuale, pertanto, scavando, si scopre una realtà composta da particelle discrete. Dialetticamente, dunque, si è partiti dall’atomo per ritornare all’atomo, in una forma riveduta e sicuramente più complessa, grazie alla conoscenza specifica che oggi se ne possiede. Riassume così Rovelli, scandendo le opportune differenze: 

Per Democrito gli atomi erano come piccoli sassolini, mentre nella meccanica quantistica le particelle spariscono e ricompaiono. Ma la radice dell’idea della sostanziale granularità del mondo è nell’atomismo antico, e la meccanica quantistica – forte di secoli di esperimenti, di una potente matematica e della grande credibilità che le viene da una strepitosa capacità di fare predizioni giuste – è un riconoscimento genuino della profondità del pensiero sulla Natura del grande filosofo di Abdera (Rovelli, 2014, 115).

Per tornare allo sviluppo storico della meccanica quantistica, parallelamente agli sviluppi avuti con Bohr e Ruthenford, altri passi importanti vennero compiuti da Pauli, che introdusse gli orbitali nell’atomo, e da Broglie che applicò il dualismo onda-particella anche ad altre particelle come atomi ed elettroni (Al-Khalili, 2013, 50-54). Tuttavia, un momento nevralgico fu sicuramente dovuto a Werner Heisenberg e alla formulazione del suo celebre principio di indeterminazione, per il quale non è possibile conoscere contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella elementare. Infatti quando si interviene nell’osservazione della particella per definirne la posizione, irrimediabilmente una minima quantità di energia (es. la luce per osservarla) ne modificherà la velocità, così quando si tenta di osservare la velocità, irrimediabilmente non è possibile conoscerne la posizione esatta. Ora, proprio il principio di indeterminazione di Heisenberg costituisce il momento di snodo della teoria quantistica, in quanto esso rimarca come fondamentale il ruolo dell’osservatore nei fenomeni microscopici e nella loro attualizzazione. Ne emerge così una teoria sconcertante:

[…] una descrizione fondamentale del movimento delle particelle in cui queste non sono descritte per mezzo della loro posizione a ogni momento, ma solo con la posizione in certi istanti: gli istanti in cui interagiscono con qualcos’altro. […] Gli elettroni non esistono sempre. Esistono solo quando interagiscono. Si materializzano in un luogo quando sbattono contro qualcosa d’altro. I “salti quantici” da un’orbita all’altra sono il loro solo modo di essere reali, un elettrone è un insieme di salti da un’interazione all’altra. Quando nessuno lo disturba, un elettrone non è in alcun luogo  (Rovelli 2014, 105).

Finalmente emerge il momento decisivo che discosta la teoria quantistica dalla fisica classica. Il modello newtoniano, retto da leggi ben definite di causa ed effetto, inizia a venire meno perché a livello microscopico si scopre che la necessità è soppiantata dal caso. Le particelle quantistiche esistono in una nuvola di possibilità indeterminata; esse, prima dell’atto dell’osservazione, non sono prevedibili nella loro quantità di moto, nella loro direzione, ma ciò che si può dire è solo una probabilità più o meno alta che la particella si trovi in un determinato punto, in un determinato momento. Potenzialità assoluta e indeterminismo sono le sentenze estreme della teoria quantistica e nulla è propriamente in actu sino a che non interviene un osservatore. Eppure, solo una constatazione, forse, salva la realtà e l’uomo dal caso: la mancanza di determinismo esiste su una scala piccolissima dei fenomeni naturali. Di fatto, nell’interazione del mondo microscopico con quello macroscopico, la decoerenza quantistica, ossia la nuvola di possibilità in cui imperversa la condizione della particella, scompare e si dissolve nel successivo contatto con il mondo macroscopico. In conclusione, il quinto momento di evoluzione della teoria è riferibile a Paul Dirac, per il quale la quantistica permette di fare due importanti considerazioni: 

La prima è calcolare quali valori possa prendere una variabile fisica. Questo si chiama “calcolo dello spettro di una variabile”, cattura la granularità nel fondo della natura delle cose, ed è estremamente generale: vale per qualunque variabile fisica. I valori calcolati sono quelli che una variabile può prendere in cui l’oggetto (atomo, campo elettromagnetico, molecola, pendolo, sasso, stella…) interagisce con qualcos’altro (relazionismo). La seconda cosa che la meccanica quantistica di Dirac permette di fare è calcolare la probabilità che l’oggetto manifesti questo o quel valore di una variabile, alla prossima interazione. Questo si chiama “calcolo di un’ampiezza di transizione”. Tale probabilità esprime la terza caratteristica chiave della teoria: l’indeterminismo, cioè il non dare predizioni univoche, bensì solo probabilistiche (Rovelli 2014, 108-109).

Nel chiudere questa breve ricostruzione, ci sono due importanti specificazioni da aggiungere:

  1. in relazione all’ultima citazione, Rovelli scrive in corsivo: (a) granularità, (b) relazionismo e (c) indeterminazione sono generativi di concetti filosofici, offerti dalla meccanica quantistica, e che vengono poi approfonditi nelle implicazioni da essi derivate, seppure le stesse implicazioni non subiscono una sotto-determinazione;
  2. l’approccio di Einstein alla teoria dei quanti, nelle successive e continue discussioni con Bohr, sarà sempre decostruttivo nei confronti dell’indeterminazione implicata dalla teoria quantistica. Questo perché da un lato Einstein è ancora fortemente legato al modello del determinismo classico e, dall’altro, perché secondo la sua visione, le derivazioni probabilistiche della teoria non sono assolute, ma momentanee e da ridefinire nel tempo, mediante successive ricerche e sperimentazioni che condurranno nuovamente la meccanica quantistica al paradigma deterministico. Dunque, secondo Einstein, che non era di certo un negazionista, la teoria quantistica non è da considerarsi errata, bensì ancora immatura o incompleta.

È chiaramente complesso riuscire a rendere onore alle vaste implicazioni filosofiche che la meccanica quantistica ha comportato come nuovo modello di descrizione della realtà fisica. Per citarne alcune si potrebbe pensare alle conseguenze relative all’ambito gnoseologico, quindi a riguardo della questione fondamentale di ogni teoria della conoscenza, ossia quella del rapporto soggetto-oggetto; nell’ambito ontologico, come, dal punto di vista dell’ontologia formale, la domanda sul “che cosa è” diviene ancora più problematica, sulla scorta dei nuovi apporti della teoria quantistica; come già si è accennato, la teoria ha anche avuto notevoli ripercussioni nell’ambito della filosofia della scienza, la cui riflessione è irrimediabilmente e comunque legata a quella di carattere gnoseologico; altre influenze le ha avute dal punto di vista della filosofia morale, laddove la diatriba determinismo-indeterminismo, viene facilmente riproposta come quella fra necessità-libertà, di fatti non mancano chiarimenti e diatribe che vanno a limitare il contesto semantico in cui utilizzare la parola “libertà”. Tuttavia, in maniera tacita e sostanziale, le questioni sollevate dalla meccanica quantistica riguardano essenzialmente l’essere umano, in particolare osservatore (soggetto conoscente), nel suo complesso apparato di relazioni con la realtà e la natura, funzionalmente alla variabilità dei modelli proposti fra la concezione classico-deterministica e quella moderno-probabilistica. Infatti, come scrive La Vergata parafrasando William James: «l’abbandono del determinismo metafisico, non comporta affatto un indebolimento della presa dell’uomo sul mondo, anzi dischiude nuove possibilità (imponendogli maggiori responsabilità esistenziali e morali) al soggetto conoscitivo e pratico» (Bondì e La Vergata, 2015, 73). Tutto ciò permette di riesumare la tematizzazione antropologico-filosofica, per ricontestualizzare l’essere umano nella nuova immagine offerta dell’universo e della realtà, sia in funzione del mondo microscopico (quantistica), sia del mondo megascopico (relatività), con successiva rivalutazione dello spazio meso-scopico, appunto intermedio, nel quale si colloca l’uomo. Da qui le necessità di discutere le eventuali influenze di due coppie di domini (i) micro-mega  e (ii) determinismo-indeterminismo.

Lo schema proposto vede l’essere umano collocato al centro di sfere di influenza diversificate, che permettono di intuire, seppure in maniera estremamente semplificata, la complessità di categorie del reale in cui l’uomo è immerso. Da una parte la relatività e quindi la fisica classica (A1), da cui deriva una concezione deterministica della natura (A2), scandita dal rigoroso rapporto causa-effetto. Dall’altra parte la meccanica quantistica (B1), la cui implicazione è una concezione indeterministica (B2) dei rapporti che regolamentano i fenomeni e gli eventi fisici. Lo scivolamento semantico che si verifica procede dal dominio dei fenomeni e delle scienze naturali a quello etico-pratico relativo all’agente morale, secondo discutibili regole di continuità, per cui l’indeterminismo naturale diviene sinonimo di “libero arbitrio” e sua potenziale giustificazione, mentre il determinismo si traduce in una concezione meccanicistica dell’agire umano. Discussione non di certo avviata con la meccanica quantistica, ma che ha dei forti antecedenti che si analizzeranno con i prossimi contributi, in particolare guardando alla “is-ought question” di humiana memoria. Nella vasta polivalenza tematica che apre la meccanica quantistica, bisogna considerare la relazionalità e quindi l’influenza dell’osservatore-uomo sul complesso dei fenomeni naturali e il rapporto sussistente fra determinismo e indeterminismo e le sue implicazioni nella sfera pratico-morale.

 

Riferimenti bibliografici

— Al-khalili, Jim. 2014. La fisica dei perplessi. L’incredibile mondo dei quanti. Torino: Bollati Boringhieri.
— Bondì, Roberto – La Vergata, Antonello. 2014. Natura. Bologna: Il Mulino.
Cappelletti, Valentina. 2001. Dall’ordine alla cose. Saggio su Werner Heisenberg. Milano: Jaca Book.
Kumar, Manjit. 2010. Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realtà. Milano: Mondadori.
Ortoli, Sven – Pharabod, Jean-Pierre. 2012. Metafisica quantistica. I nuovi misteri dello spazio e del tempo. Roma: Castelvecchio.
Rovelli, Carlo. 2014. La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose. Milano: Raffaello Cortina.
Sassi, Michela. 2014.  Anassagora e Democrito, in Eco – Fedriga, (a cura di). La filosofia e le sue storie. L’antichità e il medioevo. Roma-Bari: Laterza.

Alessandro Lattuada – Aldo Pisano

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Il parricidio necessario: fisica, filosofia ed epistemologia (22 dicembre 2024)

 

Foto di Artturi Jalli su Unsplash

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