Il parricidio necessario: fisica, filosofia ed epistemologia (I)

Questo articolo è frutto del lavoro congiunto di Aldo Pisano e Alessandro Lattuada, entrambi componenti della Redazione di Ritiri Filosofici. L’articolo è il primo di una serie di tre contributi che intendono prendere ad esame il rapporto tra filosofia e fisica seguendo le tracce del lavoro del fisico Carlo Rovelli.

La riflessione qui proposta tenta di esaminare i nessi e le concordanze esistenti fra la dialettica del pensiero scientifico, la sua evoluzione, e il pensiero inteso in senso strettamente filosofico, nell’attività critica di distruzione e costruzione di sistemi di certezze e dogmi. A partire dalle rivoluzioni attuate dalla fisica del Novecento e i cambi di paradigma da esso imposti (Kuhn 1962), l’analisi proposta investirà quattro ambiti: (a) epistemologia; (b) ontologia; (c) etica; (d) antropologia filosofica. A tale scopo, ci serviremo anche dell’attività divulgativa di Carlo Rovelli, da La rivoluzione di Anassimandro (2011) a Buchi Bianchi (2024).

Nel testo Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, Rovelli scrive: «La conoscenza nasce da un atto di ribellione, rispettoso ma profondo, contro il sapere del presente» (Rovelli 2011, 176). Partiremo da questa affermazione, per individuare il primo nesso tra fisica ed epistemologia, alla luce del cambio di paradigma indotto dalla scienza del ‘900. Il pregio maggiore dei grandi sistemi filosofici è quello di dedurre, a partire da un’ipotesi teorica non verificata, le necessarie conseguenze pratiche nella vita sociale dell’uomo. Si tratta cioè di costituire un ponte fra la realtà fisica ed il ruolo dell’uomo in essa. Il filosofo non “inventa” dal nulla teorie campate in aria che possono essere più o meno affascinanti, più o meno condivisibili, più o meno interessanti. Quest’idea genera il fraintendimento diffuso secondo cui la storia della filosofia sia costituita da bizzarri personaggi che, per il gusto di elucubrare, si allietano nel sostenere una tesi contraria a quella di chi li ha preceduti, considerando l’aspetto non cumulativo del sapere filosofico. Ma da un’altra prospettiva, si osserva che i grandi protagonisti del pensiero occidentale (Platone, Spinoza, Locke, Hobbes, Kant, Hegel, etc.) sono partiti da una condizione ontologica (cioè da una concezione di com’è la realtà in sé stessa) per dedurre razionalmente, logicamente quel che l’uomo dovrebbe essere (o è) rispetto a questa realtà. In altre parole, essi partono da un’ipotesi che potrebbe essere vera o falsa, verificabile o falsificabile, per giungere ad una conclusione necessariamente vera o comunque razionalmente verosimile. Per questo la filosofia è sempre posta in relazione con la cultura e la scienza della propria epoca. Aristotele ha sintetizzato probabilmente meglio di chiunque altro la “scientificità” della filosofia nella logica del sillogismo: essa è necessariamente vera, laddove le sue ipotesi di partenza abbiano una corrispondenza con la realtà.

Filosofia e fisica (in particolare la fisica teorica), pur intraprendendo percorsi apparentemente eterogenei, si incontrano e collaborano (consciamente o inconsciamente) su due aspetti: il rapporto fra teorizzazione e verificabilità delle ipotesi, la deduzione delle loro conseguenze. Al fine di comprendere la relazione tra le due discipline, occorre radicalizzare e amplificare le loro differenze, al fine di evidenziare maggiormente le loro specifiche peculiarità e ritrovare la loro unione alla fine del percorso. La fisica è orientata all’osservazione e verifica dei fenomeni della natura, senza considerazioni a priori relative alla sfera etica e alle possibili implicazioni. La filosofia si concentra meno sulla verificabilità delle sue ipotesi e più sulla deduzione logica delle conclusioni pratiche. Contrariamente a ciò che sostiene il senso comune, questo punto di vista sembra rendere la filosofia più pratica delle scienze – se per prassi si intende l’azione dell’uomo nella realtà e non l’osservazione scientifica dei fenomeni al fine di formulare equazioni matematiche in grado di sintetizzarne l’ordine. Ciò è valido concependo una separazione netta fra i due ambiti; ma, nel profondo, ogni grande scienziato ha in sé un filosofo e ogni grande filosofo ha in sé uno scienziato. La “pratica” della scienza consiste nel formalizzare i processi della realtà naturale; quella della filosofia nel dedurre il ruolo dell’uomo in tale realtà. Per questo motivo un grande filosofo, se vuole seguire il processo di verifica delle sue ipotesi, deve necessariamente dialogare con la scienza; e un grande scienziato, che si ricordi di essere anche un uomo inserito in un contesto storico-sociale, e non soltanto un semplice addetto all’osservazione della natura, dovrebbe dialogare con la filosofia. Non è un caso che autori come Hegel, Nietzsche, Bergson, Deleuze fossero in continua comunicazione con la scienza del loro tempo e che scienziati come Planck, Heisenberg, Einstein e Bohr fossero interessati alle conseguenze filosofiche degli sviluppi scientifici.

Fra epistemologia e ontologia
Dunque, l’idea di partenza è che la conoscenza è in continua evoluzione e che è sottoposta a un perenne processo di integrazione critica nel corso del tempo. Di certo, questa acquisizione può talvolta concretizzarsi in un’assimilazione progressiva di nuovi contenuti, o persino in una rottura radicale con la precedente concezione della realtà. Questo impone anzitutto di sottolineare la differenza fondamentale fra la presenza concreta della cosa nel reale in quanto tale (ontologia) e la rappresentazione della cosa, mediata dall’utilizzo di filtri conoscitivi propri dell’apparato intellettivo umano (epistemologia).

La sentenza di Rovelli va di fatto a rimestare il rapporto che sussiste fra le due, per rivendicare la funzione del pensiero critico e, quasi con urgenza, rammentare che l’utilizzo di un sistema assiomatico è esso stesso un prodotto storico-antropologico che può essere revisionato, anzi deve esserlo nel caso in cui occorrano nuove prove che mostrano e dimostrano la necessità del superamento del modello. Utilizziamo qui l’espressione ‘filtri antropici rimodellabili’ per intendere che una teoria o un sistema assiomatico, essendo esso stesso un prodotto epistemologico, può facilmente essere ridefinito o rimodellato – quello che nelle parole di Hawking è ‘realismo dipendente da modelli’: non esiste alcun concetto di realtà indipendente dalle descrizioni o dalle teorie. Adotteremo invece un punto di vista che chiameremo realismo dipendente dai modelli: l’idea, cioè, che una teoria fisica o descrizione del mondo è un modello (in genere di natura matematica) unito a un insieme di regole che connettono gli elementi del modello alle osservazioni. Ciò fornisce uno schema con cui interpretare la scienza moderna (Hawking, Molodinow 2010, 10).

Questo perché il procedimento epistemologico è fondamentalmente un procedimento antropologico, che si avvale di contingenze storiche oltre che di meccanismi trascendentali. Da una parte è bene notare, come ricorda Heisenberg, riprendendo Weizsäcker (Heisenberg 1968, 71), che le scienze naturali, come modelli di catalogazione, sono ultime nella linea di successione logica, e forse cronologica, che procede dalla Natura e, attraverso l’uomo, arriva alle scienze stesse:

Schema 1

 

Dall’altra, invece, bisogna considerare che l’idea della verità scientifica “assoluta”, intesa come qualcosa di inafferrabile, è sottoposta al diniego del senso comune, nonostante sia un’evidenza epistemologica; per questo si rende necessaria la formulazione di un relativismo “moderato” tale che da una parte renda conto della precarietà di ogni modello scientifico, ma dall’altra lo si assuma “come se” fosse il paradigma definitivo, poiché il bisogno di stabilità e certezze è antropologicamente primario (Luhmann, 2000; Popper 2005).

Utilizzando una metafora: l’idea è che l’uomo tende a risistemarsi nel cosmo, proprio come si fa generalmente a letto prima di addormentarsi. Prendendo in considerazione lo specifico caso in cui si sia cambiata abitazione e il letto risulti essere particolarmente scomodo, generalmente avviene che ci si dimeni nel letto con l’intento di adattarsi, per trovare la sistemazione più confacente.

Fuor di metafora, Popper descrive in maniera esemplare il rapporto tra epistemologia e ontologia nel testo La scienza, la filosofia e il senso comune utilizzando uno schema molto semplice che si propone qui:

Schema 2

Si consideri F il processo conoscitivo-epistemologico che comprende tutte le proposizioni false e V l’insieme delle proposizioni assolutamente vere che, per estensione, si possono associare all’ontologia del reale colto nella sua interezza. Secondo Popper, la conoscenza scientifica è un procedimento congetturale che mediante le proposizioni F si approssima infinitamente a V, senza mai raggiungerla completamente (Popper 2005, 36-37). Volendo utilizzare un’altra forma matematica attinente, si potrebbe dire che l’epistemologia è asintotica rispetto all’ontologia; ma questo fa convergere nuovamente l’attenzione sulla distinzione kantiana fenomeno-noumeno e quindi sull’impossibilità di una conoscenza della cosa in sé, la quale è invece accessibile solo ai processi di pensiero, quindi alla dialettica trascendentale, che è metafisica pura, quindi fuori dal campo proprio della conoscenza.

Per asintotica si intende quella funzione matematica che non tocca mai l’asse delle ordinate, o meglio, vi si approssima all’infinito.

Schema 3

In tale grafico, la verità/ontologia del reale in senso assoluto è rappresentata dall’asse delle ordinate che per comodità si chiamerà V, e sia C (conoscenza) la funzione asintotica rispetto all’asse V.

In questa evidenza, tipica di ogni filosofia della scienza, l’idea di un relativismo moderato rimette la questione sullo scarto esistente fra una conoscenza ingenua o del senso comune, che utilizza modelli funzionali “come se” fossero assoluti senza però ridurre veramente la complessità oggettiva (Luhmann 2000), e dall’altra una conoscenza critica che ha piena consapevolezza della precarietà del modello scientifico. Lo stesso Rudolf Carnap è molto esplicito riguardo il concetto di legge scientifica; di fatto, secondo lui, ogni legge non dice mai una verità assoluta, ma si nutre di successive verifiche e conferme, per cui basta un singolo controesempio perché la legge stessa venga meno (Carnap 1966, 36-37; Feynman 1993).

La doppia verità
In relazione a questo argomento, Heisenberg in Fisica e filosofia parla della “doppia verità”; secondo tale teoria, lo scienziato tende rapidamente ad acquisire nuove conoscenze scuotendo il suo sistema di certezze, rimodellandole continuamente e rompendo la staticità della tradizione – o di quella che il fisico tedesco chiama la “religione positiva”. Per questo la scienza è sapere esoterico, sotterraneo, non immediatamente rivelato e in perenne accrescimento, tanto che si chiede allo scienziato di aspettare un po’ di tempo prima di esprimere critica e dissenso, per far sì che la scoperta precedente si sedimenti nella collettività, prima di essere nuovamente decostituita (Heisenberg 1958, pp. 166-7). La scienza va oltre la mera percezione del senso comune e mostra ciò che nella quotidianità non è immediatamente evidente e, tramite l’utilizzo della filosofia e della divulgazione, tenta di riproporli e di presentarli rompendo la “familiarità” di luhmaniana memoria, così da inglobare sempre nuovi elementi posti dall’ambiente al sistema-certezze (Luhmann 2000, 27-33).

Ovviamente quest’affermazione nasce da una riflessione critica complessiva e argomentata che si evolve nel corso del testo, eppure essa possiede un certo grado di intuitività. Ora, la prospettiva di Rovelli e della Loop Quantum Gravity (LQG, che rientra nell’alveo delle teorie che mirano a combinare quantistica e relatività) è ben disposta verso questa consistente dichiarazione della filosofia della scienza, ponendo in dubbio ogni possibile ricerca di una ‘teoria del tutto’ (Hawking 1996; Barrow 1992) e anche per questo prende una direzione diversa rispetto alla teoria delle stringhe.

Complessivamente, si può affermare che l’evoluzione della scienza sia un continuum dinamico che vive dei momenti di staticità assiomatica, ma che presto o tardi vengono superati e ridefiniti secondo nuove strutture concettuali e scientifiche, secondo un procedimento che Kuhn descrive magistralmente.

È in effetti un processo simile a quello dell’evoluzione creatrice bergsoniana (Bergson 2007): il meccanismo dello slancio vitale può così essere applicato anche al paradigma scientifico, nonché al processo generale del pensiero in concomitanza a due fattori:

  1. Cristallizzazione di modelli determinati, come se fossero definitivi (Bergson 1998, 2007).
  2. Processo dinamico-evolutivo in latenza, atto a destituire ogni sistema assiomatico a rischio di fossilizzazione.

Quindi, ancora meglio si potrà intendere la locuzione ‘filtri antropici rimodellabili’, che pare una definizione in grado di racchiudere quanto detto: (a) la realtà è filtrata dal meccanismo rappresentativo (filtro); (b) questo filtro di cui si parla è ovviamente l’unico che si possa al momento conoscere in senso pieno, in quanto fa riferimento a specifiche facoltà intellettivo-razionali umane (antropici), poiché è difficile sapere quale sia il sistema di categorizzazione del cane, del moscerino o di qualsivoglia specie senziente: ciò costituisce un dato di fatto e non vuole essere una banale forma di antinaturalismo; (c) proprio perché il processo epistemologico è quello che permette una lettura mai definitiva, ma sempre in evoluzione della realtà fisica e, per estensione, della realtà in sé, allora essi saranno schemi di lettura che mutano e, tendenzialmente, si ampliano nel tempo storico (rimodellabili).

Il problema dell’antropomorfismo
Tuttavia, a detta di alcuni, quest’ultimo punto non è così chiaro; difatti, Max Plank, in Unità dell’immagine fisica del mondo, sostiene che la fisica sarebbe imbevuta di elementi antropomorfi e predominata dall’elemento fisiologico (Plank 1949). Per giungere ad una Fisica Esemplare, ad una scienza pura e formale, sarebbe perciò necessario emendarla da ogni elemento antropologico.

A questo proposito, scrive Koyré:

La scienza moderna abbatté le barriere che separavano cielo e terra unificando l’universo […] Ma essa realizzò tale unificazione sostituendo al nostro mondo delle qualità e delle percezioni sensibili, il mondo che è il teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità della geometria reificata, nel quale, sebbene vi sia posto per ogni cosa, non vi è posto per l’uomo (Koyré 1965).

Tuttavia, come ormai è noto, l’elemento fisiologico è imprescindibile dall’indagine fisica che poggia sulla necessità di acquisire dati empirici da formulare successivamente tramite induzione; mentre infatti la matematica e la logica rimangono indipendenti dal mondo, mercé la loro sintomatica astrazione, la fisica invece è strettamente legata al processo storico-evolutivo (Carnap 1966).

In riferimento a questa argomentazione, Rovelli vede l’inizio della rivoluzione scientifica proprio con Anassimandro (Rovelli 2011), il quale, rompendo con gli schemi precedenti si accorge che non esistono “sotto” o “sopra” assoluti – che non esistono, cioè “luoghi naturali” – ma che vi è una sostanziale relatività di queste idee che quindi non sono assolute o aprioristiche.

Figura 1 (Rovelli 2011, 3)

Con l’idea che la terra galleggia nello spazio e che non ci siano posizioni assolute, secondo Rovelli, «Anassimandro compie la prima rivoluzione cosmologica» (Ivi, 11) e continuando su questa argomentazione scrive:

«Ma nella scienza il difficile non è avere idee, ma farle funzionare. Trovare il modo di comporle e articolarle in un tutto coerente con il resto del nostro sapere sul mondo, e convincere gli altri della ragionevolezza di tutta l’operazione. La difficoltà è avere il coraggio e l’intelligenza di concepire e articolare un’intera immagine del mondo nuova e coerente.
[…] La grandezza di Anassimandro è che a partire da così poco e per meglio rendere conto delle osservazioni, egli ridisegna l’universo. Cambia la grammatica della comprensione dell’universo. Cambia la struttura stessa dello spazio. Per secoli e secoli lo spazio è stato compreso dagli uomini come intrinsecamente strutturato in una direzione privilegiata verso la quale le cose cadono. No, dice Anassimandro, il mondo non è come ci appare. Il mondo è diverso da come ci appare. Il nostro punto di vista sul mondo è limitato dalla piccolezza della nostra esperienza. L’osservazione e la ragione ci fanno capire che abbiamo pregiudizi sbagliati su come funziona il mondo. Lo spazio non ha una direzione privilegiata verso la quale le cose cadono: per la Terra nel suo insieme, tutte le direzioni sono eguali. Alto e basso sono relativi alla Terra» (Rovelli 2010, 57-58).

Questo passo serve ancora una volta a proporre il rapporto fra senso comune e scoperte scientifiche, tra familiarità del mondo e necessità di ampliamento delle vedute, così da mettere in discussione la percezione ordinaria della realtà.

Non a caso il lemma che ricorre maggiormente nel testo di Rovelli è quello di ‘ribellione’; il grande salto di Anassimandro consiste nell’insubordinazione nei confronti del maestro Talete, nel tentativo di superarlo; così sarà anche per Einstein nei confronti di Newton: il progresso del sapere umano ha sempre inizio con un atto di ribellione – o, si potrebbe anche dire, con un parricidio.

Ora, la fisica contemporanea inizia con la ribellione di Einstein al paradigma precedente e la conseguente formulazione di un nuovo modello di universo, che ha determinato il crollo degli assiomi di ogni scienza naturale, come quelli inerenti ai concetti di spazio, tempo e simultaneità. Lo sono a livello scientifico, ma devono essere innestati anche nel senso comune; e questa è l’operazione più ardua.

In questo senso negli ultimi anni, il tentativo di Carlo Rovelli è stato proprio quello di utilizzare la divulgazione per trasmettere e far conoscere contenuti ormai collaudati, o addirittura obsoleti per la scienza, ma che non hanno ancora attecchito nella vita quotidiana. Eppure essi sono fondamentali, tenendo conto del compito che oggi la scienza si assume, come quello della gravità quantistica: contare «i granelli di spazio di cui è formato il cosmo» (Rovelli 2014, 206). Un cosmo in cui l’uomo è immerso, che lo affascina, lo stupisce e che man mano, contraddittoriamente, lo disorienta in maniera sempre più vertiginosa.

Alessandro Lattuada

Aldo Pisano

 

Riferimenti bibliografici

  • Barrow, John D. 1992. Teorie del tutto. La ricerca della spiegazione ultima. Milano: Adelphi.
  • Bergson Henri. 1998. Le due fonti della morale e della religione. Roma-Bari. Laterza.
  • Bergson, Henri. 2012. L’evoluzione creatrice. Milano: BUR.
  • Carnap, Rudolf. 1971. I fondamenti filosofici della fisica. Introduzione alla filosofia della scienza. Milano: Il Saggiatore.
  • Feynman, Richard. 1998. La legge fisica. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Hawking, Stephen. 2015b. La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo. Milano: BUR.
  • Hawking, Stephen, Mlodinow Leonard. 2015a. Il grande disegno. Milano: Mondadori.
  • Heisenberg, Werner K. 1982. Fisica e filosofia. Milano: Il Saggitore.
  • Kant, Immanuel. 2010. Critca della ragion pura. Roma-Bari: Laterza.
  • Luhmann, Niklas. 2000. Fiducia. Bologna: Il Mulino.
  • Koyré, Alexandre. 1972. Studi newtoniani. Torino: Einaudi.
  • Planck, Max. 1949. L’unità dell’immagine fisica del mondo, in La conoscenza del mondo fisico. Torino: Einaudi.
  • Popper, Karl. 2005. La scienza, la filosofia e il senso comune. Roma: Armando editore.
  • Rovelli Carlo. 2011. Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro. Milano: Mondadori.
  • Rovelli Carlo. 2014. La realtà non è come ci appare. Milano: Raffaello Cortina.
  • Rovelli Carlo. 2015. 7 brevi lezioni di Fisica. Milano: Adelphi.
  • Rovelli Carlo. 2017. L’ordine del tempo. Milano: Adelphi.
  • Rovelli Carlo. 2021. Helgoland. Milano: Adelphi.
  • Rovelli Carlo. 2023. Buchi Bianchi. Milano: Adelphi.

Foto di Nikita Palenov su Unsplash

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