Hegel e Spinoza. Un dialogo sul moderno

Un’intensa lezione-dibattito di oltre due ore quella tenutasi giovedi 31 maggio alla Normale di Pisa. Relatori Biagio De Giovanni, ex-rettore dell’Orientale di Napoli e docente di Filosofia politica e morale, e Filippo Mignini, docente di Storia della Filosofia all’Università di Macerata e grande studioso del pensiero di Spinoza. I due si sono incontrati per discutere il recente libro di De Giovanni, Hegel e Spinoza, Dialogo sul moderno. Qui la relazione sull’evento.

Lettura teatrale dal De Rerum Natura di Lucrezio

Si è tenuto mercoledì 2 maggio, alle ore 21:30 presso l’aula A del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Macerata, la lettura teatrale del De Rerum Natura di Lucrezio. La rappresentazione è stata organizzata dal prof. Filippo Mignini insieme ad alcuni studenti.

I guardiani della ragione

La rubrica The Stone del New York Times si conferma ancora una volta uno dei migliori e consistenti blog divulgativi a carattere filosofico. Da un po’ di tempo è in corso un dibattito sul significato odierno della filosofia e sul ruolo dei filosofi. Abbiamo già segnalato quello di Steven Nadler su Spinoza. Ora, dopo quello molto interessante di Colin McGinn (che pure invitava gli addetti ai lavori a cambiare nome alla filosofia con quello di scienza ontica), l’ultimo intervento è di Julian Friedland, visiting professor alla Fordham University, “l’università gesuita di New York” come indicato nella presentazione del sito di quell’università.
Nel titolo del suo articolo, Friedland mette subito le cose in chiaro: filosofia non è scienza. Come fatto recentemente notare anche dal nostro Lucilio, il docente americano ricorda che la filosofia è la madre di tutta la conoscenza. Il suo ragionamento parte dalla definizione classica di filosofia come amore per la sapienza (e già abbiamo discusso, con il dibattito sul blog, che se uno assume la filosofia come sapienza, o peggio ancora come scienza come ha fatto Hegel, stravolge dall’inizio il suo reale significato). Il problema, dice Friedland, è il seguente: qual’è il grado di conoscenza che la filosofia può portare in più rispetto a quello già determinato dal sapere scientifico? Che cosa ha in più la filosofia rispetto alla scienza? Miriadi di filosofi contemporanei sono perfettamente coscienti di essere niente altro che dei servitori della scienza, dei meri e semplici uscieri rispetto ad essa, nota amaramente il docente.
Il punto (peraltro semplice ma decisivo a ricordarsi) è allora che la filosofia, a differenza della scienza, non riposa su osservazioni empiriche ma è fondata su principi logici e razionali. Come tale, mentre la scienza tende ad alterare e ad aggiornare le sue scoperte giorno dopo giorno attraverso prove ed errori, le deduzioni logiche sono eterne. Nessuna osservazione empirica potrà cambiare il fatto che 5 più 7 fa 12. Certamente argomenti fallaci potranno derivare anche da sofisticate dimostrazioni razionali. Ma tuttavia ciò non toglie che essi saranno sempre invalidi e soggetti a fallimento. Indicare tale genere di errori fa dunque parte del capitale essenziale della filosofia. Come Socrate mostrò molto tempo fa, il guadagno realizzato nel fare filosofia consiste nel comprendere ciò che deve essere escluso da un corretto apprendimento. Non è un caso che la quasi totalità dei dialoghi platonici abbia carattere aporetico mostrando le strade che non devono essere intraprese per la soluzione di un certo problema. Altri esempi possono essere la critica di termini utilizzati in vari contesti (come nei casi utilizzati da Wittengstein) o le premesse utilizzate dalla Corte di Giustizia per emettere le proprie sentenze. Altri esempi citati sono quelli in ambito giurisprudenziale ed etico.
In tutti i casi si ribadisce il concetto che la filosofia non è scienza in quanto essa impiega i mezzi dell’analisi logica e della chiarificazione concettuale in luogo della misurazione empirica. Questo approccio, se attentamente attuato, può dare una conoscenza più affidabile e duratura della scienza. La misurazione scientifica infatti è sempre soggetta ad un certo livello di riaggiustamento basato su osservazioni future. Al contrario, solidi argomenti filosofici raggiungono una certa misura di immortalità. Così, conclude Friedland, se noi filosofi vogliamo restaurare l’autorità della filosofia, non dobbiamo cambiarne il nome ma impegnarci più spesso con questioni di interesse corrente, non come scienziati ma come guardiani della ragione. Questo (secondo una premessa ottimistica forse discutibile ma comunque sempre da porre in risalto), incoraggerà le persone a pensare più criticamente, ovvero a diventare più filosofiche.

Il Problema Spinoza

Dopo quelli su Nietzsche e Schopenhauer, lo scrittore Irving Yalom dedica il suo ultimo romanzo a Spinoza. Il titolo è Il problema Spinoza, una frase tratta, come spiega nell’intervista rilasciata a Susanna Nirenstein apparsa oggi su Repubblica, dal rapporto dei nazisti che avevano requisito la biblioteca del pensatore di origine ebraica conservata in Olanda. Yalom ha compreso benissimo, come afferma nell’intervista, che “al centro del pensiero spinoziano c’è l’idea che ogni cosa abbia un nesso causale e che la causa possa essere colta non solo negli eventi esterni ma anche nei fenomeni mentali”. Per questo motivo il filosofo olandese può essere considerato un precursore di Freud. Quello che a noi salta agli occhi è però il fatto che, dopo il romanzo su Schopenhauer, Yalom abbia sentito la necessità di scrivere un libro su Spinoza. Casualità o, appunto, necessità?

Dialogo sulla vera teologia

Tratto “liberamente” dal carteggio che Spinoza ebbe con Oldenburg, segretario della Royal Society, abbiamo riscritto, adeguatamente riformulato e semplificato (anche nei nomi), il dialogo che i due personaggi ebbero tra il novembre del 1675 e il febbraio del 1676 riguardante tre argomenti decisivi: il determinismo dell’agire umano, i miracoli e la risurrezione di Cristo. Anche questo è un contributo per la comprensione del Trattato Teologico Politico.

Oldenburgio (Epistola 22).
Caro Barucco, è ora che tu ti esprima in modo più semplice riguardo a quanto hai scritto nel tuo Trattato teologico politico. Intanto vorrei che tu facessi chiarezza sul rapporto tra Dio e natura, dal momento che molti pensano che tu confonda le due cose. In secondo luogo tu togli valore ai miracoli, e questo non è giusto. Infine vorrei che tu parlassi senza ambiguità su Gesù Cristo, nostro salvatore.

Barucco (Epistola 23).
Caro Oldenburgio, cercherò di essere quanto più chiaro possibile nei tre punti sui quali mi chiedi di esprimermi meglio.
Innanzitutto ti ribadisco che le cose, come dice S. Paolo, sono e si muovono in Dio: nonostante ciò molti continuano a non capire il rapporto esistente tra Dio e natura. A costoro dico, come dice Gesù, che chi ha orecchi per intendere intenda.
In secondo luogo io dico che i miracoli equivalgono all’ignoranza e sull’ignoranza non si può edificare alcunché. Anzi ti ricordo che l’ignoranza è fonte di ogni malvagità per cui non mi stancherò mai di denunciarla e di combatterla.
Infine confermo che per la salvezza non è necessario conoscere Gesù Cristo nella carne, cioè credere nell’incarnazione, espressione che oltretutto comprendo allo stesso modo di chi mi voglia convincere che il cerchio possa diventare quadrato. Gesù Cristo infatti è una tra le tante manifestazioni della sapienza divina, così come fu Salomone.

Oldenburgio (Epistola 24).
Se la metti così cercherò di trarre alcune conseguenze da quanto mi dici.
Se tu stabilisci che ogni cosa è in Dio, allora significa che ogni cosa, azione, persona è guidata da una fatale necessità: con la conseguenza che saltano le leggi, le morali, i premi e i castighi per le singole azioni. Tutti saranno giustificati e nessuno sarà colpevole di fronte a Dio. L’hai detto tu (sebbene implicitamente): se tutto è necessario, non c’è spazio per il libero arbitrio!
Il secondo punto, quello sui miracoli, mi sembra inammissibile. Intanto come la metti con le risurrezioni di Lazzaro e di Gesù? E poi, essendo gli uomini degli esseri finiti, come anche tu riconosci, in che modo questo può essere imputato a loro colpevolezza?
Sul terzo punto dici di non capire l’incarnazione. Ma qui il Vangelo parla chiaro: “il verbo divenne carne”. Se togli ciò, la religione cristiana diventa una favola!

Barucco (Epistola 25).
Ah, adesso capisco! Hai timore che si dica che l’essere umano non è libero ma agisce in base al più rigido determinismo! E hai timore che questo si dica anche di Dio! Ma si tratta proprio del fondamento del mio Trattato Teologico politico! Allora voglio chiarirti meglio il problema elencandoti le conclusioni che si devono trarre dalla questione della necessità:
io non sottopongo Dio al fato ma ritengo che ogni cosa derivi da Dio: quindi non c’è rapporto di sottomissione, perché Dio stesso è il fato. E dicendo ciò salvaguardo anche la sovranità e l’onnipotenza di Dio, stai tranquillo. E questo te lo dico facendo anche riferimento a quel grande sapiente che fu Seneca!
questa necessità non cancella né le leggi divine né quelle umane. Il punto infatti non è tanto quello di agire secondo libertà o secondo necessità: il vero problema è piuttosto quello di liberarsi da speranza e timore!
gli uomini sono in potere di Dio in tutto e per tutto, così come la creta lo è nelle mani del vasaio: quindi gli uomini sono senza scuse nei suoi confronti!
Adesso capisci meglio cosa intendo per fatale necessità?
Riguardo ai miracoli, insisto su quanto ti dicevo: chi vuole fondare la dimostrazione di Dio sui miracoli non fa una riduzione all’assurdo (come si dice…) ma una riduzione all’ignoranza! Ti faccio presente, a questo proposito, che l’apparizione di Cristo agli apostoli non è diversa dall’apparizione di Dio ad Abramo quando questi invitò quei tre uomini a pranzare con lui come è scritto nel libro della Genesi.
Per quanto riguarda infine la risurrezione, considera lo stesso episodio che ti ho appena citato per i miracoli: Abramo cioè credette che Dio fosse stato a pranzo con lui. Ma anche in questo caso, così come nel caso della risurrezione, si tratta di concetti adattati per la mente degli uomini. Ne consegue che la risurrezione di Cristo fu in realtà spirituale e con quell’espressione (risurrezione appunto…) si deve intendere che Cristo diede un esempio di eccezionale santità con la sua vita e con la sua morte. E il significato dell’espressione secondo la quale egli fa risuscitare dai morti significa che i suoi discepoli risorgono quando prendono a modello il suo vivere e il suo morire.
E poi, scusa: i cristiani hanno interpretato spiritualmente tutto quello che i giudei hanno inteso carnalmente; ora io non posso interpretare spiritualmente tutto quello che i cristiani vogliono interpretare carnalmente? Dai, sù, Oldenburgio! Abbi pazienza! Io riconosco come te la debolezza dell’uomo: e proprio per questo motivo, noi siamo forse in grado di dire fin dove si estende la forza e la potenza della natura? Sai tu dirmi per caso che cosa è in grado di fare un corpo? Dimmi, chi è più presuntuoso: chi vuole rispondere a queste domande o chi non sa che cosa rispondere? Ciò che non è spiegabile allora lasciamolo in sospeso perché, come forse dirà qualcuno in futuro, su ciò di cui non possiamo parlare è preferibile tacere! Anzi, ti dirò di più: chi ha veramente compreso qualcosa, dovrebbe rimanere in silenzio. E infine (giusto per portarti un altro esempio in merito al problema dell’incarnazione) quando la Scrittura dice che Dio era nella nuvola, nel tabernacolo o nel tempio significa che Dio era diventato nuvola, tabernacolo e tempio? Guarda, non so più che cosa aggiungere…

Oldenburgio (epistola 26).
D’accordo, ora capisco meglio cosa tu intendi per fatale necessità. Tuttavia i problemi non sono ancora risolti. Se l’uomo è in potere di Dio così come la creta lo è nelle mani del vasaio, allora io posso dire che l’uomo, al contrario di quanto tu pensi (e anzi a maggior ragione), l’uomo dicevo è addirittura in grado di giustificarsi per ogni sua azione e tutti avranno una scusa bella e pronta per qualsiasi loro comportamento.
Non aggiungo altro sui miracoli e prendo atto che tu li consideri al pari dell’ignoranza.
Riguardo alla risurrezione infine, ti chiedo: dobbiamo intenderla come una cosa allegorica? Certo, gli evangelisti ne parlano in modo così chiaro che mi sembra un’interpretazione strana la tua…

Barucco (episola 27).
Tu dici che gli uomini, se tutto è determinato, sono perdonabili. Va bene: ma che conclusione trai da ciò? Se dici che Dio non può adirarsi con loro, sono d’accordo con te. Ma, dimmi, puoi dire che essi sono tutti felici? Io dico di no: perché se gli uomini possono essere perdonati per il fatto di non essere responsabili delle proprie azioni, tuttavia possono mancare della felicità e vivere male. Un cavallo è un cavallo, un cane randagio è un cane randagio, un uomo è…un uomo! Che significa? Significa che egli ha una natura, quella di avere una ragione, che, se esercitata, conduce alla sua libertà; se invece quella natura non viene esercitata, l’uomo si perde e non è più uomo: allora di che cosa ci si lamenta? Chi non sa controllare le proprie passioni, necessariamente si perde.
Sui miracoli aggiungo solo che non riesco proprio a capire perché, se si stabilisce l’uguaglianza tra essi e l’ignoranza, si debba considerare il potere di Dio uguale al sapere umano.
Sulla resurrezione ti confermo che io la considero allegorica. Stai attento peraltro a quello che dice S. Paolo: quello cioè di aver conosciuto Gesù non secondo la carne ma secondo lo spirito.

Oldenburgio (epistola 28).
Quello che dici sul primo punto è duro e difficile da accettare: qualcuno ti accuserà di crudeltà per questo.
Sui miracoli diciamo così: tu credi che l’uomo abbia la stessa potenza e sapienza di Dio. Io non sono d’accordo perché Dio supera di gran lunga la sapienza umana.
Sulla resurrezione infine non sono disposto a seguirti: tutta la religione cristiana poggia su tale fede in modo tale che, se essa viene meno, viene meno anche la missione di Cristo. Se intendi la resurrezione come un fatto allegorico, sovverti tutta la verità evangelica.
Ci risentiremo in merito agli esperimenti che sto portando avanti.
A presto.

[p.s.: Il numero tra parentesi delle epistole si riferisce a quello dell’edizione Mignini-Proietti delle Opere di Spinoza].

Guida allo studio del Trattato Teologico-Politico (TTP) (seconda parte).

Elezione del popolo ebraico, significato della Legge e valore degli atti di culto: sono questi gli argomenti dei capitoli III-V del TTP che sono qui riassunti e rielaborati. Mi accorgo, in questa introduzione, di aver fatto un itinerario a ritroso. Non importa: come dice Aristotele, nell’insegnare non sempre bisogna cominciare dal principio della questione bensì da ciò che più è immediato e semplice da imparare.

Guida allo studio del Trattato Teologico-Politico (TTP) (prima parte)

Il Trattato teologico politico è un seme gettato nel pieno della tempesta. Il suo autore non si cura che esso venga disperso o vada a finire chissà dove: egli non può non gettarlo. Siamo al cuore di ogni principio rivoluzionario. A meno di due mesi dal nostro ritiro, vi indico alcune linee direttive per la lettura e la meditazione di quest’opera. Spero di poterne aggiungere delle altre nei prossimi giorni ma vi anticipo fin d’ora che ci limiteremo ad approfondire soltanto la prima parte del testo, ovvero i capp. I-XV. Cionondimeno vi chiedo un attento studio e spero che questo contributo possa segnare l’inizio della nostra discussione.

Qui il documento.