Ignoro dunque sono

Vi propongo un articolo scritto dal Dott. Germano D’Abramo, fisico e cultore di interessi filosofici. Credo sia estremamente interessante oltreché utile per arricchire il dibattito proposto dopo la pubblicazione dell’intervista a John Searle.

 

“Ché move il mondo?”

Da tempo al CERN di Ginevra si studiava il modo per confermare l’ipotesi del così detto Bosone di Higgs. Nella serata del 4 luglio 2012 è stato dato l’annuncio della effettiva scoperta di tale bosone (del quale, per evidente ignoranza, non so spiegarvi molto), che va quindi ad allargare i confini della scienza, di un passo più in là, che porterà – come ogni scoperta scientifica – una modificazione nella concezione della realtà e nella definizione delle leggi che governano il mondo.
I giornali, ovviamente, sono infarciti di articoloni su tale scoperta, che rinominano la scoperta della Particella di Dio. Intanto due considerazioni: 1. cercare di inserire la religiosità, ancora una volta, in una ricerca razionale e più che mai regolata da leggi di Necessità e Causalità è deviante e sminuisce la ricerca scientifica; 2. se fossi un credente (di quelli veri, coerenti!) mi arrabbierei, non potrei vedere la mia divinità resa particella, spostata dalla sua aurea di sacralità.

Oltre queste considerazioni quasi da discussione di talk show, vorrei intervenire sul ruolo che gioca questa scoperta nel rapporto tra scienza e Filosofia, e sul ruolo della Filosofia oggi. Argomento caro a noi di RF. (Vedi: https://www.ritirifilosofici.it/?p=801)

Leggendo di tale scoperta, ai confini della materia, e del Big Bang, su giornali internazionali ho riscontrato – più volte – l’affermazione che: se fosse confermata e stra-confermata tale teoria il mondo sarebbe governato da poche leggi semplici ed estremamente efficaci.
Certo è che i fisici ora dovranno dimostrare se tale scoperta è vera, e se veramente ci saranno poche e semplici leggi a governare il mondo, o – parafrasando Dante – a “movere il mondo”.
Di sicuro ciò mi porta a pensare che questa scoperta sia una ulteriore prova a conferma della mia (e nostra, di RF) teoria del ruolo della Filosofia nel dibattito odierno. E nel rapporto con la scienza.
Anche se venisse spiegato come il momento prima del Big Bang (tale è la portata della scoperta del Bosone) è necessario che a fare i conti con tale novità (o eternità?) sia la Filosofia. L’unica capace di inserire un nuovo paradigma, per usare i termini cari a Khun, nella mentalità scientifica (intesa in senso molto ampio) e poi trasferire le conseguenze nella realtà pratica.
I filosofi che hanno concepito il proprio lavoro come un lavoro volto alla comprensione del Tutto sarebbero entusiasti di questa scoperta, ma si lascerebbero il “compito” di fare i conti con questa novità.

E sostengo ciò per un semplice motivo, e niente affatto per demonizzare gli scienziati e coloro che praticano ricerca scientifica senza dogmi, e men che mai per difendere una improbabile categoria dei filosofi. Ma perché: è storicamente comprovato che il Tutto (che eccede la somma delle sue parti) è argomento di studio dei filosofia, e della Filosofia. Azione razionale e logica per eccellenza, senza punti di vista, ma totale, e totalmente razionale.

Saverio Mariani

L’enigma del Tempo

All’interno della Festa di Scienza e Filosofia , organizzata a Foligno (PG) dal Laboratorio di Scienze Sperimentali, sono intervenuti anche alcuni filosofi che, spesso con un taglio più scientifico, hanno trattato temi interessanti e stimolanti. Il caso del professor Giacomo Marramao è uno di questi. Infatti nella sua lectio il professor Marramao ha analizzato il concetto di tempo, fra fisica e filosofia, spiegando rapidamente la concezione del tempo all’interno della teoria della Relatività di Einstein, e facendo un rapido excursus sull’idea di tempo nella filosofia occidentale, per poi dare la propria idea di tempo.

Nella teoria della relatività non mi inoltro, anche per una riconosciuta incapacità personale, ma provo a delineare le due concezioni principali – secondo Marramao – nella filosofia greca rispetto al tempo: quella aristotelica e quella platonica.

Marramao analizza così le due posizioni:

  • Aristotele, nel libro IV della Fisica, descrive il tempo come numero del movimento secondo il prima e il poi. E Marramao interpreta questo passo come la necessità che ci sia “qualcuno”, o “qualcosa” che misuri il tempo per farlo essere. Il tempo, quindi, si inserisce sempre all’interno delle due linee di non-essere (il passato ed il futuro), e la psyché, è quel “qualcosa” che può numerare il tempo. Che può misurarlo. Quindi il tempo, in Aristotele (come in Einstein) rimane appeso alle sfere della fisica e della psicologia.
  • Platone, nel Timeo, invece mette in relazione, secondo la sua dottrina, l’Eterno ed il Tempo. Dove il tempo altro non è che la scansione in fotogrammi dell’eternità. L’Eterno platonico c’è già tutto, ma va reso chiaro mediante una scansione temporale. Potremmo dire che l’Eterno si fa tempo per essere reale, per essere appreso. Quindi l’Eterno diviene Tempo. Questa è l’interpretazione che ne dà il professor Marramao.

Queste due posizioni, come in molte altre cose, sono i due cardini attorno al quale la filosofia occidentale ha generato il proprio scorrere filosofico durante i secoli. Ma ora veniamo alla posizione espressa dal professore. Intanto c’è da chiarire il concetto di contingenza, che Marramo delinea come una realtà chiara, dove ogni evento si basa su di un incontro causale degli eventi, ma non deterministico. Perché i processi sono caratterizzati da un alto grado di improbabilità. In buona sostanza il professore descrive la realtà non come il frutto di una necessità causale, ma come l’incontro improbabile degli eventi. Nel caso potessimo riavvolgere indietro il nastro degli eventi e poi rimandarlo avanti non avremmo lo stesso film. Perché non vi è alcuna necessità all’interno della realtà. Ed in questa ottica il professor Marramao intende costruire (parole sue) una ontologia della contingenza: “in opposizione, ad esempio, ad una ontologia della necessità, come quella di Severino”.

Mettendosi in opposizione all’ontologia di Severino capiamo già cosa possa intendere il professor Marramao, e che ruolo giochi il tempo. Tempo che è visto sempre insieme alla categoria dello spazio, della spazializzazione. Il tempo è una dimensione – legata allo spazio – nel quale l’uomo si muove, deve prendere scelte ed essere responsabile delle proprie azioni. Obietterei al professore non tanto la costruzione di una nuova ontologia della contingenza, che potrebbe essere il rifacimento di teorie dell’essere già viste, ma più che altro il fatto che anche in una realtà necessaria la responsabilità dell’uomo è salvaguardata. Basta leggere Spinoza, guarda caso. E poi se il tempo sia una dimensione in cui l’uomo può giocarsi la sua libertà, come diceva Einstein, oppure sia una finta dimensione finita, e quindi un’eternità (due serpenti che sbattono la testa, direbbe Nietzsche), è altro. La politica, e con essa la responsabilità umana, non finisce con una visione deterministica ed eterna della realtà.

Questo mi è sembrato il cruccio del professore, che rispondendo alle domande finali, ha messo l’accento sulla necessità di temporalizzare ogni cosa, di renderla manipolabile. Per sostenere ciò, a mio avviso, c’è bisogno di costruire delle fondamenta solide, che purtroppo in questa lectio il professore ha solo accennato. Peccato.

L’universo elegante

Brian Greene, L’universo elegante. Superstringhe, dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima, Einaudi, 2003.

Il libro di Brian Greene (Einaudi, 2003) è un’opera divulgativa sulle teorie più importanti di fisica teorica, aventi l’obiettivo di spiegare le leggi fondamentali della natura. Spazio e tempo sono al centro di questo tipo di ricerca. Ho trovato questo libro estremamente interessante: spiega chiaramente la teoria della relatività generale di Einstein, che mira a spiegare l’infinitamente grande e la curvatura del tempo e dello spazio (concetti che a me risultavano prima totalmente incomprensibili) e la meccanica quantistica, che spiega l’infinitamente piccolo. Il problema, ben illustrato da Greene, è che le conclusioni della relatività generale della meccanica quantistica collidono: se è valida l’una, non può essere valida l’altra e viceversa. La soluzione sembra essere stata trovata con la “teoria delle stringhe”, che ipotizza che la dimensione più piccola e primordiale della materia non sia un punto (senza dimensione), ma appunto una “stringa” (1 dimensione). Questa teoria è al momento solo teorica, poichè si muove a livelli così piccoli che non è stato ancora inventato un microscopio così potente da arrivare a quel livello e quindi verificare sperimentalmente la teoria. Ma l’elemento incredibile di questa teoria è che, almeno in teoria, riesce ad unificare relatività generale e meccanica quantistica. E’ pertanto una vera e propria “teoria del tutto”. Uno degli aspetti più incredibili è che questa teoria presuppone undici (11) dimensioni… Si capisce pertanto come sia difficilmente comprensibile e vada contro le nostre intuizioni (il nostro cervello non riesce ad andare oltre le 3 dimensioni). Si tratta pertanto di un libro estremamente interessante, che dà conto delle principali teorie miranti a spiegare l’universo, cioè la “verità” ultima, a cui noi, amanti della filosofia, siamo tanto legati. Affascinante!
Ultima notazione: la maggior parte dei pensatori che hanno contribuito a sviluppare queste teorie sono americani e tedeschi, ma ve ne sono veramente di tutto il mondo (cinesi, indiani), incluso un bel numero di italiani…

Nella sezione “Letture” è stato appena pubblicato l’articolo su:

Brian Greene, L’universo elegante. Superstringhe, dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima, Einaudi, 2003.