Oriente e Occidente, una relazione da ripensare

Quello dei rapporti tra pensiero orientale e pensiero occidentale è un tema diventato sempre più oggetto di attenzione. Basta entrare in una qualsiasi libreria per accorgersene, dove i libri che trattano questioni di filosofia o di spiritualità orientale, un tempo relegati in spazi angusti e nascosti, ora sono collocati accanto ai testi del pensiero filosofico occidentale. 

Si tratta di un fenomeno che segue la grande contaminazione socio culturale degli ultimi cinquant’anni,  giunta dopo  un rapporto antichissimo che ha conosciuto nel tempo alti e bassi, anche a seconda degli aspetti politici implicati. In questo senso, l’immagine dell’oriente (che si arricchisce anche con vari festival in giro per il nostro Paese) rischia però di essere alterata e banalizzata con un vago esotismo  che promette il raggiungimento di uno stato spirituale in realtà del tutto confuso. Peggio ancora hanno fatto quelle dottrine che, sotto l’apparente rivestimento orientale, contengono categorie tipicamente occidentali (come ad esempio la teosofia).

Le tesi per la separazione tra Oriente e Occidente
Il bisogno di una sezione dedicata al tema nasce dalla convinzione che il confronto, oltre a ridefinire il concetto di  filosofia e il canone pertinente, sia di grande utilità per aiutarci a comprendere la crisi in cui il mondo è sprofondato con l’età della tecnica.

Prima però bisogna liberarsi dal pregiudizio secondo il quale l’occidente avrebbe il monopolio rispetto alla filosofia mentre il pensiero orientale esprimerebbe una semplice saggezza. Le ragioni a sostegno di questa tesi sono essenzialmente due: la prima è che all’oriente è estraneo il concetto  di episteme inteso come conoscenza salda e irremovibile su cui fondare la salvezza dell’uomo; la seconda è che l’oriente non arriva a pensare il nulla così come lo ha pensato radicalmente l’occidente.
Argomenti perentori che tuttavia non ci sembrano corretti. 

Alla tesi secondo cui la filosofia orientale non evoca un sapere epistemico, e di conseguenza sarebbe un coacervo indistinto di opinioni, si unisce l’idea che essa sia fondata su racconti mitici volti solo a dare senso soggettivo alla vita degli uomini. Da questo punto di vista bisogna osservare però che una delle principali tradizioni di pensiero orientale, il Buddhismo, mette in guardia dalle opinioni degli uomini ed anzi impone di fuggire da esse. Nei suoi discorsi il Buddha esorta continuamente a distruggere problemi e preoccupazioni attraverso la conoscenza e la visione: il risvegliato è tale proprio perché ha acquisito la conoscenza superando il “roveto delle opinioni”. Anzi, da questo punto di vista c’è qualcosa di più. Se nella sapienza occidentale il percorso verso la verità è di tipo ascendente (cioè dalla non verità alla verità), secondo il modello classico della caverna platonica, in quella orientale si tratta di acquisire coscienza del fatto che l’uomo si è autoinflitto un vero e proprio depotenziamento (secondo l’immagine forse un po’ banale ma efficace dell’aquila che si crede un pollo).
Il rifiuto delle opinioni è poi carattere specifico della dialettica prajina (quasi un sinonimo di quella che per noi è filosofia) la quale s’incentra sull’idea di un sapere sottratto alle catene delle opinioni. Per quanto riguarda il rivestimento mitico con il quale le verità orientali sarebbero presentate, esso non sembra tanto diverso da quello dei corrispettivi occidentali. Basti pensare a questo proposito ai tanti miti platonici o alla grandiosa immagine del viaggio della dea di Parmenide, mitica presentazione della verità metafisica dell’essere che è e del non essere che non è.

La seconda tesi, quella secondo la quale l’oriente non giunge a pensare in modo radicale il senso del nulla, è ancora più fuorviante. Intanto bisogna dire che il concetto è talmente contraddittorio che, se non può essere assunto come titolo di demarcazione tra filosofie, figuriamoci tra civiltà. Ma quello che bisogna osservare è che nemmeno l’occidente è stato in grado di pensare la radicalità del non essere, come dimostra la cosiddetta aporia del nulla per cui esso, nel momento in cui è nominato, è fatto essere e non è più un nulla. Forse il discorso si potrebbe spostare sul senso della morte che l’occidente vive con angoscia e l’oriente con accettazione: ma da ciò non segue in modo necessario che il primo abbia un’idea del nulla più radicale di quella del secondo. 

Si potrebbe aggiungere un terzo problema altrettanto denso di implicazioni, quello del rapporto tra pensiero ed essere. Da una parte l’occidente tende a far coincidere pensiero ed essere in una sorta di razionalità filosofica pura, secondo il detto di Parmenide per cui il pensiero è lo stesso dell’essere; dall’altra l’oriente, secondo cui il pensiero non può cogliere mai l’essere con la conseguente apertura al misticismo (nei confronti del quale l’occidente ha sempre pronta una parola di biasimo pur annoverando tanti filosofi mistici nella sua tradizione). Tenendo conto che anche in questo caso si tratta di una polarizzazione estrema, gli sviluppi della filosofia e della scienza contemporanea hanno ridimensionato il problema se si pensa al fatto che proprio tanti esponenti della verità logico razionale (basti pensare a Gödel e a Wittgenstein) hanno razionalmente dimostrato i limiti del pensiero rispetto all’essere.

I falsi miti da sfatare
In questa iniziale carrellata di questioni, che andremo a sviluppare in modo adeguato, esistono poi alcuni falsi miti da abbattere. Il primo è quello secondo cui il pensiero orientale rappresenterebbe un’evasione dal mondo reale nella direzione di un evanescente mondo di sogno. Qui si tratta di stabilire che cosa sia la realtà, un problema la cui soluzione occidentale, centrata sul concetto di materia, mostra oggi, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, tutta la sua inconsistenza.

Un altro mito riguarda la filosofia politica e consiste nel contrasto irriducibile tra dispotismo orientale e libertà degli occidentali. Si tratta di un racconto che nasce soprattutto dal celebre Nodo gordiano di Ernst Jünger il quale presentava il rapporto tra le due civiltà in termini radicalmente antagonistici. Questo argomento, prima di essere stato confutato da un punto di vista teorico, lo è stato da quello dell’esperienza storica nella quale si è visto che l’oriente non ha mai conosciuto totalitarismi simili a quelli nati in occidente, e questo (forse) grazie all’idea e alla pratica che una società ben ordinata rappresenta, rispetto all’individualismo scatenato, il miglior argine contro la deriva totalitaria.

Nel quadro della distruzione dei falsi miti, un capitolo a parte andrà dedicato alla religione. In occidente siamo abituati ad associare la religione al teismo, ovvero una delle possibili forme (e neanche la migliore) che può assumere il rapporto dell’uomo con il divino, mentre in oriente per religione si intende la forma più interiore di certezza e verità che molto spesso non ha nulla a che fare con un dio o con il divino. 

Infine bisognerà dimostrare l’impossibilità di scindere filosofia e saggezza e tornare piuttosto all’idea di una filosofia che sia unione di conoscenza e azione:  da questo punto di vista, si tratta di riannodare i legami tra teoria e pratica, secondo il concetto originario di Logos espresso da Eraclito, riaffermando l’idea che non esiste separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Ogni idea di separatezza in questo senso non solo è schizofrenica ma è grande presunzione di ignoranza.

Alcuni pensatori di riferimento
Quali sono i pensatori che ci aiuteranno in questo viaggio? Oltre agli affondi che ci saranno permessi dalle nostre conoscenze del pensiero orientale, cercheremo di utilizzare tutta la ricchezza della filosofia occidentale facendo riferimento a molti autori della cosiddetta filosofia della crisi del primo novecento. Tra questi citiamo René Guénon e Julius Evola. 

Evola è stato ostracizzato dalla cultura italiana che, dopo cinquant’anni dalla sua morte, ancora lo esclude dai rappresentanti più importanti del nostro pensiero filosofico. Di fatto, Evola è un autore proibito e per molti aspetti considerato pericoloso, motivo sufficiente per confrontarci in maniera sistematica con il suo pensiero. Questo anche perché i suoi contributi sulla filosofia orientale sono tra i più validi ancora oggi in circolazione: La dottrina del Risveglio ad esempio, un’esposizione sistematica dei principi del Buddhismo pubblicata nel 1943, tradotta in diverse lingue, costituisce un riferimento fondamentale in materia. Crediamo soprattutto che Evola abbia indicato il modo migliore per affrontare la questione: determinare ciò che l’oriente può essere per noi in modo che le categorie che hanno plasmato lo spirito orientale possano diventare parte viva e organica dello spirito occidentale.

Per quanto riguarda Guénon ci basti per ora enunciare una delle sue idee fondamentali: quella cioè che la vera differenza tra l’oriente e l’occidente è che il primo ha conservato la tradizione mentre il secondo l’ha semplicemente dimenticata. Dove per tradizione si deve intendere la conoscenza metafisica che l’oriente ha saputo mantenere e che l’occidente ha invece, dopo l’Umanesimo e il Rinascimento, completamente dimenticato a favore del materialismo.
Si tratta di un punto delicato quanto controverso. Da esso discende uno dei corollari della tesi di Guénon, quello per cui la sapienza occidentale è da sempre fortemente sopravvalutata a causa dell’eurocentrismo. Al contrario, si tratta di riconoscere che, se per quanto riguarda l’arte e la musica il primato va all’occidente, per quanto riguarda la filosofia e la religione, l’oriente costituisce un  livello di conoscenza e raffinatezza molto più elevato. 

La tesi iniziale sulla filosofia come esclusivo dominio dell’occidente finisce così per essere completamente rovesciata.  Se questo deve essere il prezzo per ristabilire i diritti della verità, non avremo di certo problemi a pagarlo.

Foto di Chris Ensey su Unsplash

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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