Il riferimento allo spazio è essenziale per la costruzione dei concetti politici dell’occidente moderno e rappresenta una categoria attraverso la quale il pensiero politico stesso si autocomprende. La storia del pensiero politico moderno è la progressiva presa di coscienza della peculiarità e dell’indipendenza dello spazio della politica da quello delle altre sfere dell’agire sociale. Il confronto con l’antropologia politica permette di comprendere la rilevanza culturale di tale modo di pensare.
Lo spazio come categoria di autocomprensione del pensiero politico occidentale
Quella di spazio è una nozione essenziale nel e per il pensiero politico occidentale. Essa è rilevante nel pensiero politico perché il riferimento allo spazio, inteso sia come estensione territoriale concreta sia come astratto ambito di validità dell’ordinamento, è imprescindibile per la costruzione dei più pregnanti concetti politici e giuridici moderni – Stato, ordinamento giuridico, società politica. Questo è il motivo per cui la globalizzazione, rappresentando un fenomeno che travalica i confini territoriali, mina le fondamenta delle concezioni classiche del diritto pubblico, dello Stato, della sovranità.
In secondo luogo, il pensiero politico moderno si è autocompreso in termini spaziali: per questo il riferimento allo spazio è necessario per esso. La storia del pensiero politico moderno è la vicenda della progressiva presa di coscienza della peculiarità e dell’indipendenza dello spazio della politica da quello della morale, della religione, del diritto, della società civile, dell’economia. L’esperienza sociale umana è stata suddivisa in sfere, campi, ambiti, concepiti in termini spaziali, reciprocamente autonomi e separati gli uni dagli altri.
L’autonomia dei campi dell’agire sociale non corrisponde a un dato oggettivo, ma ha rappresentato un elemento essenziale nello sviluppo del pensiero politico occidentale ed è stata uno strumento imprescindibile per la modernizzazione e la democratizzazione dell’ordinamento politico e giuridico. Essa ha rappresentato, infatti, un elemento essenziale sia per la fondazione scientifica delle discipline in oggetto, sia per il raggiungimento di importanti traguardi, come la laicizzazione dello Stato, la codificazione e la positivizzazione del diritto – essenziale per l’attuazione delle garanzie democratiche –, la realizzazione dello Stato di diritto e dello Stato costituzionale. Non a caso, i momenti in cui le sfere tendono ad avvicinarsi e a confondersi generano sentimenti di timore per la perdita delle garanzie individuali ottenute nel tempo, come accade con la saturazione economica della vita politica o con le ingerenze e le manipolazioni del diritto da parte della politica o della religione.
L’assunto della separatezza tra le sfere dell’agire sociale è così radicato nel pensiero occidentale da arrivare a svolgere la funzione di rilevatore della presenza della politicità nelle altre società umane. Ciò svela quanto la spazializzazione della politica sia stata un elemento caratterizzante e strutturante il pensiero occidentale, benché tale approccio abbia condotto a non pochi fraintendimenti, con conseguenti accuse di primitivismo alle altre culture.
Nelle società cosiddette segmentarie le relazioni politiche e giuridiche sono embedded all’interno di più ampie strutture sociali: manca la separazione tra l’oikos e la polis, tra la legge e l’ethos quotidiano. L’impossibilità di identificare il punto di separazione tra la sfera politica e giuridica dagli altri campi dell’agire sociale ha portato gli osservatori occidentali a ritenere che le società segmentarie fossero apolitiche e prive di diritto – “anarchiche”, come recita il titolo dell’opera di Evans-Pritchard sui Nuer (Evans-Pritchard 2016). Il contributo fondamentale degli antropologi è consistito, nel corso del tempo, nella comprensione che la sfera della politica e della famiglia non si presentano ovunque necessariamente separate e contrapposte e che le relazioni umane mantengono carattere di politicità, pur strutturandosi sulla base di appartenenze parentali (Clastres 1974; Aime 2008; Lewellen 2003). L’assunto della separazione del politico dal restante campo della praxis è un assunto culturalmente determinato, caratterizzante l’occidente moderno. Invero, tale assioma non è stato una costante nemmeno nella storia del pensiero occidentale stessa. Come nota Giovanni Sartori, la politica non è sempre stata considerata una sfera separata dalle altre: in Aristotele la politica è anche un’antropologia, si giuridicizza in epoca romana, si teologizza durante il medioevo. Con il giusnaturalismo si assiste ad una fusione dell’orizzonte giuridico con l’etica, la separazione di politica e società civile è un portato del liberalismo in risposta a esigenze politiche particolari e contingenti (Sartori 1987, 263).
Lo spazio nella costituzione dei concetti politici e giuridici dell’occidente moderno
Quella di spazio è una nozione essenziale anche nella formazione dei più importanti concetti politici e giuridici moderni.
Il territorio è uno degli elementi costitutivi dello Stato, insieme alla sovranità e al popolo. Che venga concepito come sostrato fisico o come elemento legale, in quanto spazio in cui si esercitano i diritti e i corrispettivi doveri dell’ordinamento, esso rappresenta la precondizione per l’esistenza dello Stato. L’importanza dell’elemento territoriale è tale che la perdita del territorio comporta la cessazione dell’esistenza dello Stato.
Dei tre suddetti presupposti, è comunque la sovranità ad avere un peso particolare nella definizione dello Stato moderno. Come nota Andrea Morrone, essa non è solo uno dei tre essentialia che definiscono lo Stato, ma ne è l’elemento caratterizzante, in quanto «parte che qualifica il tutto» (Morrone 2017, 8). Quando si parla di Stati, il carattere della sovranità è sempre implicato: uno Stato non sovrano è uno Stato fallito.
È tuttavia il riferimento al territorio ciò che permette di sostanziare la sovranità come summa potestas superiorem non recognoscens. Il confine territoriale sancisce l’autonomia e l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri enti politici nel panorama internazionale, costituendo la sovranità esterna, e determina l’ambito interno in cui la sovranità viene esercitata. La sovranità moderna è l’autorità suprema su un territorio e consiste, in primo luogo, in una governance sul territorio dello Stato.
Questa è la ragione per cui la presenza di capi privi di poteri di governo sul territorio ha significato per l’occidente che le altre culture fossero prive di politica, in quanto «Gens sans roi». Secondo Pierre Clastres, il tardivo interesse per l’antropologia politica risiede proprio nella difficoltà dell’osservatore occidentale di comprendere dove risieda il potere politico all’interno delle società non statali, nelle quali il capo non detiene necessariamente un potere di governo, inteso come facoltà di creare legge e farla rispettare o di amministrare un territorio (Clastres 1974). L’antropologia parla esplicitamente di re che, nella loro funzione originaria, regnano ma non governano. Il detentore del sovrano, in culture diverse dall’occidente, non esercita necessariamente poteri di governo su un territorio. La sua autorità si fonda su uno statuto morale superiore o sulla legittimazione a trascendere e violare le leggi e le regole sociali che vincolano i sudditi. Il compito del sovrano è comunque politico e consiste nel garantire simbolicamente l’equilibrio tra la società e la natura circostante, la redistribuzione dei beni, il mantenimento dell’ordine interno attraverso poteri consultivi.
Gli studi antropologici mostrano, quindi, che il potere “si dice in molti modi” e non si presenta solo nella forma del monopolio della violenza legittima su un territorio o dello ius dicere. Scrive significativamente Ted Lewellen:
A Maori shaman cures meningitis through an infusion of mana, an invisible force into the body of his patient. A Cree Indian chief plans a wedding. A United States president unleashes a bombing of unprecedented scope on an impoverished Asian country. A Lugbara sorcerer invokes ghosts to inflict sickness upon a neighbor. An Aztec priest tears the living heart from a human sacrifice. What these disparate actions have in common is that they all exemplify the use of power. In the first case, the shaman’s power is impersonal and supernatural. The United States’s war with Afghanistan was a case of the direct application of massive force by an advanced technological society. Among the egalitarian Cree Indians, planning a wedding is one of the few areas in which the chief is permitted to exercise authority and demonstrate his leadership. For the Lugbara, actual sorcery, as well as making accusations of sorcery and witchcraft, is a common means of manipulating public opinion to gain political support. Finally, for the Aztec, the priest became the servant of the enormous power of religious tradition. (Lewellen, 2003, 88) [1]
Marco Aime nota che l’elemento territoriale non è determinante per le società segmentarie e le società nomadi: il gruppo politico non coincide necessariamente con il gruppo locale, ma si struttura su base parentale. In questi casi sembrerebbe meglio parlare di aree di ingerenza aperte al transito di altri soggetti, piuttosto che di territorio suddiviso da confini netti.
Sulla questione della territoritalità non c’è unanimità da parte degli antropologi: Marc Abéles ritiene che l’elemento territoriale sia coessenziale alla sovranità anche presso altre culture. Ad esempio, egli rileva che, nel rituale di insediamento al trono del sovrano shilluk, è fondamentale la ritualizzazione dello scontro tra nord e sud del paese, mentre, presso gli Swazi, il primo atto dell’erede al trono è ricollocare la nuova capitale.
Quale che sia l’interpretazione corretta, la sovranità può avere un legame più o meno stretto con il territorio – il compito del re, in ogni caso, è garantire che la terra sia generosa –, ma non si declina necessariamente, come avviene nello Stato, nella forma dell’amministrazione e del governo territoriale.
La costituzione di un nesso tra sovranità e amministrazione del territorio nelle società segmentarie e centralizzate è un portato dell’epoca coloniale. I capi hanno assunto funzioni di controllo territoriale solo quando gli europei hanno cercato di rafforzare le proprie istituzioni mediante referenti locali. In tal senso, secondo Evans-Pritchard e Fortes, la colonizzazione avrebbe in questo modo alterato e frainteso la funzione delle autorità tradizionali (Evans-Pritchard and Fortes 1950, 15-22).
Conclusioni
Il pensiero politico occidentale, soprattutto quando ha tentato di farsi scientifico, è sempre stato segnato da una forte tendenza all’estensione delle proprie categorie per leggere le altre società umane. Il modo in cui il pensiero occidentale ha guardato e ha giudicato le altre culture è ricco di fraintendimenti. Ciò che ci offre è più una conoscenza dell’occidente che delle altre società umane. La proiezione della spazializzazione dei campi dell’agire sociale e dei concetti politici è stata una prepotente manifestazione di alcuni assunti inespressi del pensiero occidentale. Si potrebbe dire che esso è una “visione del mondo” di weberiana memoria, o che il pensiero topografico costituisce, per usare la categoria di Rodolfo Sacco, un crittotipo, cioè una premessa inespressa del ragionamento dei soggetti appartenenti a un determinato sistema culturale.
Tanto la spazializzazione è stata importante per l’elaborazione di concetti politici e giuridici moderni, quanto oggi, alla luce della globalizzazione e delle nuove istanze di democratizzazione sociale, essa è percepita come una assunzione limitante. Quale che sia il futuro del pensiero occidentale, la consapevolezza del rilievo della categoria di spazio può rappresentare un’importante punto di partenza per una rilettura, un’attualizzazione e una reinvenzione delle categorie politiche e del pensiero politico stesso.
Riferimenti bibliografici
- Aime, Marco. 2008. Il primo libro di antropologia. Torino: Einaudi.
- Clastres, Pierre. 1974. La société contre l’ètat. Paris: Les Éditions de Minuit.
- Evans-Pritchard, Edward Evan. 2016. I nuer: un’anarchia ordinata. Milano: Franco Angeli.
- Evans-Pritchard, Edward Evan, and Fortes, Meyer. 1950. African Political Systems. London: Oxford University Press.
- Lewellen, Ted. 2003. Political Anthropology. Santa Barbara: Praeger.
- Morrone, Andrea. 2017. Sovranità e Stato. Associazione Italiana Costituzionalisti, 3: 2-108.
- Sartori, Giovanni. 1987. Elementi di teoria politica. Bologna: Il Mulino.
[1] «Uno sciamano maori cura la meningite tramite infusioni di mana, una forza invisibile presente nel corpo del suo paziente. Un capo degli indiani cree organizza un matrimonio. Un presidente degli Stati Uniti d’America scatena un bombardamento senza precedenti su un paese asiatico impoverito. Uno stregone lugbara invoca i fantasmi affinché costoro causino una malattia su un vicino. Un sacerdote azteco strappa il cuore ancora vivo durante un sacrificio umano. Ciò che queste diverse azioni hanno in comune è l’essere ciascuna una esemplificazione dell’uso del potere. Nel primo caso, il potere dello sciamano è impersonale e soprannaturale. La guerra degli Stati Uniti contro l’Afghanistan rappresenta un’applicazione diretta della forza da parte di una società tecnologicamente avanzata. Tra gli egualitari indiani cree, l’organizzazione di un matrimonio è uno dei pochi ambiti nei quali è permesso al capo di esercitare l’autorità e dimostrare la propria leadership. Per i Lugbara, la stregoneria, come la formulazione di accuse di magia e stregoneria, è un comune mezzo di manipolazione dell’opinione pubblica per conseguire consensi politici. Infine, per gli Aztechi, il sacerdote è il tramite dell’enorme potere della tradizione religiosa»
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