Durante la sua giovinezza, Nietzsche si è interrogato più volte sulla natura e sul significato storico di Socrate che, col suo passaggio, ha modificato in maniera irreversibile l’intera storia del pensiero umano; e a ben vedere quanto compare in proposito all’interno de La nascita della tragedia nel 1872 non è che la conclusione di un percorso cominciato già diversi anni prima. Come dimostrano i frammenti contenuti nei manoscritti risalenti all’autunno del 1869 e la conferenza tenuta nel febbraio del 1870 a Basilea dal titolo Socrate e la tragedia, infatti, già da tempo Socrate era oggetto degli studi filologici nietzscheani, le cui conclusioni ne stravolgeranno completamente l’immagine tradizionale.
La contraddizione nel primo Severino
Una delle riflessioni filosofiche contemporanee più dibattute, per lo meno all’interno del panorama italiano, è quella di Emanuele Severino, secondo il quale l’intera tradizione metafisico-morale del pensiero occidentale è preda di una follia originaria. Nella sua interezza la critica severiniana mira al fondamento stesso della filosofia intesa come radicale riflessione intorno al principio dell’Essere. Ad un primo approccio la questione potrebbe apparire semplice: la follia dell’Occidente consiste nel riconoscimento del divenire quale evidenza incontrovertibile della realtà. Severino sostiene che l’affermazione della natura diveniente delle cose porta con sé tutta una serie di conseguenze – riassumibili nella concessione di uno statuto ontologico al non essere – che minano la possibilità stessa di giungere alla conoscenza della Verità. Tuttavia l’argomentazione non tarda a rivelare una complessità di fondo tale da rendere indispensabile un confronto più preciso e approfondito. Continue Reading
Europa e Cina sotto le lenti dei filosofi di ieri e di oggi
Odi et amo. È forse questa l’espressione che meglio di tutte riesce a cogliere la natura del rapporto tra Occidente e Oriente, per lo meno per come lo si percepisce da Occidente. Tutto, e il suo contrario, contemporaneamente. Come nella dottrina dei contrari di Eraclito, questi due momenti del mondo vivono una perenne contrapposizione – ieri più geografica e culturale, oggi economica e politica – all’interno della quale però, in sporadici punti di contatto, hanno saputo scoprirsi molto più simili di quanto non potesse sembrare.
Fra le tante voci che hanno contribuito ad approfondire questo guardarsi da lontano – spesso troppo lontano – una delle più autorevoli è senz’altro quella di Eugenio Garin, celebre storico della filosofia che nel 1975, con il suo saggio Alla scoperta del “diverso”: i selvaggi americani e i saggi cinesi, contenuto nella raccolta Rinascite e rivoluzioni, s’interrogava sul ruolo giocato dalla Cina nell’evoluzione della civiltà europea nell’età moderna.
Dopo di lui, un altro studioso che più si è prodigato affinché tali punti di convergenza potessero emergere e rendersi visibili a beneficio di entrambe le parti è Filippo Mignini. Docente universitario presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, Mignini è stato anche direttore dell’Istituto Matteo Ricci per le relazioni con l’Oriente. Nel suo Europa e Cina, uscito durante il turbolento 2020, Mignini tenta di ricostruire le tappe fondamentali del percorso di assimilazione del pensiero orientale dall’Europa illuminista, per farne il punto di partenza di una speculazione che allunga il suo sguardo fino al futuro prossimo.
Due voci che partendo da punti diversi, cercano di accorciare le distanze, per lo meno dal punto di vista mentale, fra due mondi che proprio nel dialogo basato sulle reciproche differenze potrebbero trovare la chiave per un nuovo mondo. Continue Reading
Aspettando il tramonto della libertà
La questione della libertà umana costituisce uno degli argomenti più problematici della riflessione filosofica. Il pensiero di Emanuele Severino, che proprio rispetto a tale questione ha scritto molto sia in Studi di filosofia della prassi che in Destino della necessità, ha offerto un prezioso contributo alla concettualizzazione stessa della libertà e alla comprensione di quale ruolo essa possa occupare nella sua ontologia. Continue Reading
L’immortalità dell’anima origine della filosofia
È difficile, per un amante della conoscenza, resistere al fascino dell’Antica Grecia, alle suggestioni legate a quella civiltà che, dando alla luce la filosofia, ha aperto le porte alla razionalità e all’utilizzo sistematico del pensiero. Ma quali sono state le condizioni che hanno favorito l’emersione di un fenomeno tanto straordinario e decisivo per la storia dell’Occidente? Cosa c’era nella civiltà greca prima del pensiero filosofico e qual è il suo rapporto con quest’ultimo? Uno dei tentativi di risposta in assoluto più interessanti a simili quesiti, è quello contenuto in Psiche. Culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci del filologo tedesco Erwin Rohde, che tra il 1890 e il 1894, calcando l’intuizione dell’amico di giovinezza Friedrich Nietzsche, gettò una nuova luce sulla cultura greca degli albori. Con La nascita della tragedia (1872) infatti, Nietzsche aveva letteralmente sconvolto il mondo filologico europeo del tempo (impietoso fu l’attacco che gli rivolse Wilamowitz), incalzando l’immagine tradizionale di una società votata alla serena e solare compostezza propria della religione olimpica, svelò l’esistenza di una sua dimensione“notturna”, profondamente passionale e irrazionale: lo spirito dionisiaco. Scuotendo la civiltà greca fin nelle sue fondamenta, questa esperienza riuscì ad aprire una breccia nel muro che lo spirito apollineo (il baluardo difensivo del kosmos olimpico dall’infuriare del kaos originario e dalla sua istintualità) aveva eretto fra l’uomo e la divinità, così da riportare nella sfera umana quell’immortalità che aveva perso con la fine delle fedi arcaiche e che renderà indispensabile la nascita della filosofia per trovare un nuovo fondamento capace di resistere ad ogni secolarizzazione.
Nietzsche, o dell’amor fati
L’impatto generato dalla riflessione sul concetto di Postumano moderno elaborato da Leonardo Caffo e su cui ci siamo soffermati la scorsa settimana, è di straordinario interesse. Il superamento dell’antropocentrismo in direzione di un recupero della dimensione ontica (per dirlo con le parole di Heidegger), per risalire cioè alla primigenia condizione dell’essere enti o momenti all’interno di un Essere infinito che ci contiene e ci sovrasta, è uno spunto che apre interrogativi molto interessanti. Riscoprirsi parti del Tutto potrebbe svolgere una funzione fondamentale per affrontare sfide contemporanee come il cambiamento climatico o i flussi migratori. A ben vedere però, questo andare avanti, questo volersi muovere oltre l’uomo in direzione di una riscoperta della comunità, è un andare avanti e insieme un tornare indietro. È un rinunciare all’anelito, a quell’istinto di prevaricazione che nella volontà d’accrescimento individuale ha colto uno dei momenti di maggiore bellezza dell’esperienza umana. L’uomo è innegabilmente parte del Tutto, l’uomo è innegabilmente un ente al pari di tutti gli altri, eppure, allo stesso tempo l’uomo è qualcosa di diverso. Esso è monade, esso è per certi versi la personificazione di quel principium individuationis che tanti dibattiti ha generato all’interno della riflessione filosofica. Per questo pensare ad uno scenario di regressione dal piano individuale, pur nel suo fascino, ci spinge a una certa diffidenza, perché già sembra di sentir riecheggiare il monito di Zarathustra: «Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare!» (Nietzsche 1968, 11). Sin da allora, infatti, l’esigenza di un superamento dell’umanità è rimasta viva, così come la tensione verso una dimensione superiore che per Nietzsche – a differenza di Caffo e Deleuze – proprio non può prescindere dalla dimensione “superiore” dell’individuo. Non solo, proprio nella vita comunitaria e soprattutto nella sua stratificazione egli coglie il momento di massimo annichilimento di questo sentire. Continue Reading
Educazione come esercizio al dominio
Per chiunque abbia ancora qualcosa da decidere nella propria vita, l’incontro con Nietzsche si rivela spesso un punto di svolta. L’acutezza della sua capacità critica, la forza dirompente delle sue intuizioni, il superuomo: ogni suo pensiero è il tassello di un mosaico geniale in cui il centro sembra essere ovunque e in nessun luogo, ma che solo ai rari in grado di ammirarlo nella sua interezza svelerà i propri segreti. Ha giocato molto con la portata evocatrice degli enigmi Nietzsche, perfettamente in linea con quel mondo presocratico tanto a lungo studiato nella sua giovinezza da filologo. C’è una cosa però, rispetto alla quale è sempre stato fin troppo chiaro: solo il solutore di enigmi possiede la forza per dominare se stesso e di riflesso essere una guida per tutti “i temerari della ricerca” in cammino lungo il percorso per diventare se stessi. È questa l’essenza di ogni educazione ma, per comprendere a pieno la sua reale portata semantica, risulta imprescindibile addentrarsi in quella che fu l’esperienza educativa di Nietzsche in prima persona, il suo incipit filosofico. Eccoci dunque di fronte alle pagine della Terza inattuale, pubblicata nel 1874 con il titolo Schopenhauer come educatore, una delle più forti legittimazioni del valore pedagogico intrinseco al contatto con quegli individui superiori, tanto preziosi quanto rari. Continue Reading
Appunti per il dopo Nietzsche
Per fare un bilancio di un’amicizia intellettuale durata tutta una vita, Giorgio Colli in Dopo Nietzsche (Colli 1979), mette in campo tutta la saggezza dell’indagatore della verità. Nella sua proposta di un Nietzsche come voce incompresa dell’approccio misterico alla conoscenza emerge quell’ammissione dei limiti della ragione, propria di chi ha visto l’opacità delle sfumature del mondo e ne è rimasto affascinato. Ammissione che tuttavia è anche l’esaltazione dell’attimo fulmineo in cui l’intuizione si apre un varco, per affacciarsi su «quello che precede la nostra vita, che sta al di là della nostra vita» (Colli 1979, 68). Da dove trarrebbe origine il ragionare filosoficamente, “il tessuto dai molteplici nodi del logos”, se non dal tentativo di disinnescare l’emergere dell’enigma (il prόblema, “l’ostacolo che getta in avanti”) oracolare, che nel suo accennare la via della conoscenza, illumina parimenti la natura inesorabile del destino?
Aspettando il superuomo
Era il lontano 1885 quando Nietzsche concluse la sua opera più importante, il Così parlò Zarathustra, con queste parole:
Orsù! Il leone è venuto, i miei figli sono vicini, Zarathustra si è maturato, la mia ora è venuta: – Questo è il mio mattino, la mia giornata comincia: su, vieni su, grande meriggio! (Nietzsche 2010, 382)
Il suo appello alla nascita del superuomo aveva raggiunto la sua formulazione più completa, dopo la “dinamite” e la “filosofia con il martello” dei primordi che gli avevano permesso di aprirsi un varco nell’affollato campo della filosofia; finalmente il suo pensiero, la sua creatura, era maturo. Egli stesso era persuaso che se non tutta l’umanità, almeno alcuni eletti al suo interno, seguendo le orme del suo viaggiare sarebbero riusciti ad oltrepassarsi e dare vita ad un essere nuovo, un essere moralmente superiore: il superuomo.
Una luce che brilla in luogo oscuro: Adriaan Koerbagh
Molti sono i nodi ancora da sciogliere intorno a Adriaan Koerbagh, soprattutto per il suo rapporto con la filosofia dell’amico Spinoza. Nonostante i numerosi punti di contatto infatti, la riflessione koerbaghiana assume una piega più estrema rispetto a quella spinoziana e, sebbene possa indurci a considerarlo come un deciso anticipatore di quell’illuminismo la cui paternità è forse troppo superficialmente attribuita in massima parte a Cartesio e Bacone, lascia ampio spazio alle critiche, soprattutto per le derive politiche implicate. Continue Reading