Hegel assume il falso come momento della verità: questo è emerso nei precedenti saggi. Ne consegue che tale status domanda di venire adeguatamente pensato. Del resto, pensare questo status consente di produrre un significativo avanzamento rispetto a quanto è stato già detto in ordine al “vero” così come esso inizialmente si presenta.
Ciò che ora prenderemo in esame è quanto segue: vi sono due modi per pensare il vero. Il primo modo lo pone come un termine in relazione al falso. Il secondo modo lo pone come la relazione stessa. Il vero, insomma, deve venire pensato sia come la relazione sia come uno dei suoi momenti (termini).
Il vero, infatti, non può essere soltanto termine (momento) in relazione al falso, assunto come termine (momento) in relazione al vero. Se così fosse, ci si dovrebbe chiedere quale valore verrebbe ad avere la relazione tra il vero e il falso. La risposta a tale domanda non può che essere questa: la relazione di vero e falso non può non essere vera, giacché essa è condizione dei suoi termini. Tale relazione, del resto, costituisce il fondamento della stessa logica formale.
Che è come dire: nella misura in cui ci si dispone nell’universo empirico-formale, la relazione vero/falso non può venire discussa, stante che costituisce la condizione a muovere dalla quale è possibile porre un enunciato preferendolo all’enunciato che lo nega.
Rileviamo, a questo proposito, che in più di una occasione abbiamo fatto notare la contraddittorietà intrinseca del costrutto relazionale. Ciò che deve essere chiaro è che tale contraddittorietà viene colta in virtù del pensiero riflessivo e critico, cioè della coscienza che emerge oltre l’universo empirico-formale.
Se, di contro, si permane all’interno di tale universo, allora non si può evitare di fare uso della logica bivalente, che è la principale forma in cui trova espressione la logica formale.
La logica bivalente impone che non si possano usare che due valori di verità, il vero e il falso appunto, in modo tale che l’insieme dei due valori viene assunto come la verità formale fondamentale, quella che si ritiene emerga oltre il vero e il falso e che inglobi entrambi. Una verità formale di secondo livello, si potrebbe anche dire, stante che il nesso include vero e falso come suoi termini.
In questo modo, il vero sarebbe sia un momento, in relazione al falso, sia il tutto formato dalla sintesi del vero e del falso. E ciò comporterebbe la necessità di distinguere il vero, inteso come momento, dal vero, assunto come tutto (insieme), stante che il primo vero non potrebbe venire confuso con il secondo.
Se non che, non si riscontra in Hegel alcuna traccia di una simile distinzione, che pure risulta di primaria importanza, stante che il vero che ingloba sé e il falso non può non avere un diverso valore logico rispetto al vero che è solo un termine.
Ciò che viene a riproporsi, in tal modo, è quella riduzione del vero a determinazione, che abbiamo in precedenza discusso e sulla quale ci siamo interrogati. Sottolineiamo ancora che il vero viene ridotto a determinazione anche se viene pensato come “relazione vero-falso” e ciò proprio per la ragione che la relazione non si configura come un’effettiva emergenza oltre i termini, stante che per includerli deve essere complanare ad essi, sì che si determina in forza di essi.
È altresì da rilevare che si danno anche due modi per intendere il falso. Per il primo, il falso vale come termine in relazione al vero. Per il secondo, il falso vale come momento della verità, nel senso che solo il falso vale come “momento”, perché il vero viene assunto come il “tutto” che ingloba il falso come una sua “parte”.
In questo caso, si deve opportunamente specificare che la relazione non sussisterebbe tra il vero e il falso assunti entrambi come momenti, ma tra il vero, assunto come il tutto, e il falso, assunto come parte del tutto.
Il nodo teoretico consiste in questo: sia se vero e falso vengano intesi come termini sia se il falso viene pensato come momento del vero, consegue che senza il falso il vero non si pone. E ciò vale anche se la relazione vero/falso è pensata come vera, dal momento che essa si pone se, e solo se, si pongono i suoi termini; dunque, solo se si pone il falso come suo momento.
Di contro al modo formale di pensare il vero, si erge il senso trascendentale. Tale senso si configura allorché il vero è pensato come fondamento tanto di sé quanto del falso, secondo la nota formula spinoziana per la quale “veritas [est] norma sui et falsi” (Spinoza 2010-2011, 1290 testo latino; 1291, traduzione italiana).
In questo caso, il vero emerge oltre il falso e non si fa condizionare da esso. Di più: il vero si rivela ciò in virtù di cui il falso “viene falsificato”, come attestato anche dall’etimo della parola. “Falso”, infatti, è participio passato del verbo fallere e indica, appunto, “ciò che è stato falsificato (dal vero)”.
Se in questa ultima prospettiva delineata solo il vero, in effetti, è veramente, di contro nella prospettiva indicata da Hegel la differenza di vero e falso viene comunque mantenuta e con essa la dualità, così che l’unità che sussisterebbe tra di essi non sarebbe comunque autentica, ma sarebbe un’unificazione, che mantiene gli unificati come distinti. Vera unità è solo quella che si realizza per il togliersi del vero in virtù del falso, sì che solo il vero permane veramente.
Per contrario, Hegel non discute l’esistenza del falso. Come notavamo nel saggio precedente, il falso esiste perché, sempre per Hegel, è il distinguersi della sostanza, ossia il suo farsi altra a sé stessa.
Il sapere, pertanto, implica il falso perché implica la differenza con il proprio contenuto: “Proprio tale disuguaglianza, però, è l’atto del differenziare in generale, e costituisce perciò un momento essenziale. È da questa differenziazione che deriva successivamente l’uguaglianza tra il sapere e la sostanza, e tale uguaglianza, in quanto divenuta tale, è la verità. Non si tratta però di una verità da cui la disuguaglianza sia stata soppressa come le scorie vengono espulse dal metallo puro, né è una verità che somiglia al prodotto finito in cui non è rimasta traccia dello strumento che l’ha lavorato. Al contrario, la stessa disuguaglianza è ancora presente in modo immediato nel vero in quanto tale, e vi è presente appunto come il negativo, come il Sé” (Hegel 1995, 95).
Se il vero è “l’uguaglianza tra il sapere e la sostanza”, esso non può non postulare la “disuguaglianza” come suo punto di movenza. La disuguaglianza, pertanto, è presente nel vero ed è presente in modo immediato, perché immediatamente richiesta come condizione dell’uguaglianza, cioè come “il negativo” dell’uguaglianza stessa. Che è come dire: l’uguaglianza, cioè il vero, poggia sulla disuguaglianza, cioè sul falso.
Per cercare di evitare questo approdo, si potrebbe fornire un’interpretazione ulteriore e si potrebbe affermare che l’unità di vero e falso potrebbe venire pensata come ciò che accomuna i disuguali, cioè i distinti, ossia come la loro comune reciprocità, la quale potrebbe venire interpretata come il vero.
Intendiamo dire che, se si parla del vero nei termini di un’uguaglianza che supera la disuguaglianza, intesa come falso, allora a noi sembra che l’unico modo per cogliere questa uguaglianza sia valorizzare il comune tra i disuguali.
In tal modo, acquisterebbe senso anche il fatto che lo stesso Hegel abbia valorizzato la “distinzione”, fino al punto che si potrebbe ipotizzare che il vero coincida proprio con la distinzione stessa.
Seguendo questa ipotesi, si dovrebbe intendere la “distinzione” non come uno status, cioè come la relazione tra distinti, ma come il distinguersi dei termini della relazione, in modo tale che, in questo caso, risulterebbe sensato – almeno da un certo punto di vista – parlare di unità, perché questo distinguersi, che è un atto, risulterebbe comune ad entrambi i distinti, cioè sarebbe il medesimo per entrambi e in esso i distinti cesserebbero di essere due.
In sintesi: il vero sarebbe il distinguersi di vero e falso e varrebbe come un’unità perché il distinguersi sarebbe un atto.
Tuttavia, abbiamo usato il condizionale, perché – da un altro punto di vista – l’unità che caratterizza l’atto del distinguersi non è un’unità effettiva, così che neppure il vero, inteso come atto, può venire considerato un vero autentico. Ciò che deve venire sottolineato, infatti, è che risulta possibile continuare a determinare l’atto come l’atto del “distinguersi” dei termini se, e solo se, i termini permangono due.
Si potrebbe anzi dire che, solo per la ragione che i termini sono due e quindi la dualità permane, l’atto può venire definito “atto del distinguersi”: se, infatti, la dualità non fosse, allora anche il “distinguersi” verrebbe meno, valendo come “distinzione-di-nulla”, sì che la stessa distinzione sarebbe nulla.
Per un verso, dunque, la dualità sembrerebbe originare dalla distinzione; ma, per altro verso, è la distinzione che postula la dualità, dal momento che si può parlare di “distinzione” solo se si danno i “distinti”, che non possono non essere almeno due.
Di contro, se si volesse indicare davvero l’unitarietà dell’“atto”, allora si dovrebbe fare riferimento al venir meno della dualità, e intendere il vero come quell’unità che sia autentica.
In questo caso, non si potrebbe fare altro che parlare dell’atto del “togliersi” dei distinti (che costituirebbero, in quanto disuguaglianza, il falso), così che solo tale “atto” risulterebbe effettivo e solo l’unità da esso restituita varrebbe come l’unità del vero, cioè dell’uguaglianza che risolve in sé, in quanto tolta, la disuguaglianza, cioè il falso.
Qualora si fornisse una simile interpretazione, che a nostro giudizio lo stesso Hegel almeno in parte potrebbe sottoscrivere, si perverrebbe a questa conclusione: nella misura in cui l’atto è ablativo, ossia vale come ablatio alteritatis, non soltanto è vero atto, ma altresì restituisce l’effettiva unità.
Riferimenti bibliografici
- Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. 1995. Fenomenologia dello spirito (trad. it. di V. Cicero). Milano: Rusconi.
- Spinoza, Baruch. 2010-2011. Ethica, parte II, prop, 43, scolio; in Tutte le opere, a cura di A. Sangiacomo. Bompiani: Milano.
Articoli di questa serie già pubblicati
- La dialettica vero – falso nella Fenomenologia dello spirito (I) (11 settembre 2022);
- Verità come unificazione nella Fenomenologia dello spirito (II) (9 ottobre 2022);
- Il senso dell’intero nella filosofia di Hegel (III) (13 novembre 2022);
- Unità e relazione in Hegel (IV) (11 dicembre 2022).
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