Materialità e immaterialità nella dinamica mente-corpo

In questo saggio cercherò di delineare una soluzione per il problema mente-corpo mettendo capo al problema dell’epifenomenismo del mentale. Questo problema è racchiuso nel dilemma di come, almeno indirettamente, la mente possa rivestire un ruolo causale ovvero avere qualche ruolo rispetto all’attività del corpo.

Questo articolo è uno dei contributi selezionati dalla Call For Papers 2021 di Ritiri Filosofici, il cui tema è “Il corpo”. Per leggere tutti gli articoli clicca sull’immagine.

Dualismo: Una questione logica
Il dualismo come teoria della distinzione del regno delle cose materiali da quello delle cose immateriali, può essere declinato in molti modi a seconda delle epoche della ricerca filosofica e le relative teorie e argomentazioni.

Il dualismo metodologico è quel dualismo che sostiene che ad essere distinti sono il modo con il quale conosciamo gli eventi materiali appartenenti al regno della natura e gli eventi mentali. I primi in terza persona, oggettivamente per così dire, soggettivamente invece i secondi. 

Questo genere di dualismo tra regno degli oggetti immateriali, come i pensieri, e quello degli oggetti materiali appartenenti al regno della natura (oggetti indagabili dalle scienze fisiche) non pone una differenza sostanziale nel determinare quale posto occupano nella realtà materialità e immaterialità.

Tale dualismo epistemologico è pertanto una forma di dualismo che non tocca la realtà per come essa è, bensì per come la possiamo conoscere. E dal modo in cui noi possiamo conoscere la realtà in prima persona o in terza persona, non si definisce come la realtà sia effettivamente. 

Questo non significa che conoscere sia ininfluente in generale, sostenendo ciò abbracceremmo uno scetticismo insensato che intendiamo evitare, ma è anzi vero che la distinzione epistemologica tra conoscere in prima persona e conoscere in terza persona è la distinzione tra una questione di ordine soggettivo, il conoscere in prima persona, che è a sua volta parte della realtà da indagare scientificamente, e la conoscenza obiettiva in terza persona con il suo metodo che è invece il genuino metodo di indagine.

La distinzione da tracciare qui a livello del dualismo epistemologico è dunque quella tra un fenomeno naturale, la conoscenza in prima persona, indagata tra le altre dalla stessa filosofia e dalla psicologia e la conoscenza in terza persona regno di tutte le scienze sperimentali.

Detto ciò il dualismo metodologico applica una ricerca attorno alle cose materiali e immateriali, ricerca la loro esistenza e indaga il loro comportamento senza sfiorare il problema del dualismo ontologico e senza rintracciare una reale soluzione all’esistenza di qualcosa da ritenersi immateriale.

Il dualismo concettuale intensionale rivendica invece, parlando di mente e corpo in luogo di immaterialità e materialità, che i predicati riguardo mente e corpo abbiano diversa intensione ma stessa estensione. Ciò significa che essi sono due cose distinte tra loro, ma che di fatto materiale e immateriale si predichino degli stessi oggetti. 

Questo logicamente può darsi in un solo caso; nel caso in cui ogni oggetto esistente di cui si possa predicare la materialità e l’immaterialità sia in parte materiale e in parte immateriale. Infatti se materialità e immaterialità fossero due cose totalmente distinte queste avrebbero ipso facto due estensioni distinte. Ciò vale a fortiori per il problema mente-corpo.

La replica della possibile interazione tra materialità e immaterialità come oggetto della predicazione risulta essere debolissima, anch’essa per una questione logica. Se materialità e immaterialità interagissero causalmente non ci sarebbe ovviamente più il bisogno di tracciare tale distinzione dato che proprio il ruolo causale segnerebbe il marchio della materialità. 

In altri termini se materialità e immaterialità hanno intensione diversa ma stessa estensione, ammenochè gli oggetti della predicazione siano in parte materiali e in parte immateriali, ciò sarebbe dovuto al mero caso. 

Chi si affida al dualismo concettuale estensionale crede invece che materialità e immaterialità nel problema mente corpo, e altrove, si predichino di necessità di cose distinte. Ma se questo fosse vero basterebbe applicare il taglio del rasoio di Occam per eliminare dal regno delle cose relative al corpo e alla materia ciò che corporeo e materiale non è e cadere in una delle forme più dure di riduzionismo. Infatti, non avendo alcun ruolo causale, se non affermare la certa inesistenza di alcun oggetto immateriale, quantomeno potremmo negarne qualsiasi attuale capacità esplicativa.

Una considerazione simile vale per il dualismo delle sostanze (Cfr. Descartes, R., 1641: ‘Meditation VI’, in Meditations on the First Philosophy, J. Cottingham (trans.), Cambridge: Cambridge University Press, 1996, pp. 57–72). Se materialità e immaterialità fossero due cose irriducibilmente distinte potremmo tranquillamente non occuparci delle seconde in luogo delle prime. Ciò perché le prime non potrebbero toccarci in alcun modo, per quante proprietà meravigliose potrebbero avere e non essere altresì conoscibili, non causando alcunché di rilevabile. Infatti, se tutto ciò fosse possibile non sarebbero cose materiali e di conseguenza cadrebbe logicamente ogni distinzione tra materiale e immateriale.  

In conclusione, il cosiddetto dualismo delle proprietà, secondo il quale gli oggetti possono essere in parte materiali e in parte immateriali. Se così stanno le cose materialità e immaterialità non possono interagire altrimenti cadrebbe tale distinzione avendo ognuna di esse un ruolo causale. (Cfr. Chalmers, D., 1996, The Conscious Mind, New York: Oxford University Press).

Ma, problema di ordine logico, resta il problema dell’epifenomenismo (Cfr. Jackson, F., 1982, ‘Epiphenomenal qualia’, Philosophical Quarterly, 32: 127–136) o, nell’accezione neutrale, del ruolo delle proprietà immateriali in assenza di un loro ruolo causale. Una risposta plausibile sarebbe quella di sostenere che le proprietà immateriali, pur non potendo interagire causalmente, possono farlo in maniera non causale.

Non è difficile immaginare tali proprietà. Si potrebbe pensare a due particelle elementari che “sentono dolore quando sono appaiate” come loro proprietà immateriale risultante delle proprietà immateriali dell’una o dell’altra, e che da epifenomenismo di second’ordine diventino proprietà essenziali quando si arriva a parlare del corpo umano e della necessità di evitare il dolore.

Immanenza e trascendenza
Secondo questa accezione non sussiste più la distinzione tra ciò che è trascendente e ciò che è immanente. Il trascendente rimane il dominio delle entità immateriali mentre l’immanenza di quelle materiali. Di nostro interesse resta però quella degli enti che definiremo per lo più in parte materiali e in parte immateriali, costituendo così l’unica realtà a noi conoscibile poiché misurabile e oggetto di relazioni causali.

Kant nella sua Critica della Ragion Pura e in particolare nell’Estetica Trascendentale determina come trascendentali il tempo e lo spazio con la ragione che tempo e spazio non si possono rinvenire in alcuno degli oggetti della sensibilità. 

Restando dalla parte del mondo possiamo parimenti sostenere che forma, colore, durezza e tutte le altre qualità sensibili sono anch’esse trascendenti e che la loro somma dà vita agli oggetti che compongono quello che chiamiamo mondo e in parte a noi stessi, poiché posseduti da qualsiasi oggetto e quindi condizione dell’esperienza mondana parimenti a spazio e tempo kantiani.

D’altra parte ciò non significa che il corpo sia in qualche modo svilito da questa assunzione del mondo dell’esperienza tra le cose trascendenti ma anzi è un potente strumento perché le possibilità del corpo e della volontà facciano un grande balzo in avanti. L’esperienza diventa il luogo nel quale gli enti vengono identificati non per quello che sono in sé e per sé, ma finalmente posti come un qualcosa che aumenta le possibilità del tangibile qualificato come le relazioni causali tra corpo e mondo immanenti.

La relazione tra trascendenza e immanenza risulta essere una relazione vincolata (Cfr. con i lavori di Donald Davidson dal 1980 al 1993 e la voce The metaphysics of causation della Stanford Encyclopedia of Philosophy). Mentre il corpo ha i suoi bisogni e matura i propri obiettivi, la trascendenza è il mondo nel quale ci troviamo aperti alla possibilità di scegliere una cosa piuttosto che un’altra, coscientemente e consapevolmente, come uomini, a patto che armoniosi siano i rapporti tra corpo e mondo trascendente. Come uomini abitiamo al costo di perire immediatamente poiché ad una vita nel mondo trascendente non corrisponderebbe la capacità di muoversi del corpo immanente e causalmente determinato.

Per quanto riguarda il soggetto l’incontro tra uomini nella trascendentalità è il culmine e la massima realizzazione del corpo. Esso, pur rimanendo sempre celato sia nella sua immanenza, in toto, quanto in parte nella sua trascendenza, dove la propriocezione rimane celata agli altri, ci garantisce l’incontro tra uomini. Un incontro dovuto anche alla similitudine come specie, alla reciprocità, delle nostre esperienze e della nostra volontà.

Nell’immanenza la volontà è la prima cosa che ci spinge alla ricerca nel mondo, nella trascendenza risulta essere l’ultima rinvenibile a pagare lo scotto dell’autocoscienza che sola si può manifestare se non tramite il rapporto con gli altri. Ci si può facilmente rendere conto con un piccolo sforzo di immaginazione cosa sarebbe l’immanenza del corpo senza la trascendenza dell’esperienza. Niente di più che un andare a tentoni privo di qualsiasi consapevolezza.

Questo risulta immediatamente dalla semplice osservazione che mentre il mondo della trascendenza è un mondo sostanzialmente privo di causalità, il mondo del corpo e dell’immanenza è il mondo della causalità in senso più proprio. 

Il mondo con cui abbiamo coscientemente a che fare ogni giorno è il mondo della percezione e della sensazione. Il soggetto proviene dal continuo rapporto tra corpo e trascendenza e dal rapporto trascendente tra ciò che riguarda il mondo e ciò che riguarda noi nella nostra attività giudicante e di propriocezione. 

Quando l’attività giudicante è certa, essa diventa informazione che passa nella trascendenza del mondo e la certezza proviene sia dall’interno della stessa trascendenza quanto per l’attività immanente del corpo e soprattutto nella sua relazione di causalità con gli oggetti immanenti del mondo esterno.  

L’andirivieni di informazioni in tutte le direzione (soggetto-mondo trascendente, corpo-mondo immanente, corpo-soggetto) permette al soggetto e al corpo di saldarsi e dinamicamente di ritagliarsi un posto nel mondo dell’immanenza e della trascendenza, gettando una corrispondenza tra soggetto materiale e soggetto immateriale. Ciò avviene poiché nonostante il soggetto appartenga al mondo della trascendenza, senza la sua unità con il corpo e le sue leggi causali, sarebbe qualcosa che non potrebbe superare la sfida gettata dall’immanenza stessa, non potendo infatti garantire al corpo la sua presenza in essa e la sua sopravvivenza stessa.

È così che piano piano, associazione dopo associazione, distinzione per distinzione, che il soggetto si ritaglia un posto privilegiato nel mondo trascendente affrancandosi in parte dalla percezione e dalla sensazione, come ente tra gli altri enti. In questa situazione esso si riconosce però come il solo ad avere, ente tra gli altri enti, la percezione di sé. Il risultato di questo lento processo di distinzione, differenziazione e assimilazione, è il singolo cosciente dotato delle sue facoltà che esercita in tutte le direzioni. Dal lato del soggetto rimane il dubbio come caratteristica peculiare e l’incertezza mondana per quanto riguarda il corpo immanente, al mondo trascendente e alle dinamiche della corporeità rispettivamente la certezza di ciò che è presente.

Le relazioni tra trascendenza e corporeità sono dunque fondamentali. Che cos’è allora l’uomo? L’uomo è un’anima che opera in una bolla, quella del mondo trascendente, che senza una corrispondente relazione con l’immanenza del corpo e delle relazioni del corpo con l’ambiente che lo circonda, perirebbe nell’immediato sia come anima che come corpo.   

Il problema mente-corpo
Nel secondo e terzo paragrafo ho parlato delle difficoltà logiche ed effettive nel ritenere materialità e immaterialità di un corpo come due cose distinte nella sostanza e come l’ipotesi più vicina al reale sia quella avanzata dal cosiddetto dualismo delle proprietà. Un corpo può essere in parte materiale e in parte immateriale e ad eccezione del suo ruolo causale due oggetti materiali legati causalmente possono manifestare alcune proprietà metafisiche.

Relativamente al problema mente-corpo l’epifenomenismo è un problema che riguarda la capacità per la parte mentale e immateriale dell’essere umano di fare una differenza rispetto al potere causale del corpo. Se attestato un ruolo per la mente trascendente e immateriale nell’immanenza, come ciò possa avvenire.

Una cosa la sappiamo: se due corpi dotati di una parte materiale e una parte immateriale sono legati tra loro causalmente allora possono manifestarsi proprietà e relazioni immateriali e non causali tra questi oggetti. Tali proprietà, si veda bene, potranno essere materialmente non causali per il problema già noto per il quale se avessero tali relazioni causali allora sarebbero da assimilare alla parte materiale.

Come si può allora risolvere il problema mente-corpo ed eliminare l’epifenomenismo del mentale? La soluzione che a me pare migliore è quella di ritenere il cervello uno strumento che lavora almeno in parte al fine di dare un ruolo causale indiretto, per mezzo della volontà e del corpo, alla mente immateriale in senso ampio.

Come ciò sia possibile è presto detto: se la percezione visiva, tra gli altri sensi, avvenisse senza che a stimolazioni causali immanenti vi fossero, in qualche modo, corrispettivi oggetti colorati trascendenti, noi uomini potremmo dire di non vedere alcunché. 

D’altra parte perché le relazioni non causali tra le parti immateriali degli oggetti permangano nelle loro relazioni e proprietà reciproche, dobbiamo ritenere che tali relazioni causali vengano mantenute costanti sia perché certe relazioni e proprietà materiali vengano mantenute identiche sia perché pur mutando il mondo mentale della trascendenza umana possa permanere e mantenersi quello che è nella propria essenza. Il cervello dunque sarebbe in parte un sistema per mantenere le relazioni causali tra oggetti materiali tali che la mente rimanga intatta nelle sue funzioni. 

Le relazioni causali tra gli oggetti che compongono il sistema vengono mantenute costanti a meno che qualcosa non cambi causalmente in periferia e ciò modifichi in parte le relazioni trascendenti del sistema mentre quelle globali rimangono immutate. Oggetti, colori, forme mutano nel campo percettivo al mutare delle relazioni causali periferiche con l’ambiente, mentre il campo percettivo nel suo complesso non muta. 

La volontà e il corpo, il soggetto, compongono un altro sistema integrato al primo. L’attenzione esercitata dal soggetto con la sua mente personale, nata dalla distinzione di sé da ciò che è altro da sé, stabilisce relazioni trascendenti e immateriali del tipo trascendente-trascendente con gli oggetti del mondo trascendente, e relazioni causali materiali e stabili con l’altro sistema. 

A questo punto, il corpo e la volontà si costituiscono come sistema capace di raggiungere nel mondo della causalità materiale gli obiettivi preposti. Il mantenimento delle relazioni causali materiali, necessarie a mantenere il mondo trascendente funzionante e attivo, fanno si che all’altra periferia, quella che abbiamo chiamato del corpo e della volontà (del soggetto), vengano trasmesse causalmente le relazioni originarie provenienti dalle altre periferiche, quella dei sensi, ad esempio, e che di concerto con l’attività trascendente permettano al corpo di muoversi nel regno della causalità in direzione immanente-immanente finché un obiettivo trascendente non viene raggiunto. 

Raggiungendo nell’immanenza quello di cui “abbiamo bisogno di” o “vogliamo raggiungere come scopo” nella trascendenza e secondo la propriocezione, abbiamo così finalmente raggiunto la fine dell’epifenomenicità del mentale. 

Le relazioni trascendente-immanente e immanente-immanente sono quelle che rendono possibile la coordinazione tra i sistemi fino a qui delineati non solo da un punto di vista fattivo, e del qui ed ora, ma anche da un punto di vista evolutivo, si pensi ad esempio ad un bambino che arriva a prendere una mela dal tavolo dopo aver gattonato per i suoi primi mesi di vita. 

 

Riferimenti bibliografici

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Laureato in Filosofia e Comunicazione, sono membro della Società Italiana di Neuroetica ed ex collaboratore scientifico presso l’Università degli Studi di Udine. I miei interessi spaziano dalla Filosofia della Mente alle Neuroscienze, dalla Metafisica all’Epistemologia.

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