Traccia e contraddizione
Riprendiamo dal passo di Severino con cui concludevamo la prima parte del nostro articolo: “Essendo in relazione agli altri essenti, un essente include una traccia, cioè un aspetto finito di ogni altro essente; e la include come traccia dell’altro, appunto perché, se la includesse semplicemente come parte di sé stesso, tale essente non sarebbe in relazione all’altro. La traccia è sì parte dell’essente, ma, appunto, come traccia dell’altro” (Severino 2010, pp. 225-226).
La traccia, come emerge da questo passo, è contenuta in un essente, quindi è parte di esso, ma è quella “parte di sé” che rinvia ad altro da sé. Essa, pertanto, è un segno, il cui essere si risolve nell’inviare a ciò di cui è segno. Per esemplificare: secondo Severino, in “A” v’è una parte di “A” che deve venire considerata come un segno che rinvia a “non-A”.
Tra tutti i segni, non di meno, Severino sceglie la «traccia»: proviamo a spiegare il perché. L’ipotesi che formuliamo è che venga scelta la «traccia» perché è il segno che qualcosa ha lasciato in altro qualcosa, come se si fosse impressa in “A” la passata presenza di “non-A”. Vengono subito in mente le orme sulla sabbia: esse sono l’indice che qualcuno ha camminato su di essa, lasciando appunto la traccia della sua passata presenza.
La domanda che ci si deve rivolgere, pertanto, è la seguente: come si è formata la traccia di “non-A” in “A”? La risposta non può che essere questa: “non-A” è stato presente in “A”. Per avere lasciato una traccia in “A”, “non-A” non può non essere stato presente in “A”, ossia la sua presenza in “A” deve appartenere al passato. In effetti, “non-A” è stato in “A” proprio per la ragione che, solo in quanto presente, la negazione posta in essere da “A” può averlo investito. Affinché “A” neghi “non-A”, infatti, “non-A” deve essere ed essere proprio in “A”, in quanto negante “non-A”, come afferma la formula “A = non non-A”.
Si potrebbe dire, quindi, che la traccia è la prova del fatto che “non-A” è stato presente in “A” nonché del fatto che, essendo stato negato da “A”, “non-A” attualmente non è più presente in “A” come “non-A”, ma è presente in “A” solo come traccia di questa sua passata presenza che è stata negata.
In sintesi: “non-A” è stato presente in “A”, presente per poter venire negato e per rendere determinata la negazione. Ciò significa che, senza “non-A”, la negazione sarebbe stata una negazione di nulla, una negazione vuota. “Non-A”, dunque, è essenziale al porsi della determinatezza della negazione, la quale coincide, in ultima istanza, con l’essere di “A”. O anche: l’essere di “A” è un essere determinato perché si pone negando “non-A”, così che “non-A” risulta essenziale al costituirsi di “A”.
Vi deve essere stato, insomma, un momento in cui “non-A” è stato presente in “A”, perché solo così “A” si è espresso come negazione di “non-A”: “A” ha esercitato il suo potere negante su ciò che in esso è stato incluso. Se “non-A” fosse stato sempre estrinseco rispetto ad “A”, “A” non avrebbe mai potuto negare “non-A”. In altre parole: “non-A” deve essere stato interno a quella negazione che è “A”, cioè incluso in essa.
Orbene, il punto è che il discorso sulla traccia non regge per questa ragione: se l’essere di “A” si pone in tanto in quanto nega “non-A”, allora la presenza di “non-A” in “A” non può appartenere al passato. “Non-A” deve essere presente in “A” per tutto il tempo che “A” è “A”, stante che “A” si pone come negazione di “non-A”. La negazione, insomma, non può venire relegata nel passato, perché essa è consustanziale ad “A” e, di conseguenza, ad “A” è consustanziale “non-A”.
Se non che, è proprio questo sussistere di “non-A” in “A” che genera la contraddizione. In questo senso, la traccia deve venire considerata segno di quella contraddizione che è “A” e non dell’avvenuta negazione di “non-A” o, che è lo stesso, deve valere come segno dell’altro, cioè di “non-A”, come presente in “A” e non come tolto, secondo gli intendimenti di Severino.
Con questa conseguenza: non ha senso anticipare il sussistere di “non-A” in “A”, conservandone solo la traccia. “Non-A”, infatti, continua a sussistere in “A”, se l’identità di “A” coincide con la negazione e la negazione è di “non-A”. Intendere la traccia come segno della presenza dell’altro – questo è ciò che si intende affermare – non è sufficiente per consentire ad “A” di identificarsi negando “non-A”. Nel momento stesso in cui “non-A” venisse meno, cioè cessasse di essere presente in “A”, in quello stesso momento la negazione che è “A” non potrebbe più esercitarsi su “non-A” e verrebbe meno come negazione, così che anche “A” verrebbe meno.
L’escamotage messo in atto mediante l’uso del concetto di “traccia” risulta insufficiente a evitare la contraddittorietà intrinseca di ogni determinazione (di ogni “A”). Ogni determinazione è in sé stessa la presenza di ciò che le è essenziale per essere, cioè del suo altro che è anche la negazione di sé (cioè la negazione di “A”). Questo comporta il rilevare che ogni determinazione è coessenziale a ogni altra determinazione, ossia che ognuna si pone in virtù del riferimento intrinseco e strutturale ad altra determinazione. La necessità del riferimento ad altro, insomma, pone l’altro nel cuore dell’identico, così che si realizza l’unità (identità) dei contraddittori.
In sintesi: si era introdotto il concetto di “traccia” proprio per evitare che la contraddizione investisse la determinazione, cioè “A”; se non che, si è evidenziato che la contraddizione non può venire evitata, dal momento che “A” è “A” in forza di “non-A”, così che la traccia è indice proprio dello status contraddittorio in cui versa il determinato.
Ogni identità determinata è, quindi, il suo contraddirsi e la stessa traccia, in quanto anch’essa identità determinata, è la contraddizione dell’essere sé come altro: dunque, anch’essa è il proprio contraddirsi. Da quanto detto emerge che il contraddirsi del determinato è espressione dell’incontraddittorio, nel senso che l’incontraddittorio costituisce la ragione che impone a ciò che è contraddittorio di contraddirsi, ossia di trascendersi.
L’incontraddittorio vale, dunque, come autentico fondamento, costituendo non ciò che legittima il fondato, nel senso che lo lascia essere come esso si presenta immediatamente, ma nel senso che gli impone di mediare la sua parvente immediatezza. Ciò significa che il contraddirsi del determinato non equivale alla sua cancellazione empirica, ma indica il togliersi della pretesa della determinazione (significato) di valere come autonoma e autosufficiente, dunque come autenticamente immediata, cioè come assoluta.
Indubbiamente, soltanto un’identità autonoma e autosufficiente è una identità autentica e il sistema formale richiederebbe proprio tale identità. Se non che, nel momento in cui all’identità si attribuisce carattere determinato, come accade per ogni “dato”, eo ipso si negano la sua autonomia e autosufficienza.
Che è come dire: l’essere del dato è, propriamente, un esistere, che significa co-esistere, ossia fondarsi in altro e, quindi, non essere mai fondatamente (veramente). Severino ritiene che la fondazione possa venire sostituita dalla determinazione reciproca, ma noi contestiamo questa riduzione.
Appendice
Anche Goggi, nel cercare di negare la contraddittorietà del determinato (di ogni “A”), fa valere il concetto di “traccia” e scrive: “Ma dire che X sta in relazione a Y, a Z e alla totalità del proprio altro, non significa l’esser Y o l’esser Z o l’essere la totalità del proprio altro, da parte di X, bensì il suo essere insieme a Y, a Z e alla totalità del proprio altro. Dunque Y, Z e la totalità di ciò che è altro da X sono certamente inclusi nel significato di X […], ma vi sono inclusi come altro da X. […] posto che la relazione di X a tutti gli altri essenti è la presenza delle tracce degli altri essenti in X, si dirà che X include in sé, come negato, ogni altro essente: se infatti questa traccia non esistesse, non vi sarebbe relazione necessaria tra X e il proprio altro” (Goggi 2017, p. 112). Il passo di Goggi compare nell’articolo che egli ha scritto in risposta a un articolo di Ianulardo e del sottoscritto, intitolato “La relazione come fondamento nell’interpretazione di Anassimandro offerta da Heidegger e da Severino” (Stella – Ianulardo 2017, pp. 87-97). In questo articolo, sosteniamo la contraddittorietà della determinazione legata al suo porsi negando l’altro da sé, così che ogni “A” è, in sé, sé e non-sé: identità dei contraddittori. La risposta di Goggi consiste nel riproporre il tema delle tracce indicato da Severino, come se la traccia non fosse indice proprio della contraddittorietà del determinato, come abbiamo cercato di dimostrare nel testo. Nel dire, infatti, che la traccia è traccia dell’altro, in quanto negato, non si può non considerare che quella negazione dell’altro (“non-A”), che è “A”, postula “non-A” come condizione di determinatezza del proprio negare, sì che “non-A” è presente intrinsecamente in “A”, precisamente per la ragione che “A” è la sua negazione. Questo è ciò che, essenzialmente, abbiamo risposto a Goggi nella nostra replica, intitolata “Sulla non originarietà della relazione. Replica a G. Goggi”, (Stella – Ianulardo 2018, pp. 75-84). A questa nostra replica, Goggi ha contro-replicato (Goggi 2018, pp. 85-103), riproponendo, in ultima istanza, due temi: il tema della coessenzialità e il tema dell’alternativa. Scrive, infatti, Goggi: “Il tema è quello della relazione necessaria tra gli essenti, la quale implicherebbe, a parere di Stella e Ianulardo, il contraddirsi dei termini in relazione. Ma è davvero così? Direi proprio di no!” (Goggi 2018, p. 87). Ciò che abbiamo cercato di sostenere, e che Goggi invece rifiuta, è che due identità vincolate da una relazione necessaria non sono due identità effettive, per la ragione che ciascuna trova nell’altra la propria essenza (per questo vengono dette coessenziali), così che l’altra non può venire pensata come estrinseca, ma deve venire pensata come intrinseca e costitutiva dell’una. In ordine al tema dell’alternativa, la nostra idea è che imporre alla verità l’alternativa, per la quale essa aut è determinabile aut è indeterminabile, significa assumere l’alternativa, cioè la relazione, come verità, senza discutere questa assunzione. Goggi controbatte che “Per affermare che la verità non può venire determinata, trascendendo essa ogni forma di opposizione, occorre infatti che sia pensata la differenza tra quel non-niente che è l’orizzonte formale del significato che si costituisce come differente (venendo meno a se stesso), e quel non-niente che è la verità che sta al di là dell’identità-differenza” (p. 102), riproponendo così il valore originario della differenza e, dunque, della relazione, che è proprio ciò che egli avrebbe dovuto, invece, dimostrare e che nelle sue repliche ai nostri scritti non ha mai dimostrato. Egli, inoltre, non si avvede di affermare, da un lato, che “la verità […] sta al di là dell’identità-differenza», dunque oltre la relazione, ma poi, d’altro lato, di contraddire questa stessa affermazione, riducendo la verità a termine di una relazione (“quel non-niente che è la verità […]” e vincolandola all’altro termine, cioè a “quel non-niente che è l’orizzonte formale del significato”. Se vincolata, cioè inscritta nella relazione, la verità cessa di valere come condizione incondizionata, dunque cessa di essere “verità” autentica.
Riferimenti bibliografici
– Goggi, Giulio. 2017. «Sulla originarietà della relazione» in La Filosofia Futura (9).
– Goggi, Giulio. 2018. «Sulla originarietà della relazione. Postille» in La Filosofia Futura (10).
– Severino, Emanuele. 2010. La Gloria. Milano: Adelphi.
– Stella, Aldo – Ianulardo, Giancarlo. 2017. «La relazione come fondamento nell’interpretazione di Anassimandro offerta da Heidegger e da Severino» in La Filosofia Futura (8).
– Stella, Aldo – Ianulardo, Giancarlo. 2018. «Sulla non originarietà della relazione. Replica a G. Goggi» in La Filosofia Futura (10).