L’unità come condizione fondativa (VI)

Nel saggio precedente si era pervenuti alla conclusione che l’unità può venire riscontrata nell’atto, inteso non tanto come atto del distinguersi, quanto come atto del togliersi dei distinti.

L’unità dell’atto, questo è il punto, è sempre e comunque vincolata ad una determinazione, sia che si tratti dell’atto del “distinguersi” sia si tratti dell’atto del “togliersi”: se l’atto del distinguersi si pone a condizione del porsi della determinatezza dei distinti, così che anche l’atto risulta da essi determinato, altrettanto l’atto del togliersi si pone a condizione del porsi della determinatezza di ciò che si toglie dopo essersi determinatamente posto, così che anche tale atto risulta, esso stesso, determinato.

L’effettiva unità, invece, si realizza allorché viene meno ogni determinatezza, così che l’“unità del fondamento” non potrà non venire distinta dall’“unità dell’atto”, ancorché l’atto, almeno intenzionalmente, cioè idealmente, non può non intendere di essere tutt’uno con ciò verso cui si volge e che intende come sua meta e suo compimento: il fondamento, appunto.

Se, insomma, l’atto è veramente atto solo se effettivamente unitario, allora soltanto il suo ideale compimento nell’uno decreta il suo essere veramente unitario, dunque il suo essere veramente atto. Si potrebbe anche dire che l’unità dell’atto è effettiva solo in quanto unità del protendersi verso l’uno e dell’intendere di togliersi nell’uno stesso.

L’unità del fondamento, quindi, è la vera unità, quell’unità che appare il risultato del togliersi della molteplicità soltanto perché si percorre la via ascendente. Quest’ultima non presenta la contraddittorietà della via discendente, la quale pretende di prendere avvio da un’unità che sia in sé differente a sé stessa (un’unità duale, insomma), ma prende avvio, non di meno, da un assunto: il darsi della molteplicità, nonostante la sua inintelligibilità, legata alla contraddittorietà della relazione che la struttura.

Tanto la via discendente quanto la via ascendente, pertanto, si collocano sul livello dell’inevitabile e per questa ragione non attingono l’unità innegabile, che è ragione del togliersi del determinato e, quindi, della molteplicità. Il punto di vista dell’innegabile coglie, dunque, l’unità come condizione incondizionata e non come risultato, per sua natura condizionato.

Con questa conseguenza, che deve venire adeguatamente ribadita: il togliersi del determinato non può venire considerato come esito, il quale, proprio in quanto tale, non può non permanere vincolato a ciò da cui deriva, così che il determinato verrebbe comunque posto, anche se soltanto per togliersi.

Allorché si parla di ragione, invece, non si intende vincolarla a ciò su cui essa si impone, semplicemente perché l’unità del fondamento è originaria e per questo incondizionata. L’unità del fondamento è l’assoluto stesso, così che l’altro da esso è tolto dal fondamento e non posto da esso: in questo senso, il fondamento coincide con l’essere ed è ragione del non essere del non-essere, cioè di ogni altro dall’essere.

Ciò che intendiamo sottolineare, insomma, è che il fondamento non va inteso in senso tetico, ma in senso ablativo: se venisse inteso in senso tetico, permarrebbe vincolato – dunque subordinato – a ciò che fonderebbe; di contro, inteso in senso ablativo, esso fonda perché toglie il fondato, ossia lascia emergere il limite che lo segna. In tal modo, si impone la via ascendente come un passo avanti rispetto alla via discendente.

Tuttavia, non si dovrà mai dimenticare che anche l’atto del togliersi della dualità (molteplicità) configura bensì una forma di unità la quale, non di meno, trova ancora espressione, proprio perché mantiene il suo vincolo alla datità, di cui è toglimento. L’espressione è linguaggio e il fondamento è vero fondamento perché oltrepassa il sistema del linguaggio. Solo così esso vale come effettivo fondamento.

Ciò che si impone, pertanto, è un capovolgimento del punto di vista. Se le due vie sono conseguenza del punto di vista della finitezza sulla finitezza, il punto di vista dell’infinito emerge con la consapevolezza del limite del punto di vista precedente.

Nella misura in cui sempre di un “punto di vista” si tratta, si permane nell’ordine della finitezza; nella misura in cui, però, la coscienza coglie il limite del finito, essa non è totalmente immersa nel finito stesso, ma si lascia illuminare dall’infinito, da quell’assoluto che non è un “punto di vista” perché, come abbiamo anticipato poco sopra, è ragione del non essere di ciò che pretenderebbe di essere “altro” da esso.

Che è come dire: il togliersi del finito non è successivo al suo essersi posto, ma è la sua originaria e intrinseca contraddittorietà che risolve il suo essere nel non-essere, quello stesso non-essere che, essendo altro dall’essere, è il suo stesso contraddirsi, dunque il proprio originario venir meno a sé stesso senza mai essere un autentico “sé stesso”.

Con queste parole, ne siamo consapevoli, cerchiamo di usare il linguaggio per andare oltre il linguaggio o, meglio, per indicare la necessità dell’andare oltre di esso, ossia oltre l’universo della finitezza, che pure costituisce il presupposto stesso del dire.

L’unità dell’assoluto, questo è ciò che intenderemmo emergesse con chiarezza, non è rappresentabile e, pertanto, non è oggetto di riflessione o di discorso.

E qui non possiamo non proporre il passo di Hegel nel quale, più che altrove, egli lascia intendere come nella sua concezione l’unità venga intesa non soltanto in senso rappresentativo, come qualcosa che possa venire determinato (quindi, come “unificazione”), ma anche – seppure questa idea compaia in un numero limitato di passi – come condizione fondante e, dunque, incondizionata: “Ma a questa unità non si riflette (Aber auf diese Einheit wird nicht reflektiert). E nondimeno è soltanto questa unità, che evoca nel finito l’infinito e nell’infinito [che ancora si contrappone al finito] il finito (im Endlichen das Unendliche, und im Unendlichen das Endliche hervorruft). Essa è per così dire la molla del progresso infinito (sie ist sozusagen die Triebfeder des unendlichen Progresses). Questo progresso è l’esterno di cotesta unità, un esterno a cui la rappresentazione si ferma (Er ist das Äuβere jener Einheit, bei welchem die Vorstellung stehen bleibt) (G.W.F. Hegel, Scienza della logica, pp. 144-145).

L’unità – giova ripeterlo – è il fondamento, un fondamento che non può essere “oggetto” di riflessione o di discorso, perché è la condizione oggettivante. E la condizione oggettivante non può venire oggettivata, senza cadere in un circolo.

Precisamente perché tale, la condizione non pone i fondati, ma li toglie dialetticamente per l’insufficienza di ciascuno a sé stesso. Si potrebbe anche dire: l’unità è quella condizione incondizionata in virtù della quale si coglie il limite di ciò che si presenta come se fosse immediato, cioè autonomo e autosufficiente, ma che si rivela “determinato”, cioè “finito”, proprio perché segnato dal limite.

Poiché segnato dal limite, inoltre, esso non può non poggiare sulla differenza, sull’altro da sé, così che ogni determinazione si rivela in sé, cioè intrinsecamente, una contraddizione, ossia il proprio contraddirsi. Proprio perché il finito è il suo contraddirsi, esso a rigore non è mai veramente, nonostante che anche il suo togliersi muova dall’assunto che esso, in “un qualche tempo”, sia o sia stato.

 

Riferimenti bibliografici

  • Hegel, G.F.W., Wissenschaft der Logik (1812-1816), in Sämtliche Werke, dritte Auflage der Jubiläumsausgabe, Bd. 4 e 5, hrsg. von H. Glockner, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1964-1965; trad. it di A. Moni, (rev. e intr. di C. Cesa), Scienza della logica, Vol. I, Laterza, Roma-Bari 1974

 

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L’immagine di copertina è stata generata da Stable Diffusion (una rete neurale generativa profonda sviluppata dal gruppo CompVis alla LMU di Monaco) con il prompt «abstraction of the idea of foundational unity».

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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