Per cercare di individuare come Severino potrebbe rispondere alle domande che gli abbiamo rivolto nel precedente articolo, torniamo dunque all’aporia del nulla. Quello che ci sembra di poter dire è che, per configurarla, non può bastare una formulazione: la si deve legittimare. Se la formulazione usata da Severino traduce effettivamente il principio di non contraddizione, allora anche tale principio andrebbe adeguatamente legittimato, perché chi argomenta su un punto cruciale, un punto sul quale poggia l’intero suo discorso, inclusi gli sviluppi ulteriori di esso, non può permettersi di presupporre alcunché.
A noi sta a cuore innanzi tutto comprendere ciò che Severino intende affermare e per questa ragione cerchiamo di saggiare la consistenza del suo discorso, ben consapevoli dei nostri limiti, ma animati dall’intentio veritatis, che appartiene a chiunque effettivamente ricerchi. Con questo intento, continuiamo a seguire lo snodarsi delle argomentazioni di Severino, interrogandoci intorno ad esse.
Egli, dopo avere dato per acquisito proprio ciò che avrebbe dovuto dimostrare, e cioè la coessenzialità di essere e nulla, riprende il discorso apportando alcune precisazioni. Allorché afferma che la posizione del non essere attesta «l’essere del non essere» (La struttura originaria, p. 213) dichiara che si deve evitare il rischio di cadere in un grave errore: pensare che il termine «nulla» significhi «essere» (ibidem).
Si deve pensare, invece, solo questo e cioè che il «nulla», dotato di un suo specifico significato, è: «il “nulla”, significante come nulla, è» (ibidem). Si dovrebbe parlare, così, di «essere» del nulla, con l’accortezza di non attribuire all’«essere» lo stesso significato di «non essere»: «questo “essere” del nulla non è significante come “non essere”; ma, essendo significante come essere, è essere del nulla (che è significante come nulla)» (ibidem).
Severino, dunque, per spiegare l’espressione «essere del nulla», fa valere due aspetti: da un lato, evita la contraddizione di identificare essere e non essere; dall’altro, pone la contraddizione, costituita dall’«essere del nulla», ma non nella struttura del significato «nulla»: «La contraddizione del non-essere-che-è, non è dunque interna al significato “nulla” (o al significato “essere”, che è l’essere del nulla); ma è tra il significato “nulla” e l’essere, o la positività di questo significato. La positività del significare è cioè in contraddizione con lo stesso contenuto del significare, che è appunto significante come l’assoluta negatività» (ibidem).
Il passo è davvero molto importante e merita un’attenta analisi. Quando si dice che la contraddizione non è interna al significato nulla, si intende dire – questa almeno è la nostra interpretazione – che non è interna al nulla inteso come assoluto nulla, cioè al nulla come significato incontraddittorio perché indicante l’assolutamente negativo.
Si potrebbe anche dire: il nulla, come assolutamente negativo, è pienamente sé stesso. Se non che, è da rilevare che l’assolutamente negativo è positivamente significante: il termine «nulla», insomma, significa positivamente l’assolutamente negativo, l’assoluto nulla. Ciò comporta che la contraddizione sussista tra il positivo significare del nulla e l’assoluta negatività del suo significato.
Va aggiunto subito quello che Severino dirà poco più avanti e cioè che questi due aspetti o momenti fanno comunque parte del «termine» nulla e per questa ragione il nulla deve venire considerato un significato «autocontraddittorio» (ibidem).
Ciò che non è stato ancora chiarito, e che è essenziale per comprendere l’argomento, è che cosa si intenda con l’espressione «significato». Severino, infatti, subito dopo scrive: «Se ogni significato (ogni contenuto pensabile, cioè ogni ente, qualsisia il modo in cui esso si costituisce) è una sintesi semantica tra la positività del significare e il contenuto determinato del positivo significare; o, che è il medesimo, tra l’essere formale e la determinazione di questa formalità (cap. ii, par. 2) – dove l’essere formale è appunto la positività della significanza della determinazione –, è chiaro allora che il significato “nulla” è un significato autocontraddittorio, ossia è una contraddizione, è l’esser significante come una contraddizione» (ibidem).
A noi sembra che Severino usi l’espressione «significato» in un duplice senso. Per il primo senso, esso designa il contenuto determinato della significazione; il secondo senso, invece, lo assume come una relazione, cioè come una sintesi, in continuità con la sua interpretazione dell’essere e dell’ente.
Il significato diventa così l’insieme costituito dalla positività del significare e dal contenuto determinato del positivo significare. Il primo senso, tuttavia, è necessario perché, solo in quanto con l’espressione «significato» si fa valere il contenuto determinato del significare, si può affermare che la contraddizione non è interna al significato «nulla»: la contraddizione, quindi, non è interna al significato «nulla», ma solo perché il nulla esprime incontraddittoriamente un contenuto determinato, che è l’assolutamente negativo.
Se, di contro, con l’espressione «significato» si intendesse solo la relazione, cioè solo la sintesi, allora la contraddizione, costituendosi tra i due momenti (termini) che costituiscono la sintesi (relazione), sarebbe interna al significato. E, infatti, precisamente per questa ragione il significato «nulla» è un significato autocontraddittorio.
L’autocontraddittorietà consiste nel fatto che v’è un medesimo costrutto, quello relazionale, costituito da due momenti che si negano l’un l’altro: «la positività di questo significare è contraddetta dall’assoluta negatività del contenuto significante» (ibidem). Che è come dire, capovolgendo il discorso: il nulla è un significato autocontraddittorio se, e solo se, vale come sintesi di due momenti: «la positività del significare» e «lo stesso contenuto del significare, che è appunto significante come l’assoluta negatività» (ibidem).
La positività del significare è, dunque, un momento del significato «nulla», così che può venire definita «l’essere formale». Ciò in sintonia con la definizione di «essere» che, come ricorda in parentesi lo stesso Severino, viene data nel secondo paragrafo del ii Capitolo, allorché il «termine “essere”» (ivi, p. 144) viene indicato come sintesi posta tra il «significato» essere, definito anche «essere formale», e i significati costituiti dalle determinazioni che sono.
Orbene, ci sembra che l’uso dell’espressione «termine» possa in qualche modo generare equivoci. Ordinariamente, infatti, con tale espressione non si intende un costrutto, una relazione, ma un singolo elemento. Anche in logica formale, il «termine» non è l’enunciato, ma una parte di esso (il temine-soggetto, il termine-predicato, il termine-medio, per fare alcuni esempi).
Dovremo, dunque, fare attenzione e ricordare che Severino, allorché parla dell’essere e del nulla, definendoli appunto «termini», intende far valere il loro essere sintesi e non elementi della sintesi stessa. Ciò in contrasto con il modo ordinario di esprimersi, il quale prevede che la relazione, cioè la sintesi, sia costituita di termini, cioè di elementi.
Nel caso dell’essere, i due momenti (elementi) sono rappresentati – lo ricordiamo – dal significato «essere», inteso in senso formale, ossia nel senso più generale e meno determinato, e dai significati costituiti dalle determinazioni, le quali consentono di fornire all’essere formale una determinatezza; nel caso del nulla, i due momenti sono rappresentati di nuovo dal significato «essere», inteso in senso formale, e che coincide con la positività del significare (essere e positività sono un medesimo), e dal contenuto del significare, che determina il significare stesso e che, nel caso del «nulla», è l’assolutamente negativo.
Per Severino, ogni significato è un «termine», per la ragione che è sintesi del significato «essere» e della determinatezza dell’essere, che coincide con il contenuto del significare. Nel termine «nulla» la contraddizione sussiste tra i due momenti indicati.
Severino così precisa il rapporto tra il nulla come «termine» e il nulla come «momento»: «È chiaro pertanto che il “nulla”, assunto come significato autocontraddittorio, include come momento semantico il “nulla”, del quale, nel paragrafo precedente, si è rilevato l’essere significante come nulla. (O il “nulla” come significato incontraddittorio, è momento del “nulla”, come significato autocontraddittorio)» (ivi, p. 214).
Abbiamo già chiarito perché si parla di significato incontraddittorio: perché indica l’assolutamente negativo e lo indica con il significato «nulla». Per evitare di generare equivoci nell’usare l’espressione «significato» in due sensi diversi, diremo che il «termine» nulla include, in quanto significato autocontraddittorio, come suo momento il significato incontraddittorio. Ciò premesso, si tratta di intendere bene il senso dell’autocontraddittorietà del nulla, perché quanto detto non è sufficiente.
Una nuova domanda, che vogliamo porre a Severino e che riprende un tema da noi già trattato nella presente Rivista, è la seguente: per quale ragione si accetta incondizionatamente il parricidio di Parmenide, e poi si continua a parlare di assoluto essere e di assoluto nulla? Alla quale si aggiunge una domanda ulteriore: come si può parlare di assoluto essere e di assoluto nulla, se essi vengono intesi in senso determinato? Se, del resto, non venissero intesi in senso determinato, allora non potrebbero nemmeno venire contrapposti.
Non a caso, parlando dell’assoluta negatività, Severino afferma che essa «istituisce il [suo] senso» in riferimento (negativo) all’intero semantico, che configura l’assoluto essere o la positività assoluta o anche, per usare un’altra espressione di Severino, l’«assoluto significare».
La conclusione che Severino trae dal discorso che ha svolto è questa: «E quindi se l’altro dall’intero è assoluta negatività, la presenza di questa, come tale, ossia come altro dall’intero, implica addirittura la presenza dell’intero» (ibidem). Anche questo passo è cruciale: qui non ci si può fermare all’aspetto esplicito dell’affermazione, secondo il quale assoluta negatività e assoluta positività si implicano reciprocamente. Si deve cogliere anche l’aspetto implicito dell’affermazione stessa, per il quale questo implicarsi reciproco non può non mettere capo all’identità di negativo e positivo, cioè alla contraddizione.
Varrà la pensa ricordare, infatti, che lo stesso Severino, a più riprese, afferma che l’implicazione è una relazione e nella relazione, tanto più nella relazione che vale come implicazione necessaria, ciascun termine è, in qualche modo, l’altro («la relazione è identità» [ivi, p. 24]).
Se questa affermazione deve venire presa seriamente, allora lo stesso Severino sta dicendo che, dato l’implicarsi reciproco di essere e nulla, l’essere è in qualche modo nulla, e viceversa. L’approdo, dunque, non può non essere la contraddizione e una contraddizione che non può venire in alcun modo accettata nemmeno da Severino, perché è di un tipo, come egli stesso dirà, che vìola irrimediabilmente il principio di non contraddizione.
Assumere il nulla come determinato, per tornare a quanto dicevamo poco sopra, non soltanto comporta la semantizzazione dell’essere stesso, cioè la sua determinazione, ma rende il nulla essenziale al porsi dell’essere, così che l’essere risulta, appunto, nulla. Questa, a nostro giudizio, è precisamente la via della notte dalla quale Parmenide metteva in guardia gli uomini, perché è la via che fa essere il non essere. E questa è la conseguenza dell’avere abbandonato la via del giorno, che afferma l’assolutezza dell’essere e, di conseguenza, il non essere di ciò che non è l’essere.
Abbiamo indicato le conseguenze derivanti dall’avere imboccato la via della notte. Ora cercheremo di indicare quelle che, a nostro giudizio, potrebbero essere le conseguenze, in ordine al nulla e all’essere, dello scegliere la via del giorno.
Secondo la nostra concezione, che qui identifichiamo con la via del giorno perché si pone in aperto rifiuto del parricidio, il «nulla» non è una parola speciale. Essa, come parola, esiste, cioè si presenta, ma esistere o presentarsi o manifestare una presenza in un determinato sistema (in questo caso, nel sistema del linguaggio) non significa essere. Esiste la parola “nulla” ed esiste il significato da essa indicato, che è appunto «ciò che» si contrappone a «ciò che» si significa con la parola “essere”. Se non che, «ciò che è» è l’ente, cioè l’essere determinato, non il vero essere, che è assoluto. E, a rigore, l’ente esiste, ma non è.
Anzi, l’ente, proprio perché determinato, è in sé una contraddizione, perché si pone in forza della differenza, cioè di ciò che lo nega. Il nulla è indice dell’assenza di enti, esso stesso ente in quanto indice e in quanto significato determinato. Inoltre, in quanto significato determinato, anche il nulla è destinato a contraddirsi. Il contraddirsi del determinato, del resto, non equivale alla sua cancellazione, ma al riconoscimento del limite di intelligibilità che lo costituisce e lo relativizza: quel limite che lascia emergere, appunto, la contraddittorietà di un non essere che, tuttavia, pretende di essere.
Per quanto concerne l’essere, invece, è da rilevare che, se anche esso venisse determinato, come è negli intendimenti di Severino, di fatto lo si entificherebbe, cioè lo si ridurrebbe ad ente e lo si risolverebbe nella contraddizione che struttura ogni ente. A nostro giudizio, pertanto, l’«assoluto essere» vale come l’incontraddittorio e costituisce la condizione incondizionata che consente di rilevare la contraddizione, in generale, nonché la contraddittorietà di ogni determinazione, in particolare.
Poiché, però, questa concezione non è quella di Severino, ma soltanto la nostra, intendiamo tornare, con il prossimo articolo, a come Severino argomenta intorno all’opposizione di essere e nulla.
Bibliografia
Severino, Emanuele. 1981. La struttura originaria. Milano: Adelphi2.
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