La Saggezza straniera di Arnaldo Momigliano fra storia e filosofia

La prima e originale versione di Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture, uscì in lingua inglese nel 1975. Venne poi tradotta e pubblicata in italiano nel 1980 da Einaudi che, ora, ne propone una nuova versione. Il volume raccoglie delle sessioni di lavoro e dei seminari che lo storico Arnaldo Momigliano ha composto tra Cambridge e il Bryn Mawr College, e rappresenta un grande esempio di erudizione e metodo. La domanda a cui l’intera ricerca prova a rispondere si trova a metà fra la storia e la filosofia: qual è stato l’atteggiamento dei Greci di fronte alle altre culture di cui ha fatto conoscenza? L’Ellenismo, infatti, considerata come la fase finale del predominio greco – parabola storico-culturale che si intende chiusa con la battaglia di Azio nella quale i Romani si assicurarono le terre egiziane (31 a.C.) ―, è il periodo nel quale i Greci conobbero da vicino Romani, Celti, Ebrei,  Egiziani, Iranici, e più o meno tutte le realtà culturali che facevano riferimento allo spazio mediterraneo.

Dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla già ricordata battaglia di Azio, la diffusione della civiltà greca e, in particolare, di quel complesso di idee e raffigurazioni che possiamo chiamare – riducendone drammaticamente la complessità e le diversità interne – Ellenismo, è stata vastissima. Essa ha toccato tutte le estremità territoriali raggiungibili e conosciute; l’area mediterranea, euroasiatica e orientale. Questa sua diffusione territoriale, tuttavia, ne abbassò significativamente la carica rivoluzionaria: «confrontata con la precedente età assiale, quella ellenistica appare moderata e conservatrice», scrive Momigliano (p. 12). In questo tratto risiede, ciononostante, una traccia che si è propagata nel corso dei secoli e che ancora ci riguarda, sostiene lo storico piemontese. Sì, perché – scrive – «il confronto tra l’età assiale e quella ellenistica serve a ricordarci che l’Ellenismo influenza ancora il nostro atteggiamento nei confronti delle antiche civiltà. […] l’homo europaeus è rimasto intellettualmente condizionato dai suoi antenati ellenistici» (p. 13).
Secondo Momigliano, dunque, nello snodo temporale ellenico si ritrova un “imprinting” che condiziona la mentalità europea e, in misura maggiore, il suo atteggiamento nei confronti delle civiltà antiche che non vengono assunte direttamente come matrici proprie. Su questo tema, nella forbice che si apre tra il filellenismo ottocentesco, per arrivare a studiosi molto più recenti come Eric Dodds, autore de I greci e l’irrazionale, Momigliano è molto prudente. Soprattutto si pone a debita distanza da coloro i quali hanno intravisto nei Greci una qualche forma di popolo eletto, la più grande e autorevole forma di perfezione che sia comparsa sulla terra. È innegabile che il popolo greco, contestualmente alla sua postura comunicativa, filosofica, scientifica e persino religiosa, abbia segnato non una ma una serie di tappe imprescindibili nella genealogia dell’uomo europeo. Esso, tuttavia, si è molte volte chiuso in sé, nel tentativo di evitare che culture altre lo modificassero.

Greci e Romani
Per come si è sviluppato il mondo delle idee una volta terminata la fase ellenica, i contatti più interessanti e filosoficamente rilevanti, sono certamente quelli fra Greci e Romani, Greci ed Ebrei, Greci e Iranici. Dei primi Momigliano sostiene una posizione molto interessante e che, in un certo qual modo trova riscontro nello stato effettivo delle cose che si è venuto a creare nel corso dei secoli. I Romani, sostiene Momigliano infatti, agendo da una posizione di forza, «conservarono una netta coscienza della propria identità e superiorità», sfruttando i Greci per arricchire il proprio bagaglio culturale e assimilando i contenuti del pensiero ellenico che gli permettevano di cesellare e rafforzare il proprio status. L’Ellenismo latino (quello di Cicerone, Seneca, Marco Aurelio…) «non fu mai identico a quello greco e tuttavia mai separabile da esso» in un rapporto di esterno-interno che ricalca lo schema attraverso il quale i Romani «divennero i padroni del mondo di lingua greca».

Greci ed Ebrei
La questione di maggior rilevanza rispetto ai rapporti e alle influenze che hanno avuto Greci e mondo giudaico, sono le prove dirette di contatti fra le due culture prima dell’avvento di Alessandro Magno. Momigliano ne dà conto in un lungo excursus storico-filologico e infine si chiede quale profitto trassero l’uno dalla conoscenza dell’altro attraverso il tempo e alla luce di numerose occasioni di incontro. La risposta al quesito è, ancora una volta, significativa nel mostrare tracce di ciò che sarebbe accaduto: «Per quanto riguarda i Greci, la risposta è semplice: essi non registrarono neppure l’esistenza degli Ebrei. In nessun punto dei testi preellenistici ancora esistenti si fa parola della minuscola nazione che doveva più tardi lanciare la sfida più radicale alla sapienza greca» (p. 77). L’atteggiamento giudaico fu molto simile. Il politeismo delle origini che nel V secolo viveva una pressoché definitiva fase di declino non era per nulla “attaccato” dalle divinità greche, piuttosto nei documenti che mostrano la sua fase terminale, «le divinità greche brillano per la loro assenza» (p. 81).
Facendo un salto in avanti di diversi secoli, però, è interessante analizzare la fase finale della vicenda ellenica e soprattutto il suo scontro con gli Ebrei. I numerosi contatti commerciali e culturali che continuarono a persistere giunsero ad un punto di svolta decisivo. Nel II secolo la situazione geopolitica tra i due mondi era tesa: «in Palestina gli Ebrei dovevano affrontare gli intrusi Greci; in Egitto gli intrusi erano loro» (p. 94). A ciò seguì la conquista della Palestina da parte dei Siriani; la pressione di Roma su tutto il territorio mediterraneo si fece sempre più forte e gli Ebrei, chiusi in sé stessi, certi delle proprie certezze e tradizioni, assisterono contestualmente alla progressiva dissoluzione della saggezza ellenica. Non solo, dunque, vennero solo superficialmente intaccati dal pensiero greco, ma gli Ebrei sopravvissero e imposero il proprio credo ben più a lungo di quanto riuscì ai Greci.

Greci e Iranici
Il capitolo sesto del volume di Momigliano compie un passo indietro e indaga i contatti avvenuti fra il mondo greco e quello persiano-iranico. Gli eventi storici a cui fare riferimento sono essenzialmente due: nel 546 a.C. circa i Persiani conquistarono la regione della Lidia; nel 500 a.C. la Ionia si ribellò all’occupazione persiana. Sono solo due dei passaggi di una vicenda enorme, ovvero il dispendioso processo espansionistico dello stato persiano, che coinvolse necessariamente il territorio greco anche dal punto di vista culturale. La situazione politica fra la conquista persiana della Lidia e l’inizio della ribellione ionica contro gli stessi Iranici, permetteva uno scambio reale fra le due tradizioni culturali. La seconda metà del VI secolo a.C., infatti, rappresenta il momento ideale per i magi persiani di diffondere le proprie dottrine al mondo greco. È in questo interstizio che possiamo intravedere echi di provenienza zoroastriana nelle dottrine presocratiche greche, come ad esempio «l’improvvisa elevazione del Tempo a divinità primordiale in Ferecide, l’identificazione del fuoco con la giustizia in Eraclito, l’astronomia di Anassimandro, che colloca le stelle più prossime alla terra che non alla luna» (p. 126).
Tuttavia, questa che può apparire come una pratica affascinante – rintracciare ovvero la possibilità di una provenienza iranica di alcune dottrine presocratiche – deve tenere conto di una semplice considerazione. Se è vero che dei testi presocratici ci è rimasto ben poco, è altrettanto vero che sappiamo che i loro lettori li trovarono assai diversi al loro interno. «Se fossero stati tutti ispirati dai magi – scrive Momigliano –, la varietà dei problemi e delle soluzioni sarebbe risultata ridotta» (Ibidem). Inoltre, ci sentiamo di aggiungere, la provenienza zoroastriana di alcune dottrine dovrebbe essere messa in relazione alla sapienza greca pre-filosofica dalla cui disgiunzione è, probabilmente, nato il pensiero filosofico.

Conclusioni
Quello che è certo è che la cultura ellenica non può essere rappresentata come un monolite statico e immobile. Ciò che sembra apparire come il limite maggiore di questo straordinario testo, è il suo non voler prendere in considerazione che la nostra lettura moderna delle vicende storiche viene filtrata da un eterogeneo percorso culturale.
Così com’è banale, e probabilmente sbagliato, sostenere che «tutti noi siamo Greci», come scrisse il poeta Percy Bysshe Shelley, infatuatosi in maniera eccessiva del mondo greco, è errato pensare che in quello che noi definiamo Ellenismo, o cultura greca, non vi siano innestati concetti e dottrine di altra provenienza.
Se dovessimo trarre un insegnamento dalla lettura di questi saggi – a volte spigolosi e sovente infarciti di nozioni che ne interrompono il flusso più narrativo –, allora, sarebbe il seguente: la purezza non esiste. Ogni cosa, così come ogni idea, è frutto della combinazione, tutti noi siamo figli, non del caso, ma degli incontri.

Laureato in filosofia, lavora nel mondo della comunicazione e dell'organizzazione culturale. Coordinatore della redazione di questa rivista, ha pubblicato il saggio filosofico "Bergson oltre Bergson" (ETS, Pisa, 2018) e "La spedizione italiana al K2" (Res Gestae, Milano, 2024)

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