Le aporie della negazione nella Struttura originaria di Severino (II)

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Alterità e negazione: ripresa tematica
Per cercare di comprendere meglio il concetto di “negazione” e il suo legame con il concetto di “differenza”, così come tali concetti si presentano nel primo Capitolo de La struttura originaria di Emanuele Severino (Adelphi, Milano 1981), ci pare opportuno tornare a quanto eravamo andati dicendo nell’articolo pubblicato domenica 8 marzo. L’approfondimento di tali concetti ci consentirà di tematizzare adeguatamente l’innegabilità del fondamento, della quale ci occuperemo nel prossimo articolo.

Severino, per lo meno inizialmente, non parla espressamente della negazione, ma dell’alterità. Poiché a livello formale l’altro dal fondamento è momento del fondamento, egli dice, ciò rende possibile «la relazione tra il fondamento e l’altro». In tal modo, si giustifica l’articolazione intrinseca del fondamento, cioè la relazione (che postula sempre la differenza) come interna al fondamento, che dovrebbe accompagnarsi, negli intendimenti di Severino, con la sua immediatezza, che dipenderebbe dal fatto che l’altro è interno ad esso.

Se non che, Severino va avanti con il suo discorso e così scrive: «Ciò in cui il fondamento non si trova immediatamente può essere di due tipi differenti, a seconda che esso sia immediatamente presente come negazione del fondamento, oppure che la negazione da esso implicata non sia un’immediatezza, ma sia soltanto come progettata, o come negazione possibile. L’originario toglimento dell’altro ha in questi due casi un diverso valore. Per il primo tipo di alterità, l’affermazione che l’altro è «ciò di cui non si vede immediatamente la coincidenza col fondamento» […] è scorretta, in quanto, in questo caso, si vede immediatamente la relazione di esclusione reciproca tra l’altro e il fondamento. Quell’affermazione è invece corretta in quanto viene riferita al secondo tipo di alterità» (pp. 140-141).

Se l’altro dal fondamento è la negazione del fondamento ed è anche ciò in cui il fondamento non si trova, e per questa ragione il fondamento «lo allontana e lo respinge immediatamente fuori di sé», si potrebbe ipotizzare che questo altro esterno sia l’altro interno al fondamento in quanto espulso all’esterno dal fondamento stesso. Poiché parlare di alterità è, in qualche modo, parlare di negazione, anche la negazione potrebbe venire pensata come interna al fondamento e poi allontanata e posta come esterna.

Ebbene, questa interpretazione avvalorerebbe l’ipotesi di due forme di negazione che noi abbiamo in precedenza sostenuta: la forma interna e la forma esterna. Di tale duplicità di forme Severino, tuttavia, non parla espressamente e, pertanto, possono soltanto venire ipotizzate, appunto sulla base del discorso che egli svolge sull’alterità e, dunque sulla differenza.

Il tema della differenza
Il tema della differenza è centrale: essa è innegabilmente richiesta. Si può parlare di «struttura originaria», infatti, solo a condizione di postularla. Del resto, l’unità di un molteplice, se espressa nella forma più semplice ed essenziale, è proprio la relazione, intesa appunto come costrutto. La relazione si pone perché i termini sono due e, dunque, perché l’uno è diverso dall’altro.

Dire che l’uno è diverso dall’altro equivale a dire che l’uno non è l’altro, in modo tale che la negazione è necessariamente implicata dalla differenza. L’intrinseco legame che sussiste tra differenza e negazione viene così espresso da Severino, allorché egli parla della negazione che investe il fondamento: «Orbene, questa negazione non è un’astratta universalità, ma è il sistema concreto delle negazioni possibili. E questo sistema è appunto la storia possibile del fondamento – il termine “storia” includendo nel suo significato, come si diceva, il prodursi della differenza, e perciò della negazione. Poiché il fondamento è tale solo in quanto implica come tolta la propria negazione, questo sistema di negazioni è dunque essenziale al fondamento» (p. 112).

La prima considerazione che il passo ci suggerisce è questa: tanto l’alterità quanto la differenza implicano necessariamente la negazione. Anzi, dire differenza è dire negazione: l’un termine, infatti, non è l’altro. Se non che, Severino sostiene l’«originarietà della relazione», non solo quando intende il fondamento come «struttura originaria», ma anche quando afferma che «Negare l’irrelatività significa intendere la relazione come originaria» (p. 223) e quando afferma che «Il distinto infatti è proprio ciò che è cooriginario all’altro distinto, onde gli conviene immediatamente» (p. 207).

Ora, poiché la relazione è in sé differenza (tra i termini che costituiscono la relazione) e poiché la differenza è negazione (l’un termine non è l’altro), come potrà la relazione essere originaria? La negazione, per lo meno la negazione come la intende Severino e cioè la negazione formale, è tale solo se si esercita su qualcosa, così che non potrà mai valere come originaria, dovendo presupporre il negato. Se non è originaria la negazione, come può essere originaria la differenza e come può essere originaria la relazione, che sulla differenza poggia?
Del resto, anche se si volesse parlare dell’originarietà dei distinti, che è altro modo per affermare l’originarietà della relazione, come non avvedersi che l’uno si pone perché si pone l’altro (la loro «convenienza» è «necessaria»)? In tal modo, però, l’uno non solo è cooriginario all’altro, ma anche ad esso coessenziale, e ciò significa che l’uno trova nell’altro la propria essenza: l’uno è in sé l’altro, dunque è il proprio essere sé stesso negandosi.

Anche per questa via, si perviene non all’originarietà della differenza, dunque della relazione, ma al venir meno originariamente e della differenza e della relazione.

Le funzioni della negazione
Affrontato il tema del rapporto che sussiste tra differenza e negazione, torniamo alla tema della funzione svolta dalla negazione in ordine al fondamento. La negazione viene richiesta, e richiesta innegabilmente, dalla struttura originaria, affinché si costituisca l’articolazione di quell’immediato che è il fondamento, l’originario. Nel precedente articolo abbiamo discusso la problematicità tanto di una negazione intrinseca al fondamento quanto di una negazione estrinseca ad esso.

Ora vogliamo riflettere sull’altra funzione messa in luce da Severino: la negazione è essenziale al costituirsi del fondamento perché esso risulta veramente tale solo se è in grado di togliere la sua negazione: «il contenuto posto è il fondamento appunto in quanto mostra (= è posta) la sua capacità di togliere assolutamente la sua negazione; o che si può affermare che quel contenuto è il fondamento solo in quanto quella capacità è posta» (p. 111).

Ciò significa che, per Severino, la negazione del fondamento è essenziale al suo costituirsi come fondamento non soltanto perché ne costituisce un momento essenziale, ma anche perché consente di far emergere l’innegabilità del fondamento stesso: «se invece tale capacità non è posta – e ciò deve accadere nel caso in cui il fondamento sia posto senza che sia posta la sua negazione – allora non solo quel contenuto non si mostra come fondamento, ma non lo è nemmeno» (Ibidem).

Egli deve contemplare questa possibilità perché deve indicare in cosa consiste l’astrattezza del fondamento: il fondamento è astratto in quanto separato dalla negazione.

Ci domandiamo: se il fondamento è posto indipendentemente dalla negazione, è astratto oppure non è posto affatto? A nostro giudizio, senza la negazione non si configura una posizione, la quale non può non essere determinata, dunque fatta essere dalla negazione. Di contro, Severino assume il fondamento senza la negazione come «momento astratto del fondamento, l’intero o il concreto del fondamento essendo appunto la relazione posizionale tra questo momento e la sua negazione» (pp. 111-112).

La negazione, quindi, non solo lascia emergere l’innegabilità del fondamento, ma anche la sua concretezza, che è data dalla relazione che sussiste tra il fondamento, assunto a prescindere dalla relazione, e cioè posto come «momento astratto», e la negazione stessa.

Se non che, ciò che vorremmo sottolineare con forza è questo punto: a noi sembra che la funzione svolta dalla negazione non sia soltanto legata all’emergenza dell’innegabilità e della concretezza del fondamento, ma anche della sua determinatezza. Se, infatti, non si ponesse la negazione, non si porrebbe né la determinatezza ab extra del fondamento, ossia ciò che lo distingue da altro da esso, e che è il nulla – stante che ogni altra determinazione è inclusa in esso –, né la determinatezza ab intra, che lo identifica nella complessità suddetta.

La prima forma di complessità, va quindi ribadito, è quella descritta dalla relazione che sussiste tra il fondamento e la sua negazione. Ma a questa forma di complessità fa poi seguito quella rappresentata dagli «elementi della struttura del fondamento» (p. 108), tra i quali Severino individua, inizialmente, il binomio di origine aristotelica costituito dal «principio di non contraddizione» e dalla «conoscenza immediata». Per poi aggiungere: «Ma gli elementi non sono che i momenti astratti del fondamento» (Ibidem).

Ebbene, come si ottengono tali elementi? La risposta non può che essere la seguente: in forza dell’analisi, che è l’attività dello scomporre, del dividere, dunque del distinguere. E la distinzione non può non implicare la differenza, dunque la negazione.

Ci chiediamo: per quale ragione Severino non spende una parola sulla funzione determinante svolta dalla negazione, ossia sul ruolo che essa ha nel determinare il principio? A noi pare di poter rispondere dicendo che a suo giudizio la negazione deve essere bensì considerata come essenziale al fondamento (principio), ma come «tolta» in esso: «Poiché il fondamento è tale solo in quanto implica come tolta la propria negazione, questo sistema di negazioni è dunque essenziale al fondamento» (p. 112).

Egli, insomma, da un lato dice che la negazione è essenziale al costituirsi del fondamento, ma poi fa riferimento soltanto a quella negazione che pretenderebbe di negarlo come fondamento e non fa valere in alcun modo quella negazione che è la condizione del suo porsi determinato.

 

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Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

7 Comments

  1. L’informatica. Ho scritto in origine: Ma si argomenta così (?): non si determina il significato dei termini [ad esempio: ‘originario’, ‘fondamento’, ‘negazione’, ‘porsi’, ‘condizione’], e si vorrebbe che avesse senso questa proposizione: la negazione (?) e il porsi (=?) determinato del fondamento (?) (scritti tra minore ”) (?) La discussione sul significato dei termini della teoresi di Severino, si traspone pari pari nella discussione sul significato della teoresi di chi vorrebbe rilevare l’erroneità della teroesi di Severino. Questo è l’ABC della teoresi; ogni teoresi è riferita ad uno schema concettuale, traducibile nello schema concettuale di un’altra teoresi. Si vorrebbe forse che esistesse LA Teoresi, come LA Verità Assoluta?

  2. “se A non è diverso da B allora B appartiene all’insieme che aggrega tutti gli A” – scrive DINO GRUPPUSO.

    Chiederei quanto segue.
    Se, per usare una formulazione severiniana, A è “identico al suo essere insieme a B” e viceversa, ciò vuol dire, mi pare, detta in modo meno farraginoso: a è “A-con-B”, A è “A-e-B”, più semplicemente ancora A è “A-B”.

    Bene, ma anche B è “B-A”.

    Ora, non v’è chi non veda che “A-B” e “B-A” sono precisamente la MEDESIMA COSA.

    Ergo, A (cioè “A-B”) e B (cioè “B-A”) sono UN MEDESIMO.
    Ma, allora, e di nuovo, non v’è ragione – perché sarebbe contraddittorio – di distinguere tale medesimo (uno) in A e B (due)!

    E va sottolineato che contraddittoria non è, allora, la “separazione” di A e B (l’isolamento dei distinti inseparabili, la loro “astrazione” dal vincolo essenziale che li lega), ma contraddittorii sono proprio A e B (i distinti) come tali!

  3. Senonché, poiché la negazione – che opera precisamente della determinazione dei distinti, dei de-terminati (onde A è tale *non* essendo B, e viceversa) – è e permane una (infatti, “determinare la negazione” implicherebbe di dover “negare la negazione”, contraddittoriamente).

    Ma, allora, a quanto pare, risulta del tutto inintelligibile come l’atto di determinare-negando (appunto, la negazione come atto che è UNO e non può venire determinato) – che si esemplifica appunto nella figura del “limite” – risulta inintelligibile come e perché tale atto si distinguerebbe (dividerebbe, moltiplicherebbe) nei DUE termini (nei distinti, nei de-terminati: appunto in A e B).

    In altre parole, se la posizione (la com-posizione di A e B: non si pone l’uno senza porre l’altro, che gli è coessenziale, sicché essi sono una medesima essenza condivisa) è UNA, perché i ‘posita’ (i determinati cioè i distinti) sono DUE cioè NON-UNO?
    Si avrebbe un UNO che sarebbe parimenti NON-UNO (un intero intrinsecamente distinto).

    Risulta – se pensata – contraddittoria, quindi non intelligibile, proprio la cosa più “ovvia”: che i distinti “siano”, che essi siano le determinazioni “dell’essere”.
    Se non è intelligibile, allora è falso (ovvero meramente presupposto) che l’atto (uno, il porre) di franga nei fatti (due, i positia) cioè che si determini, moltiplicandosi negli enti.

    Se, pertanto, “posizione” vuol dire “essere”, allora l’essere risolve interamente in sé i distinti (cioè gli enti, le determinazioni), non viceversa!
    Ed “eterno” (assoluto, innegabile) è solo l’essere, non gli enti.

  4. Tuttavia, anche ammettendo che è indeterminabile cosa rende una cosa sé stessa, bisognerà stabilire se la cosa è o non è determinata. Se non è determinata, allora si dovrà riconoscere che emerge oltre l’ordine delle determinazioni, dunque l’ordine del linguaggio. Di contro, se è determinata, allora è de-limitata, cioè circoscritta da un limite. E, poiché il limite è tale in quanto dotato di due facce, una che guarda verso ciò che è determinato e una che guarda verso ciò che lo determina, si dovrà riconoscere, allora, che, se A è il determinato, allora non-A, costituisce la sua condizione determinante. In questo senso, l’identità è intrinsecamente vincolata alla differenza e acquista senso l’affermazione spinoziana, ripresa tra gli altri da Hegel, per la quale omnis determinatio est negatio. In questo senso, entra in gioco la negazione.

  5. “Dire che l’uno è diverso dall’altro equivale a dire che l’uno non è l’altro, in modo tale che la negazione è necessariamente implicata dalla differenza”. Questo è falso.
    Infatti se A diverso da B implica che nessun B appartiene all’aggregazione degli A allora dovrebbe essere anche che
    se A non è diverso da B allora B appartiene all’insieme che aggrega tutti gli A
    Ma questo è falso. Infatti non esiste nessuna costrizione che imponga che A divenga B al momento in cui non sia possibile determinarne la differenza.
    Ancora più l’affermazione “l’uno non è l’altro” e il suo inverso “l’uno è l’altro” introducono un concetto privo di qualsiasi giustificazione logica, essendo indeterminabile cosa rende qualcosa se stessa.

    1. Esiste di certo una costrizione che impone che A divenga B al momento in cui non sia possibile determinarne la differenza, ed è il celebre principio dell’identità degli indiscernibili, ovvero la cosiddetta “legge di Leibniz”. La validità del principio può certo essere discussa, ma sicuramente non la si può negare a priori, dato che tra l’altro costituisce la base principale dei tentativi di determinare dei criteri di identità generali dell’oggetto.

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