Nel IV Capitolo de La struttura originaria, Severino si occupa dell’aporetica del nulla, della quale individua anche la soluzione. In che cosa consiste tale aporetica? Essa può assumere varie forme. La prima forma può venire espressa così: «La posizione del principio di non contraddizione richiede la posizione del non essere. Non solo, ma il “non essere” appartiene allo stesso significato “essere”» (p. 209).
In quale senso la posizione del principio di non contraddizione richiede la posizione del non essere? Precisamente nel senso individuato nel III Capitolo, e cioè, se il principio di identità afferma che «L’essere è essere» (p. 179), il principio di non contraddizione, invece, afferma che «L’essere non è non essere» (p. 174) o anche «È impossibile che l’essere non sia» (p. 179). «La posizione del principio di non contraddizione richiede la posizione del non essere. Non solo, ma il “non essere” appartiene allo stesso significato “essere”. Questa appartenenza del non essere sia al momento dianoetico (onde si costituisce il principio di non contraddizione), che al momento noetico (onde si costituisce il significato “essere”) è il duplice aspetto di una medesima situazione logica» (p. 209). Qui Severino si occupa soprattutto dell’aspetto dianoetico, che tuttavia è intrinsecamente connesso all’aspetto noetico: i due aspetti verranno trattati insieme più diffusamente nel XII Capitolo.
Severino precisa, dunque, lo status quaestionis e lo specifica in riferimento alla posizione di Platone, il quale si occupa non tanto del non essere assoluto (nihil absolutum), ma di «un certo non essere» (ibidem), che è il non essere relativo. Secondo Severino, Platone, introducendo i concetti di “essere relativo” e di “non essere relativo”, risolve l’aporia del «non essere che è» nella misura in cui illustra il senso in cui del non essere relativo si può affermare l’essere, ma non risolve l’aporia che si produce allorché si parla del non essere assoluto.
Introduzione
Qui tratteremo la seconda aporia, non senza avere riassunto, brevemente, la prima: il nostro obiettivo è non interrompere il filo del discorso che abbiamo iniziato con gli scorsi articoli e cioè il tema del parricidio. Ordinariamente, lo ricordiamo, si dà per scontato che Platone abbia effettivamente confutato Parmenide, cioè abbia dimostrato che non è vero che tutto ciò che è altro (ἕτερον) dall’essere sia opposto (ἐναντίον) all’essere e, quindi, non sia.
La posizione parmenidea – questa è l’essenza della critica –, assumendo essere e non essere in senso assoluto, entra irrimediabilmente in conflitto con l’universo dell’esperienza. Platone oppone a tale concezione il fatto che ogni singola determinazione partecipa tanto dell’essere, nella misura in cui è ciò che è, quanto del non essere, nella misura in cui non è ciò che non è. In questo senso, si ha a che fare non più con l’essere assoluto e con il non essere assoluto, ma con essere e non essere relativi, così che la molteplicità risulta legittimata ad essere.
A noi non sembra così indiscutibile la confutazione di Parmenide e abbiamo cercato di argomentare in tal senso in precedenza. Severino, invece, la dà per scontata e lo dice in numerose opere. In questo IV Capitolo de La struttura originaria, egli introduce la riflessione sul tema dell’aporetica del nulla commentando proprio la posizione di Platone in ordine al parricidio: «Ordunque: proprio perché si esclude che l’essere sia nulla, proprio affinché questa esclusione sussista, il nulla è posto, presente, e pertanto è. C’è un discorso sul nulla, e questo discorso attesta l’essere del nulla. O c’è una notizia, una consapevolezza del nulla, che ne attesta l’essere. Sì che sembra doversi concludere che la contraddizione è il fondamento sul quale può realizzarsi lo stesso principio di non contraddizione. È noto con quanta chiarezza Platone abbia prospettato questa aporia nel Sofista. Ma è noto altresì che qui l’aporia rimane solo prospettata, e poi definitivamente accantonata» (pp. 209-210).
L’aporia fondamentale, e cioè quella concernente l’essere assoluto, viene bensì colta e precisata da Platone, ma viene accantonata, nel senso che Platone non riesce a risolverla e, per questa ragione, è costretto ad accantonarla, ripiegando su un’aporia molto rilevante, dal punto di vista dell’intelligibilità dell’esperienza, ma decisamente meno significativa, dal punto di vista teoretico-concettuale.
Prosegue, infatti, Severino: «Ché, certamente, Platone mostra di quale tipo di non essere si può dire che è – il non essere è come un certo essere –, ma con ciò si lasciano irrisolte le difficoltà, prospettate nel dialogo in un primo tempo (236e-239a [Sofista]), derivanti dal non potere escludere dall’essere il non essere, inteso questo come non essere assoluto, senza peraltro includervelo. Per confutare il sofista – ma soprattutto per mostrare come l’essere non implichi, come intendeva Parmenide, la negazione del molteplice – è di certo sufficiente l’analisi platonica; ma l’aporia permane a proposito del non essere assoluto, che Platone tien fermo, con Parmenide, come non essere: ché è appunto questo assoluto non essere che, manifestandosi, testimonia il suo essere» (p. 210).
Nelle ultime parole del lungo passo, viene riassunto il problema: il non essere, secondo Severino, si manifesta e si manifesta, se non altro, nel senso che se ne parla, così che si attribuisce ad esso un significato, dunque un valore noetico. Inoltre, si manifesta in senso dianoetico, allorché si afferma che l’essere esclude di essere non essere.
Il punto è che, se si conclude che «anche il nulla è» (ibidem), allora «viene esplicitamente negato il principio di non contraddizione» (ibidem) o, in altri termini, si fa valere la contraddizione di un non essere che è.
Premesse per la soluzione dell’aporia: parte prima
Come uscire, dunque, dall’aporetica del nulla? Il primo passo compiuto da Severino è quello di criticare alcuni tipi di risolvimento dell’aporia. Non si risolve l’aporia ricorrendo alla distinzione, proposta da Frege, di significato (il contenuto logico e l’oggetto manifesto) e senso (modo di posizione del significato) dei concetti: «il nulla, pur non avendo alcun significato, ha però senso, in quanto ha un senso l’operazione logica del negare» (ibidem). Inoltre, anche affermando l’assenza di significato del termine «nulla», non si può negare – secondo Severino – che questa stessa assenza sia posta, nel senso che ciò che il termine «nulla» significa è precisamente l’assenza assoluta di significato, così che tale termine esprime un suo positivo significare.
Né l’aporia può essere eliminata «col non porre assolutamente il nulla (con l’oblio del nulla). Se il nulla non è posto, non può essere infatti posto nemmeno il principio di non contraddizione: non porre il nulla significa essere nell’impossibilità di escludere che l’essere sia nulla. Non solo, ma non può essere posto nemmeno l’essere» (p. 211). In questo passo viene espresso il valore fondamentale della tematica che si sta affrontando: se il nulla non viene in una qualche misura posto, non si può porre neppure l’essere. Questo è il punto di vista di Severino, che egli presenta come un assunto, dunque come qualcosa di indiscutibile, laddove a noi sembra, invece, una concezione che meriti di venire discussa.
Senza anticipare le nostre considerazioni, e per esporre compiutamente il punto di vista di Severino, diremo che non porre l’essere equivale a non porre alcun significato determinato (dunque, alcun ente), dal momento che «porre un significato equivale a porre una certa positività, o una certa determinazione del positivo, dell’essere» (ibidem). Se l’espressione «essere» designa, dunque, il positivo, Severino usa l’espressione «determinazione» per indicare ogni significato o ogni ente, perché ciascuno di essi determina il positivo, cioè assume il positivo sotto una specifica e particolare veste.
Infine, non si può risolvere l’aporia affermando che il non essere è, ma come non essere. Così scrive, infatti, Severino: «l’affermazione che il non essere sia come non essere è invece la stessa contraddizione, simpliciter, poiché per quel tanto che ciò, che si dice “non essere”, è, non si può affermare che sia come non essere, ma, poniamo, come idea o presenza del non essere; e per quel tanto che il non essere non è, non può nemmeno essere come non essere» (p. 212).
Severino offre, allora, un’altra formulazione dell’aporia e per farlo inizia precisando il concetto di «non essere assoluto»: «Come non essere assoluto, il nulla ha carattere di orizzonte dell’essere: il nulla è infatti l’assolutamente altro dall’essere, o è l’al di là, l’oltre l’essere» (ibidem). L’aporia, anche in questo caso, si costituisce nel far essere il nulla e nel farlo essere come orizzonte dell’essere stesso.
Iniziamo ad esporre le nostre osservazioni critiche muovendo proprio da questo punto: nel formulare l’aporia, la definizione del nulla come «orizzonte dell’essere» non ci sembra sufficientemente argomentata. Ricordiamo che l’aporia non è stata ancora risolta, così che affermare l’essere del nulla equivale a costruire, almeno apparentemente, una contraddizione. Ammettiamo (come ipotesi di lavoro), tuttavia, che il nulla non solo sia, ma sia anche definibile, fermo restando che è definibile se, e solo se, è qualcosa. Ci chiediamo: perché definirlo «orizzonte dell’essere»? Severino, lo ricordiamo, muove dall’assunto che la posizione del nulla sia essenziale per porre l’essere. Ma perché definire il nulla «orizzonte»? Severino risponde: perché il nulla è altro dall’essere e l’altro è al di là, dunque oltre.
Per Severino, la dimostrazione sarebbe nella formulazione stessa del principio di non contraddizione: nel dire che «l’essere non è non essere», si dovrebbe evincere che il non essere è l’orizzonte dell’essere. A noi sembra che, se così fosse, il rapporto tra essere e nulla sarebbe un rapporto veramente particolare, perché sussisterebbe tra contenuto e contenente: sarebbe, cioè, un rapporto di inclusione. Se non che, in tal modo l’essere verrebbe bensì determinato dal nulla, ma il nulla, inglobando l’essere, sarebbe limitato da esso soltanto, per così dire, sul “versante interno”, rimanendo invece indeterminato sul “versante esterno”. L’essere verrebbe interamente determinato dal nulla, ma il nulla verrebbe parzialmente determinato dall’essere.
Se valesse questa rappresentazione, insomma, il nulla, includendo l’essere, includerebbe anche il rapporto tra di essi, così che il negativo, inglobando il positivo, finirebbe per risucchiarlo in sé, a sé riducendolo. E lo stesso rapporto farebbe la medesima fine.
Non di meno, Severino rivolge un’obiezione al proprio argomento, volto appunto ad assumere il nulla come orizzonte: si potrebbe obiettare che, poiché l’orizzonte è il nulla, in effetti non v’è alcun orizzonte dell’essere. Ma a questa obiezione egli ritiene di poter rispondere con facilità, contro-obiettando che, se così fosse, allora non si potrebbe affermare che «l’essere non è non essere». La forza dell’intero argomento, pertanto, è da ricercare nella condizione che consente di porre la formulazione: la formulazione postula il non essere, perché, se il non essere non fosse, l’essere non potrebbe porsi come sua negazione.
Ciò che andrebbe dimostrato, ma che Severino ancora non ha fatto, è per quale ragione l’essere, per porsi (andrà specificato il senso del porre), dovrebbe negare il nulla. Che è come dire: per quale ragione il positivo dovrebbe appoggiarsi al negativo? E, ammesso che la determinazione di entrambi richieda il loro opporsi, perché dichiarare che l’opposizione si inscrive nel nulla? Non si dovrebbe, invece, affermare che si inscrive nell’essere, stante il fatto che si fa valere l’essere di questa opposizione?
Riferimenti bibliografici
Severino, Emanuele. 1981. La struttura originaria. Milano: Adelphi.
Photo by Intricate Explorer on Unsplash